giovedì 31 gennaio 2008

Editoriale di Giannini

Questo editoriale di Fosco Giannini, senatore del PRC, è molto condivisibile.
E' lungo ma vale la pena di leggerlo per intero. E' stato scritto prima della crisi di governo.
Il grassetto e rosso sono miei.

da www.resistenze.org

Editoriale del numero della rivista comunista "L'ernesto", in corso di distribuzione

Buttare al vento i fiori dei padroni

di Fosco Giannini

L’ultimo scorcio della vicenda sociale e politica italiana - tra la fase finale del vecchio anno sino a questi primi giorni del 2008 – si è rivelato denso di fatti negativi (in crescita, per così dire, esponenziale) con ogni probabilità emblematici di un potente processo carsico che non depone certo a favore, per utilizzare un eufemismo, di una felice stagione di trasformazione sociale. Senza ricorrere a precise scansioni temporali rievochiamo alcune tappe della lunga teoria delle “cose cattive” materializzatesi solo in questa breve fase. Vorremmo aprire questo sipario nero ricordando la morte per freddo, fame e stenti – tra il 29 dicembre e Capodanno – di quattro “senzatetto”: un uomo di 31 anni di Messina trovato cadavere nel cunicolo di un sottovia a Modugno, in provincia di Bari; un clochard polacco di 50 anni ed un italiano di 70 portati via dal freddo nelle strade di Roma nella notte del primo gennaio; un immigrato indiano di 44 anni, Paul Surinder, ucciso dalla miseria mentre dormiva su di un binario morto della stazione fiorentina di Campo di Marte.

Iniziamo volutamente da queste quattro morti perché esse rimandano all’immutata – col cambiamento di governo - emarginazione degli anziani, dei precari, dei miserabili, degli immigrati; rimandano all’area dei sette milioni e mezzo di persone che nel nostro Paese vivono ormai sotto la soglia della povertà e agli otto milioni che non sono così lontani dallo scivolarci ( basta una cessione del quinto sullo stipendio negata; basta un rata del mutuo della casa che non si riesce a pagare; a volte basta persino una bolletta del gas, quelle “nuove”, figlie del rincaro del petrolio e delle guerre americane); rimandano al problema drammatico della casa per centinaia di migliaia di singoli e di famiglie; rimandano – con buona pace della Lanzillotta e dei suoi decreti liberisti che i comunisti di governo non riescono a respingere – alla drammatica distruzione dello stato sociale.

Ma iniziamo da queste morti anche per rovesciare alcuni antichi assunti - in vigore tra il detto e il non detto - secondo i quali i comunisti dovrebbero lasciare i miserabili alla pietas cristiana o ad occhi pasoliniani. No: anche queste sono le nostre morti. Anche queste sono il segno probante dei tempi. Anche per evitarle siamo comunisti. E con questo spirito ricordiamo un altro pezzo del Natale romano: lo sgombero “umanitario” di un altro campo rom (dopo il grande e vergognoso sgombero successivo all’assassinio della povera signora Reggiani ad opera di un romeno) cancellato dalla frenesia consumistica delle feste, ma che ha visto decine di persone e diversi bambini buttati in mezzo alla strada; e la morte di un tossicodipendente, vittima dell’ennesima partita di eroina killer, abbandonato tra i cassonetti dei rifiuti della capitale.

Ha ragione Mario Marazziti, il portavoce della Comunità di Sant’Egidio, impegnata da decenni nell’assistenza ai senza casa: “Solo a Roma i senza dimora sono 7 mila, di cui 3 mila vivono in strada. Questo fenomeno si va allargando in tutte le metropoli italiane. Le famiglie sono più fragili, il lavoro si perde facilmente o non si trova, aumentano gli sfrattati e la povertà di massa e i salari da fame sono ciò che davvero minano la sicurezza sociale. Chi non vuole vedere non guardi. Ma, ormai ovunque, cresce il popolo della miseria: vive nelle periferie, negli interstizi delle città, nei tubi di eternit, nelle gallerie, nelle case diroccate, lungo i greti dei fiumi…”.

