giovedì 10 aprile 2008

Traffico d'organi durante la guerra del KOSOVO? Bufala o verità?

Da resistenze.org
Segue articolo di VREME (Serbia)

Orrore nel Kosovo “liberato” dalla NATO
Estate 1999: 300 serbi rapiti e seviziati dai secessionisti albanesi dell’UCK
Enrico Vigna - portavoce Forum Belgrado Italia
07/04/2008
Una montagna di cadaveri, queste le basi fondanti il nuovo stato fantoccio del Kosovo, riconosciuto dal governo Prodi.
In questi giorni è venuta alla luce, una delle pagine più oscure ed orribili dai tempi del Terzo Reich ad oggi: il rapimento e l’assassinio di oltre 300 prigionieri serbo kosovari, avvenuto nell’estate del 1999, subito dopo l’occupazione del Kosovo da parte della Nato, con la presenza nella provincia serba di decine di migliaia di soldati della Nato, della KFOR, di rappresentanti internazionali dei diritti umani, giornalisti, pacifisti, ecc. ecc….evidentemente tutti molto distratti o troppo impegnati a raccogliere interviste e informazioni sulle presunte violenze e persecuzioni perpetrate dai serbi.
Questi uomini dopo essere stati rapiti venivano deportati in campi dell’orrore in Albania, dove gli venivano espiantati uno ad uno i vari organi del corpo, per poi immetterli nel traffico internazionale d’organi diretto verso l’occidente e finanziare così le attività dell’UCK (forse solo i nazisti erano giunti a tanto).
Questo è quanto è emerso dalle pagine del libro “ La caccia” in uscita in Italia nel mese di Aprile, un’autobiografia dell’ex procuratrice Carla Del Ponte del Tribunale Internazionale dell’Aja per la ex Jugoslavia, che ha perseguito per anni, soprattutto i leaders serbi, per le varie guerre balcaniche.
I rapiti, furono prima rinchiusi in campi a Kukesh e Trpoje, poi, dopo essere stati esaminati da dottori albanesi per poter verificare quali fossero i più sani e robusti, venivano portati a Burel e dintorni, nell’Albania centrale, dove erano ben rifocillati, curati e non torturati, in modo da essere pronti per la mutilazione degli organi.
La Del Ponte ha detto che una parte di questi era rinchiusa in una casa gialla, situata a circa 20 chilometri a sud della cittadina albanese di Burel, in una stanza vi era una specie di infermeria, dove venivano esportati gli organi ai prigionieri. Poi questi venivano spediti attraverso l’aeroporto Madre Teresa di Tirana, verso le destinazioni occidentali che avevano pagato per poter effettuare i trapianti. In questi campi vi erano anche molte donne provenienti dalle province kosovare, dalle repubbliche ex jugoslave, dall’Albania, dalla Russia e altri paesi, anche a loro furono poi estratti gli organi prima di essere uccise.
La Del Ponte, oggi ambasciatrice svizzera in Argentina, con queste rivelazioni postume, ha causato, in numerosi ambienti politici, giuridici e giornalistici, sia in Serbia che a livello internazionale, durissime reazione anche diplomatiche.
L’ex procuratrice conosceva l’esistenza di questi lager sin dal 2003, quando un testimone diretto, ex combattente dell’UCK, rese una deposizione all’Aja, sotto copertura di protezione per la sua sicurezza con la sigla “K 144”, in cui dichiarò di aver partecipato personalmente a questa operazione e che essa era stata condotta sotto la diretta supervisione di Hasim Thaci allora uno dei comandanti generali dell’UCK, attualmente primo ministro del narcostato Kosovo, autoproclamatosi “indipendente” sotto la protezione della NATO.
La Del Ponte ha dichiarato che, dopo aver avuto queste segnalazioni circa questi campi dell’orrore, fece un sopraluogo nel 2003 con un gruppo di investigatori dell’Aja ed un procuratore del Tribunale di Tirana e visitarono proprio la famigerata “casa gialla” vicino Burel.
“…Quando la visitammo era diventata bianca, ma vi erano evidenti tracce di pittura gialla scrostata, era evidente che era stata ridipinta…”. Nelle vicinanza della casa furono rinvenuti garze, medicamenti, siringhe usate, flaconi del sangue e vuoti, tracce di medicinali anestetizzanti e medicine rilassanti i muscoli, tipiche per le operazioni chirurgiche.
All’interno della casa furono anche scoperte tracce di sangue essiccato, una stanza di uno dei piani era molto pulita quasi fosse stata in precedenza disinfettata e sterilizzata, una specie di camera operatoria di fortuna. Ma in accordo con gli investigatori, pur ritenendo probabili le dichiarazioni dei testimoni circa la casa degli orrori, fu ritenuta “impossibile” l’apertura di una indagine che ricostruisse l’intera vicenda, ha dichiarato l’ex procuratrice.
Parla un testimone diretto, il teste K 144
Il testimone dichiarò che questa operazione di traffico d’organi era “…Un ben organizzato e molto redditizio business per le casse dell’UCK. Esso era controllato dai comandanti e con il beneplacito dello stato albanese…”.