L’orrore natalizio romano riflette in verità quel dolore metropolitano che aveva già intuito e cantato Claudio Lolli, quel dramma sociale, ormai cifra stessa delle cittadelle capitalistiche, che insorge da tempo dalle banlieues parigine, un dolore quotidiano che si riversa su milioni di sottoproletari delle metropoli italiane, su di una forza lavoro di vaste proporzioni, “misteriosamente” accumulatasi, dispersa e disperata, nuova e ancora sconosciuta alle forze della sinistra, una contraddizione sociale che Gramsci non poteva conoscere ma che i comunisti di oggi debbono imparare a ri-conoscere, se vogliono essere all’altezza dei tempi e dello scontro di classe.

Ma se apriamo il sipario nero su questa fase le cose cattive si affollano come in un quadro futurista. Il decreto governativo, nato su ispirazione di Veltroni ed emesso dopo l’assassinio della Reggiani: un decreto razzista, che intendeva consegnare così tanti poteri ai prefetti che i prefetti stessi ne hanno avuto paura, respingendolo; un decreto che violava il senso stesso del Diritto e procedeva per spinta fascista: per colpa di un singolo si tentava di colpire un intero popolo, per colpa di un romeno si tentava di colpire tutti i romeni. Ed è su questa scia, quasi in una cancellazione tra “destra” e “sinistra”, che prima di Natale vi è stata la decisione, da parte del Comune di Milano guidato da Letizia Moratti, di non concedere più, ai figli di immigrati senza permesso di soggiorno, l’accesso agli asili nido. Niente male, nel sessantesimo anniversario della Costituzione, la Carta che Luigi Scalfaro definì come “documento di perenne validità perché pone al centro la persona umana”.

E a proposito della Costituzione e del suo articolo 11, quello che ripudia la guerra (il più violato), non si può dimenticare che nelle feste sacrosante vi sono stati anche due viaggi importanti: l’uno del Presidente Napolitano a Washington, l’altro di Prodi a Kabul. Di fronte a Bush, un re imperialista in agonia politica, il Presidente della Repubblica ha sentito comunque il dovere di garantire enfaticamente che l’Italia proseguirà la sua missione in Afghanistan e che Vicenza può essere già considerata dagli Usa una propria base militare, al servizio dei propri interessi. Prodi, a Kabul, sfilando di fronte ai militari italiani, ha trovato anche il modo di commuoversi “per il servizio eroico prestato al Paese” e, preso dall’emozione, ha garantito anch’egli, stabilendo un’asse con Napolitano, che l’Italia non si muoverà dall’Afghanistan. E, sempre “ nel ricordo” dell’articolo 11, più o meno negli stessi giorni, dalla Difesa e dagli Affari Esteri ha preso corpo il progetto dell’invio dei poliziotti italiani in Kosovo, a difendere e garantire la nefasta secessione kosovara contro la sovranità della Serbia, ancora al servizio degli Usa e in spregio di tutti i popoli dei Balcani, dei moniti della Russia e degli stessi – fragili - equilibri internazionali.

E poi, l’attacco di Giuliano Ferrara e della teodem Binetti alla 194, la legge sull’aborto. Rispetto a quest’attacco s’è levato un pericoloso coro di assensi, organizzatosi attorno al cardinal Camillo Ruini e al consigliere cattolico di Veltroni, Giorgio Tonini. E’ stato Ruini a dare il là, col tono mieloso ed insieme inquietante tipico di certa moderna inquisizione. “Forse, dopo trent’anni, bisognerebbe aggiornare la legge 194 al progresso scientifico che ha fatto fare grandi passi avanti alla sopravvivenza dei bambini immaturi…”. E Tonini, sulla falsariga: “Dopo trent’anni non è una bestemmia ragionare sulla legge dell’aborto…Progressi medici e Ru 486 (aborto chimico) lo consentono”.

La risposta delle donne – fortunatamente in campo, per tutte e tutti, in questa fase così passiva – non si è fatta attendere. Ha scritto Maria Antonietta Garofolo, su Liberazione, in una lettera dal titolo “ Abbiamo già pagato” : “ …è un tentativo di sminuire le battaglie che tante donne hanno portato avanti affinché quella che divenne poi la legge 194 ci sottraesse alle mammane, al gambo del prezzemolo e alla morte certa. Alludo alla svolta veterocattolica, integralista e di presumibile matrice opusiana di chi pensa che la legge sia stata concepita quale metodo anticoncezionale, quale rimedio per negare in qualche modo le responsabilità del concepimento. Non è così, la legge va esattamente in direzione contraria: la maternità quale scelta consapevole ed assistita…Ritengo che l’affondo o la moratoria, che dir si voglia, abbia radici politiche ed ideologiche molto antiche e che si insinui prepotentemente nella propensione a restaurare temi e problemi che gravano ancora oggi sul corpo della donna e sull’autodeterminazione di soggetti di diritto quali noi siamo. Risarcire in qualche modo i cattolici dell’Opus dei che sono al governo non può e non deve voler dire che consegniamo nelle loro mani le nostre libertà ...”.

Scriveva Spadolini, in relazione allo storico contrasto tra Stato e Chiesa, che le sponde del Tevere tendono, di volta in volta, a restringersi o ad allargarsi. E’ indubbio che dopo la fine della Democrazia Cristiana il Vaticano abbia nutrito e nutra ancora il timore di perdere la propria visibilità e “soggettività” nella società italiana e abbia, di conseguenza, sprigionato più aggressività nel tentativo di imporre i propri temi. Con un risultato, dobbiamo dire, molto positivo dal punto di vista del papato : non solo, infatti i Pacs e poi i Dico sono stati cancellati dall’agenda politica, ma anche il testamento biologico, la condanna dell’omofobia e ogni altro tema laico viene mandato alla gogna, sino ad arrivare, appunto, alla nuova crociata contro la 194. Con l’obiettivo finale – e non lontano, da parte del Vaticano - di avere al proprio fianco non solo la destra, non solo la Binetti e i teodem, ma anche, come nuovo e ricettivo ventre molle, il Partito Democratico, con i comunisti e la sinistra paralizzati – anche sui temi dei diritti e della laicità, oltre ché su quelli sociali ed internazionali – dalla loro involuzione governista.

Vi sono stati poi i temuti rincari su prezzi e tariffe, preannunciati da voci che sembravano maligne epifanie della destra, ma che si sono rivelati veri e persino più pesanti di quanto temuto: elettricità + 3,8%; gas +3,4. Per una famiglia media la bolletta “della luce” costerà 48 euro in più, quella del gas circa 35. Dopodichè, dati Istat dicembre 2007: benzina verde l’11,6% in più rispetto al 2006; gasolio + 15,4% ; il pane + 12,3% e rincari pesanti anche per il latte, la pasta, gli ortaggi.

Nel frattempo, tra fine dicembre ed inizio gennaio, si pubblicano gli studi sui salari italiani fatti dalla OD&M e risulta che negli ultimi cinque anni le buste paga hanno perso il 10% del potere d’acquisto; che gran parte dei salari sono oggi Co.co.co. e Co.co.pro., a compenso libero e dunque ancor più erosi dall’inflazione ed esclusi dalle statistiche ufficiali; che per i precari non pare esserci più soluzione anche per via di quel Protocollo sul welfare che li ha condannati e collocati definitivamente nel mercato inferiore del lavoro.

Per non citare sempre i grandi pensatori e ascoltare qualche volta i lavoratori e la loro intelligenza, sarebbe bene rileggersi la lettera che Antonello Tiddia, della Rsu CarboSulcis di S.Antioco (Cagliari) ha scritto il 5 gennaio su Liberazione:“ …Propongo il ripristino di un meccanismo di scala mobile. In questi anni sono diminuiti i salari e aumentati i profitti, cioè è aumentato lo sfruttamento e il plusvalore relativo. Il taglio dei salari e del loro potere d’acquisto ha provocato un rallentamento dell’economia e quindi ha alimentato una spirale recessiva; in questa situazione i maggiori profitti sono andati a gonfiare la rendita finanziaria e non hanno determinato un aumento degli investimenti... la reintroduzione della scala mobile è assolutamente necessaria per evitare che i ricchi diventino sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri; la sua reintroduzione non è solo indispensabile per difendere i redditi da lavoro dipendente, ma secondo me è obbligatoria per evitare che l’economia italiana entri in una spirale ancor più recessiva e pesante in cui tutta la società si impoverisce. In tutti questi anni ci hanno troppe volte spiegato che la classe operaia doveva fare gli interessi generali del paese e dunque accettare i sacrifici. Era ed è sbagliato e falso. Perché gli interessi di tutta la società coincidono con gli interessi dei lavoratori e solo aumentando i redditi da lavoro dipendente è possibile avere uno sviluppo civile del paese”.