“… Nel corso di questa azione furono espiantati circa trecento reni e oltre cento altri organi a questi prigionieri, in alcuni casi anche il cuore… e poi venduti attraverso l’Italia. Io so che il valore di un rene era tra i 10.000 e i 50.000 marchi tedeschi. Si diceva che quest’operazione aveva fruttato oltre quattro milioni di marchi tedeschi. Esisteva una precisa documentazione, tutti gli organi estratti erano registrati con accanto l’ammontare di quanto ricavato; i rapporti venivano consegnati ai comandanti locali, che li davano poi a Thaci in persona. Il comando UCK teneva l’80% del ricavato ed il resto veniva diviso tra gli uomini che avevano organizzato l’espianto ed il trasporto degli organi…”.
Così il testimone dell’Aja aveva descritto questa mostruosa operazione, nella sua deposizione.
Secondo lui nel 1999 esistevano, nel nord dell’Albania, più campi di prigionia per questo traffico d’organi, dove venivano portati i serbi rapiti nel Kosovo.
I nuovi Mengele: “…Era un sistema ben congeniato. Alcuni dottori visitavano i prigionieri, facevano una cartella sanitaria di ciascuno, quando arrivava dall’Italia la richiesta di quali organi servivano, essi indicavano chi andava preso per l’espianto; venivano poi anestetizzati, i loro organi estratti e poi lasciati morire…Nel caso fossero giovani e sani, dopo aver levato un organo, venivano ricuciti e curati, in attesa di levargli altri organi. Ma tornando essi tra gli altri prigionieri, questo creava panico e terrore tra gli altri, così venivano isolati…”, ha dichiarato il teste K144.
Egli ha aggiunto che i corpi venivano poi sepolti in fosse comuni lì vicino.
“…La fossa comune più grossa, con circa cento corpi di serbi, era situata a Burel nell’Albania centrale: io ho partecipato personalmente all’opera di seppellimento di alcuni serbi in quel luogo. Quando vi fu sentore di indagini e pericolo di scoperta di questa fossa, fu riaperta ed i corpi sparsi in un'altra dozzina di luoghi lì attorno…”.Questo testimone ha inoltre dichiarato che c’erano anche alcune dozzine di prostitute prigioniere, le quali dopo essere state usate per il piacere, furono poi, dopo esami medici, anche loro mutilate dei loro organi vitali prima di essere uccise.
“…Erano donne russe, romene, moldave, quando io chiesi una volta che fine avessero fatto, mi fu risposto che avevano terminato di fare il loro lavoro…”.
Questi i fatti finora documentati, ora si stanno aprendo procedimenti e denunce contro la Del Ponte, da parte di Associazioni serbe dei rapiti, da parte della Corte di Belgrado e del governo serbo che hanno chiesto di vedere il libro per poter decidere cosa fare; di Corti internazionali; di Associazioni internazionali dei diritti umani (…quelle non finanziate o supine alla Nato); di cancellerie di alcuni paesi e anche associazioni di medici e altri.
Nel frattempo il governo svizzero ha chiesto alla Del Ponte di non partecipare a presentazioni pubbliche del suo libro e di rientrare al più presto in Argentina, in quanto non è accettabile che un esponente ufficiale della Svizzera, quale è lei, divulghi quel tipo di informazioni.
Si badi bene, non si contesta la veridicità delle cose, ma semplicemente l’opportunità di dirle!
Certo è un pochino imbarazzante per la Svizzera, avendo proprio nei giorni scorsi aperto l’ambasciata a Pristina, come riconoscimento ufficiale del nuovo Kosovo.
Una cosa è certa, la verità, come sempre nella storia, a fatica, tra mille ostacoli, poco alla volta, come fili d’erba che si conquistano la luce attraverso il cemento/armato, rovesciato sulle terre jugoslave dalla NATO e dall’occidente, sta affiorando: ci sarà ancora molta strada da percorrere, ma le prime macroscopiche crepe cominciano a delinearsi anche per la tragedia del Kosovo; dalle fosse comuni mai ritrovate (dati OSCE, KFOR, FBI, UNMIK), dalle stragi mai avvenute (Racak per esempio), al genocidio mai avvenuto, alla pulizia etnica, questa sì avvenuta, ma cominciata nel giugno ’99 contro tutte le minoranze non albanesi, alla “libertà/indipendenza” conquistate… mediante la costituzione di un narcostato fantoccio, sotto l’egida NATO. E così via.
Ma è solo con la verità storica, che forse un giorno vi potrà essere anche giustizia per tutti i popoli del Kosovo Metohija, a partire dal popolo serbo, aggredito, additato, umiliato ma non ancora vinto. Nonostante tutto ancora in piedi a battersi per la verità, la giustizia, la propria dignità e identità nazionali oggi violentate e calpestate.
Allora torneranno giustizia, convivenza e multietnicità, come è ancora oggi nella Serbia multietnica e multireligiosa, dove, nonostante difficoltà e rabbie, tutte le minoranze possono ancora vivere con parità di diritti, compresa la numerosa comunità albanese, al di là di ogni etnicità.
Si può dire così anche del “ libero Kosovo” inventato dall’occidente?