Niente altro da aggiungere, se non che l’obiettivo della scala mobile – sacrosanto – sembra addirittura uscito dal novero delle questioni almeno teoricamente contemplate, sia per il governo Prodi che per la sinistra e i comunisti che ne fanno parte. Che non sembrano reagire con gran forza alle provocazioni del Ministro Damiano, anche quando, come ha fatto arrogantemente sulle pagine de La Stampa il 29 dicembre scorso, dichiara che l’accordo sui salari si potrà firmare tranquillamente anche senza i metalmeccanici della Cgil.

La battaglia della Fiom contro l’accordo governo – sindacati sul welfare non è stato digerito da nessuno: padroni, governo e sindacati governisti se la sono legata al dito e, per loro, Gianni Rinaldini e Giorgio Cremaschi debbono ancora pagarla. D’altra parte, per allargare l’affresco di fase, è importante ricordare quanto accaduto, qualche giorno prima di Natale, alla Powertrain, ex Meccaniche Mirafiori, dove la maggioranza dei lavoratori ha avuto l’ardire di bocciare il passaggio da 15 a 17 turni di lavoro settimanali e per questo ha subito la rivalsa della Fiat, nel senso che la metà dei 140 lavoratori interinali sono stati, entro il 31 dicembre, licenziati.

E’ in questo contesto che si va aprendo la cosiddetta verifica tra Cosa Rossa e governo. Una verifica che, da quanto emerge, da ciò che allo stato delle cose possiamo conoscere, rischia di essere particolarmente minimalista e organizzarsi essenzialmente attorno alla proposta del ministro Damiano relativa alla detassazione dei salari. Una detassazione che, se rimanesse così come prospettata, aggiungerebbe sui salari medi (mille euro) circa 40 euro in più al mese. A fronte di una crescita, come visto, particolarmente forte di prezzi e tariffe; di una stagione contrattuale ancora all’insegna del contenimento del costo del lavoro e della negazione di ogni meccanismo, pur minimo, di adeguamento di salari e stipendi al costo della vita. A fronte, soprattutto, dell’abbandono della lotta alla precarietà. E ciò in una verifica nella quale sembrano già rimossi i problemi internazionali: il Prc, e tutta la Cosa Rossa, sono già pronti a votare il nuovo rifinanziamento per la guerra in Afghanistan, per nuove truppe nel Kosovo e per le altre “missioni” internazionali ?

Si può dimenticare, nel tratteggiare questa ultimissima fase e i suoi singulti, ciò che è accaduto e sta accadendo a Napoli e in Campania per ciò che riguarda l’inferno dei rifiuti? E’ indubbio che siamo di fronte ad un fallimento totale dell’esperienza Bassolino, che non ha saputo, in tanti anni, impostare un minimo progetto relativo allo smaltimento dei rifiuti ( a cominciare dall’incapacità di avviare la raccolta differenziata ) e non ha saputo – o peggio: voluto o potuto – liberarsi della camorra, che ha in mano, anche nel campo dei rifiuti, “ le chiavi della città”. Ma è anche vero che in quel fallimento sono pienamente coinvolte le forze della sinistra, compreso il Prc campano, subordinato a Bassolino e incapace, in tanti anni, di avere un lampo di libertà e di autonomia. Così che la disastrosa esperienza di Rifondazione in Campania si fa paradigmatica di un’intera degenerazione governista, che ci vede cattivi e subordinati protagonisti in tante amministrazioni locali, sino al governo centrale. In Campania – segno estremo della sconfitta – si invia l’esercito ed è certo che si tocca il fondo con la nomina dell’ex capo della polizia, Gianni De Gennaro, a commissario straordinario per l’emergenza. Tutti ricorderanno chi è De Gennaro: è l’uomo della macelleria cilena a Genova, l’uomo che sospese per tre giorni la Costituzione, l’uomo dell’inferno ove trovò la morte Carlo Giuliani. Che fine ha fatto la richiesta della Commissione d’inchiesta sui fatti di Genova? Condividiamo lo stupore e l’amarezza di Vittorio Agnoletto, nel momento in cui legge i commenti di Gennaro Migliore e Giovanni Russo Spena, che dicono di “mantenere le riserve” su De Gennaro, ma che capiscono il governo. Esercito e De Gennaro in Campania: cosa che avrebbe fatto un governo di destra, non un governo con la Cosa Rossa dentro. A Napoli, come a Vicenza, come nella Val di Susa, i comunisti e la sinistra dovevano e dovrebbero essere alla testa dei movimenti e non surgelarsi nei sempre più isolati luoghi istituzionali, nell’attesa passiva, condivisa con Amato e Mastella, che i soldati riportino l’ordine a Napoli e i treni la spazzatura in Germania.