Caccia ai reni

31.03.2008

Carla Del Ponte
Ancora prima della sua uscita ufficiale “La caccia”, il nuovo libro di memorie di Carla del Ponte, ha suscitato più di una polemica. In particolare in merito ad un presunto traffico di organi ai danni di prigionieri serbi durante la guerra in Kosovo. L'opinione di Dejan Anastasijevic
Di Dejan Anastasijević, 27 marzo 2008, Vreme (tit. orig. Lov na bubrege)

Traduzione a cura della redazione di Osservatorio sui Balcani


Le memorie dell’ex procuratore del Tribunale dell’Aja Carla Del Ponte intitolate “La caccia” hanno suscitato una bufera per tutta la ex Jugoslavia prima ancora che venissero pubblicate. In questi giorni, tuttavia, un episodio che la Del Ponte nomina del tutto di passaggio è giunto sui titoli di tutti i media serbi: si tratta del presunto espianto di organi su persone vive a fini di vendita sul mercato illegale durante la guerra del Kosovo nel 1999.

La Del Ponte nel libro scrive che “da fonti giornalistiche affidabili” il suo team investigativo è venuto a sapere che circa trecento serbi del Kosovo, rapiti durante la primavera del 1999, furono trasferiti nel nord dell’Albania. Questi prigionieri all’inizio furono rinchiusi in campi in luoghi come Kukes e Tropoje. Secondo le fonti dei giornalisti, i prigionieri più giovani e vitali ricevevano cibo e nessuno li ha mai picchiati, ma poi furono trasferiti nel carcere della cittadina di Burelj, a metà strada tra Tirana e Tropoje. Un gruppo di prigionieri fu incarcerato in una baracca dietro una “casa gialla” a venti chilometri a sud di Burelj, e una stanza di questa “casa gialla”, come hanno descritto i giornalisti, serviva da sala operatoria in cui i chirurghi estraevano gli organi ai prigionieri. Gli organi in seguito, attraverso l’aeroporto di Rinas nei pressi di Tirana, venivano inviati alle cliniche chirurgiche all’estero dove venivano impiegati per essere impiantati ai clienti paganti. Le vittime, private di un rene, venivano di nuovo rinchiuse nella stessa baracca fino al momento in cui venivano uccise perché gli venissero tolti gli “altri organi vitali”. “In questo modo, gli altri prigionieri della baracca sapevano quale sarebbe stato il loro destino e, secondo queste informazioni, terrorizzati pregavano per far sì che venissero uccisi subito”, riporta il testo della Del Ponte.

La Del Ponte afferma che gli investigatori del Tribunale e dell’UNMIK, con i giornalisti e un magistrato albanese, sono andati nell’Albania centrale all’inizio del 2003, dove hanno visitato la “casa gialla”, indicata dalle fonti come il luogo in cui venivano uccisi i prigionieri. “La casa adesso era bianca, il proprietario ha negato che sia mai stata riverniciata, nonostante gli investigatori avessero scoperto delle tracce di colore giallo lungo i bordi del muro. Gli investigatori hanno trovato anche delle parti di materiale sanitario e bottigliette vuote di medicinali, tra cui anche quelli impiegati di solito negli interventi chirurgici per rilassare i muscoli”, descrive l’ex procuratore. Tuttavia, afferma la Del Ponte, alla fine non sono state raccolte prove sufficienti per avviare l’indagine.

Questa storia morbosa non solo è stata per giorni la notizia numero uno sui media serbi, ma è stata presa per certa e arricchita di ulteriori dettagli. L’associazione delle persone rapite e disperse del Kosovo ha annunciato che denuncerà Del Ponte per aver coperto i crimini, mentre la procura speciale per i crimini di guerra di Belgrado ha annunciato un’indagine. Si è fatto sentire anche il portavoce del Corpo di difesa del Kosovo, organizzazione di para-polizia formata dagli ex membri dell’Esercito di liberazione del Kosovo, il quale ha dichiarato che la Del Ponte semplicemente “sta mentendo” e che le sue affermazioni sono “assurde”.
Vreme

Anche un semplice sguardo a questa parte di “La caccia” suscita molte più domande che risposte. I medici che “Vreme” ha consultato hanno preferito rimanere anonimi nel commentare quanto dice il procuratore, ma ritengono che estrarre un rene per il trapianto sia una impresa chirurgica complessa e che è difficile eseguirla al di fuori di cliniche ben attrezzate, così come lo stesso trasporto degli organi, la loro vendita e il trapianto comportano numerosi altri problemi. “Tutto è possibile se dietro di voi avete un’organizzazione di alta qualità, l’accesso a data base medici e molto denaro”, dice uno dei medici che vanta una lunga esperienza all’interno dell’Organizzazione mondiale della sanità. Tuttavia, sorge la domanda su come sia stato possibile che una tale impresa criminale, che per sua natura avrebbe dovuto includere un grande numero di collaboratori, sia rimasta fino ad ora invisibile.

Al tribunale speciale per i crimini di guerra dicono che sono pronti ad aprire un’indagine se otterranno ulteriori informazioni. Tuttavia, affermano anche che nei processi condotti fino ad ora nessun testimone ha mai nominato l’estrazione di organi umani a fini di vendita.

D’altra parte, il traffico illegale di organi, e in particolare di reni, è un affare proficuo che spesso riceve l’attenzione dei media, ma nei casi fino ad ora confermati i donatori hanno partecipato volontariamente, per soldi. A dispetto di molte storie che circolano per il mondo su persone che dopo essere state drogate si sono in seguito svegliate con una cicatrice e senza un rene, nessun caso di questo genere è mai stato confermato né oggetto di un processo. La vendita di organi è ovunque nel mondo proibita, benché ci siano paesi (per esempio l’India, il Pakistan e la Turchia) dove esiste tale prassi.

La storia di Carla del Ponte ha risvegliato il ricordo di molte storie simili che il sottoscritto ha avuto modo di sentire durante la guerra in Bosnia e in Croazia, tutte inesatte. Durante l’assedio di Vukovar, la stampa croata era piena zeppa di testi su come il reparto medico della JNA (esercito popolare jugoslavo, ndt.) estraesse dai prigionieri e dai morti gli organi e di come poi venissero trasportati coi frigoriferi a Belgrado, ma tutte queste storie si sono dimostrate una vergognosa propaganda di guerra. Con buona probabilità si può ritenere che le affermazioni di “giornalisti affidabili” che la Del Ponte ha incluso nel libro appartengano a questa identica categoria.

Con tutto ciò, ovviamente, non si vuol dire che durante la guerra in Kosovo non ci siano stati molti crimini ma forse non così attraenti per i media. Le persone i cui cari sono scomparsi durante la guerra in Kosovo, e i cui corpi fino ad oggi non sono ancora stati trovati, hanno sofferto abbastanza anche senza che la Del Ponte, con l’aiuto dei media locali assetati di sangue, gli metta in testa queste cose. Dall’aver inserito questo episodio nel libro, così come la trasmissione acritica dello stesso, non si può concludere diversamente che si tratta di una cosa senza sentimenti, amorale e dannosa.

1 commento:

Anonimo ha detto...

ma carla del ponte non ha di meglio da fare quella pu....na!!
FESSERIE TUTTE FESSERIE, niete e vero assolutamente niente...
perche quella li nn ha scritto un libro per i 15.000 albanesi civili, tra cui donne e bambini sono stati massacrati in modo disumano e inspiegabile dai serbi, e delle 20.000 donne violentate in modo carnale, delle 5.000 persone sparite??dove saranno loro??
1.000.000 di persone sono state cacciate via dal kosovo, 2.000 le città e i villagi rasi a suolo...e quella puttana mi scrive queto libro di merda????