Anche il processo di svendita, da parte del Tesoro, del 49,9% dell’Alitalia alla compagnia francese Air-France-Klm non depone certo a favore di un governo dalla forte pulsione progettuale, ma piuttosto di un circo Barnum allo sbando, subordinato ai poteri forti – nazionali e transnazionali – che altro non sa fare che prendersela con i deboli (i lavoratori) e subire l’influsso egemonico di quelle multinazionali che, nel segno neoimperialista dell’Unione europea, puntano ad uno svuotamento strategico del nostro sistema industriale.

Due fatti pesanti possono chiudere il quadro di questa davvero non felice fase: da una parte le proposte volte ad una controriforma sulla legge elettorale ed istituzionale; d’altra parte l’eccidio degli operai dell’acciaieria Thyssen Krupp. Per ciò che riguarda il Vassallum di veltroniana ispirazione condividiamo sino in fondo le critiche che i gruppi dirigenti del PdCI e dei Verdi hanno portato con molta forza a Veltroni e allo stesso Prc. L’obiettivo “americano” di ridurre tutto ad un bipolarismo-bipartitismo intercambiabile, apparentemente aconflittuale ma in verità tendente a spegnere il conflitto solo dalla parte operaia, subordinando il tutto ai padroni del vapore, è il progetto più antidemocratico circolato in Italia da molti anni a questa parte, molto peggiore - per dire - della famosa “legge truffa”. E, partendo da ciò, davvero sconcerta l’atteggiamento del gruppo dirigente del Prc, volto ad oscuri accordi da retrobottega con Veltroni e Berlusconi al fine di far passare un sistema elettorale con sbarramento alto e variegato e diretto, anch’esso, a “semplificare” il quadro politico e tendente, nell’essenza, a chiudere i confini sociali e politici nel recinto dell’alternanza, cancellando la possibilità stessa dell’alternativa e precostituendo – a partire, appunto, da un nuovo quadro elettorale – un accordo strategico “a sinistra” tra PD e Cosa Rossa. Da una parte chiudendo accuratamente, con sbarramenti “veltroniani” che superano e smentiscono quello tedesco, ogni ipotetica presenza a sinistra della Cosa Rossa ( alla faccia dell’ enfasi sul pluralismo come sale della democrazia); dall’altra tentando di costringere gli alleati meno dotati elettoralmente a legarsi alla stessa Cosa Rossa, che a quel punto diverrebbe per essi un soggetto-prigione (con vocazione partitica) da cui avrebbero grandi difficoltà – qualora lo volessero - a liberarsi per riprendersi l’autonomia.

“L’improvvisa” proposta del vicerè del PD e alter ego di Veltroni, Franceschini, relativa al presidenzialismo, altro non appare - in questo contesto - che un naturale ed ulteriore sviluppo negativo del Vassallum. Per la critica al presidenzialismo di Franceschini ci affidiamo alle lucide parole di Rossana Rossanda, che su Il Manifesto, in un articolo dal significativo titolo Francia, cattivo esempio, così ha scritto: “Il sistema elettorale alla francese, al quale inclina Walter Veltroni, è il peggiore nei dintorni. Un presidenzialismo secco, vera e propria monarchia, senza neanche un’adeguata informazione degli elettori…Nel sistema statunitense, come in quello francese, l’obiettivo è ridurre più che si può la complessità delle espressioni politiche in una società complessa… Il richiamo al sistema francese è eloquente: esso si propone di distruggere tutti i contendenti tranne due. E già dire due è molto, perché negli Usa come in Francia, è difficile che il secondo arrivato resti visibile. Chi si ricorda più di Kerry? E che cosa conta più Segolène Royale?... Resta la necessità per chi non è uno dei due grandi partiti ammessi dal bipolarismo di esistere…”.

A chiudere il quadro, l’orrore della Thyssen Krupp. Sui sette operai morti alle acciaierie di Torino molto è stato scritto e molta retorica è stata versata, con il pericolo che presto il silenzio avvolga le vittime. Ciò che resta è che essi sono stati divorati dal fuoco della fonderia alla quarta ora di straordinario, dopo le otto ore di lavoro “ordinario” in quell’inferno quotidiano, e nulla più di questo ci dice come i salari operai siano da fame. Ciò che resta è lo svelamento improvviso della mancanza delle più elementari norme di sicurezza nei luoghi di lavoro, base materiale della strage quotidiana dei lavoratori. Ciò che resta è il contrasto terribile tra questa disgrazia e il fatto che nel Protocollo del 23 luglio vi sia la detassazione, per i padroni, degli straordinari, mentre per gli straordinari non solo gli operai ci muoiono, ma ci pagano anche le tasse. Ciò che dovrebbe restare - e non resterà, in questo quadro - è che il toyotismo che segna da troppi anni anche l’intero processo produttivo italiano è stato interiorizzato da tutti – padroni, sindacati e buona parte della “sinistra” – come il moderno e inevitabile sistema per far fronte alla concorrenza internazionale. Pur sapendo che esso ha in sé, come leggi intrinseche, l’apologia del massimo profitto, l’abbattimento dei diritti e dei salari e l’abbattimento di ogni costo legato all’ambito della produzione, innanzitutto i costi della sicurezza sul lavoro e sulla manutenzione, come sanno bene, da circa un quindicennio, innanzitutto (ma non solo) gli operai delle fabbriche, dei cantieri edili e navali.

Dopo l’eccidio molte proposte si sono levate, a protezione dei lavoratori. Spicca, tra queste, quella di Guglielmo Simontacchi, giurista della Fiom. Simontacchi, ricordando il ruolo centrale che potrebbe svolgere – e non svolge – la magistratura relativamente alla prevenzione degli infortuni e alla repressione delle violazioni nel campo dell’igiene e la sicurezza sul lavoro, invita il Presidente Napolitano, quale Presidente anche del Consiglio Superiore della Magistratura, ad imporre tutta la sua autorità affinché presso i tribunali siano obbligatoriamente istituite sezioni o giudici specializzati nel settore dei reati in materia di diritto penale sul lavoro e presso le procure siano, altrettanto obbligatoriamente, previsti piani organizzativi per i reati in materia lavoristica. La proposta ci appare tra le più serie e concrete.

Tuttavia, crediamo che il problema centrale sia quello dei rapporti di forza sociali in questo Paese: o si cambiano attraverso l’apertura di un nuovo, e necessariamente non breve, ciclo di lotte sociali od ogni tentativo di cambiamento rischia di essere illusorio e fuorviante. A partire – e ciò vale per i comunisti e la sinistra - da quello di cambiare le cose all’interno di un governo moderato ed essenzialmente subordinato come il governo Prodi. Ai funerali di Giuseppe De Masi, la settima vittima della Thyssen Krupp, i lavoratori hanno gettato via, rifiutandola, la corona di fiori inviata dall’azienda. Simontacchi ha ragione nel proporre atti concreti: ma non si può partire che da qui, dai quei fiori padronali gettati al vento, per far ripartire il conflitto e il cambiamento. Per far divenire verosimili i progetti positivi.

In verità, quest’ultima , grave, fase non è che il prodotto – una cronaca annunciata – del combinato disposto dei rapporti di forza, sociali e politici, profondamente sfavorevoli agli interessi di massa; delle politiche del governo Prodi e dell’avvento, particolarmente negativo, del Partito Democratico. Le due Finanziarie di Padoa Schioppa (rilevanti spostamenti di risorse verso le imprese e irrilevante redistribuzione del reddito); la spinta liberista insita nel Protocollo del 23 luglio; le altissime spese militari e le politiche internazionali subordinate agli Usa e alla Nato: tutto ciò non ha solo rappresentato – per il movimento operaio complessivo – un danno in sé, ma ha largamente contribuito a spostare il quadro in senso ulteriormente moderato, incoraggiando i poteri forti , la conservazione e la Confindustria ad osare e chiedere sempre di più. L’avvento del Partito Democratico ha accelerato i processi negativi, e la rottura con le forze sociali più avanzate e con i movimenti di lotta ha tolto gli ultimi, deboli, vincoli sociali al governo.

Andiamo constatando, in effetti, il pieno fallimento del governo Prodi e del centro sinistra, come rimarcato anche dal Presidente della Camera Bertinotti. O meglio: constatiamo il suo progressivo ed irreversibile passaggio nel campo liberista, il suo totale abbandono di un progetto pur debolmente riformista. E, mentre sul piano sociale a pagarne il prezzo più alto sono i lavoratori e i precari, sul piano politico pagano un prezzo altissimo, in termini di erosione di consensi e di credibilità popolare, le forze comuniste e di sinistra.

Particolarmente colpite, tra queste, è Rifondazione Comunista, un partito in piena crisi. Una crisi, innanzitutto, di identità politico-culturale: il lungo processo di decomunistizzazione condotto per oltre un decennio da Bertinotti e dal suo gruppo dirigente ha rappresentato, infatti, una corposa azione di pars destruens, alla quale non è corrisposta un’altrettanta corposa azione di pars costruens. Il risultato è quello di un partito senza più anima e senza più cultura politica certa. La stessa, strutturale e cronica mancanza di radicamento, sia nei luoghi di lavoro che nei territori, accentua la crisi del Prc, che imbocca la strada del completo sbandamento nell’inverarsi del progetto politico che la maggioranza avvia sciaguratamente al Congresso di Venezia: scelta del governo sino al governismo pagata con la rottura pressoché completa con i movimenti, un rapporto che sin che è stato in vita ha mascherato i limiti già presenti in Rifondazione.

Letto attraverso l’involuzione profonda del proprio statuto culturale e della propria linea politica, il tentativo del Prc di superare la propria identità comunista per trasformarsi nella Sinistra Arcobaleno appare davvero come lo sbocco naturale della lunga direzione e pulsione bertinottiana. Ed è del tutto evidente che nella stessa frenesia con la quale si vuol costituire la Cosa Rossa si nasconda il desiderio di superare con un balzo quel limbo politico e culturale in cui il Prc è stato collocato dai bertinottiani; si nasconde, insomma, il desiderio di superare finalmente l’incertezza di senso di Rifondazione attraverso la cancellazione del “retaggio” comunista.

Da questo punto di vista un po’ ipocrite e patetiche appaiono le garanzie che i gruppi dirigenti offrono relativamente al permanere del Prc quale partito comunista. E’ il processo stesso di costituzione della Cosa Rossa che rende oggettivo il rischio altissimo della scomparsa dell’autonomia e dell’identità comunista. Per diverse questioni, la prima delle quali è la seguente: in virtù della crisi del movimento comunista mondiale un partito comunista nazionale può rilanciarsi solo se rinuncia a facili nostalgie e semplicistiche reiterazioni, costruendo la propria essenza rivoluzionaria inverando e misurando il grande patrimonio storico e culturale del movimento comunista nella carne viva delle contraddizioni presenti, molte delle quali nuove e sconosciute.

E’, questo, un obiettivo ambizioso, alto, ma anche l’unico che può permettere un rilancio. Ma per far ciò occorre una piena, totale autonomia: culturale, politica, organizzativa, persino economica. Senza tale autonomia il progetto del rilancio di un partito comunista, rivoluzionario, è destinato in partenza a fallire. E poiché la Cosa Rossa chiede ad ogni soggetto aderente, per costituirsi, una cessione significativa di sovranità (e lo chiede in modo particolare ai comunisti) è del tutto evidente che in quell’esperienza ciò che viene immediatamente meno è proprio l’autonomia e, di conseguenza, la base materiale per il progetto di un rilancio di una forza rivoluzionaria. Questo dato oggettivo è così pesante che si imporrà persino sull’eventuale buona fede di chi, tra il gruppo dirigente del Prc, “garantisce” ancora oggi che la Cosa Rossa non sarà la tomba di Rifondazione. Ma, d’altra parte, chi ha memoria del processo di scioglimento del PCI che precedette la Bolognina, ricorderà che Achille Occhetto (mentre dalle pagine de La Repubblica presentava alla borghesia la sua nuova creatura) sulle pagine de L’Unità rassicurava l’esercito comunista dei “friggitori di salsicce” (fulgida espressione di D’Alema) che la sua “Cosa” non avrebbe tradito il comunismo. Si è visto… E non è un caso che Occhetto sia ora approdato alla Cosa Rossa Due.

Seconda questione: è il terreno stesso sul quale si costituisce la Cosa Rossa che indica chiaramente la natura del soggetto nascente. Essa sorge sul terreno meno indicato per una forza di sinistra: quello assolutamente incongruo del governo, e di quale, moderato e subordinato governo! Ma la scelta di questo terreno indica non solo la natura futura, ma anche l’orizzonte politico della Cosa Rossa, che già si vive - segnata dai vincoli dettati dalla Sinistra Democratica - come alleata naturale del PD di Veltroni, in un’ottica bipolare e d’alternanza (ed è la stessa Carta dei Valori dell’Arcobaleno a confermare, nel suo povero spirito e nella sua smorta lettera, tali tendenze). E tutto ciò mentre la realtà sociale ci dice a chiare lettere che il primo compito delle forze comuniste e anticapitaliste, oggi, sarebbe non quello di consumarsi nell’infruttuosa area governativa ma di rimettersi alla testa delle lotte, nel doppio obiettivo di cambiare i rapporti di forza sociali e far emergere quel blocco sociale per l’alternativa che è ancora in fieri, (poiché socialmente e storicamente nuovo), ma che esiste nella figura centrale della salarizzazione generale, nelle figure del precariato di massa, nel lavoro immigrato di massa e nella forza lavoro accumulatasi e in ebollizione nelle metropoli, e che può essere evocato ed unito solo attraverso il conflitto. La Cosa Rossa è la risposta contraria a tutto ciò: mentre la situazione richiederebbe un Lenin contemporaneo, noi ci affidiamo a Mussi: un socialdemocratico, nemmeno di inizio, ma di fine ‘900.

Dunque, “lo strappo” dalla realtà sociale, operato dal gruppo dirigente del Prc per ricollocare Rifondazione in un ambito moderato, è violento. E se tu operi una prima violenza politica – è la storia a tramandarcelo – sei destinato ad operarne altre, di omologa natura. Solo a partire dal fatto che nella trafelata costruzione della Cosa Rossa vi sia stata una prima violenza (lo strappo dalla realtà delle cose presenti, dall’identità originaria comunista e dal suo ruolo sociale) si può “comprendere” la catena delle violenze successive operate dal gruppo dirigente del Prc contro i propri iscritti, la propria base militante, il proprio elettorato: la decisione dell’abbandono della falce e il martello; la proposta del tesseramento alla Cosa Rossa ( che tradisce chiaramente la volontà di costruzione di un nuovo partito, col rischio che la Federazione sia solo un “traghetto”, una proposta volta a guadagnare tempo ed ammansire gli iscritti); l’assunzione di un nuovo simbolo politico; la decisione delle liste unitarie col “nuovo” ( non particolarmente appassionante) simbolo dell’arcobaleno; la decisione della nascita stessa della Cosa Rossa attraverso i forum costituenti; la decisione – gravissima – di annullare (per la prima volta nella storia del Partito) il Congresso che doveva statutariamente tenersi e farlo slittare non si sa a quando, certamente quando tutto sarà deciso e la Cosa Rossa sarà costituita alle spalle e contro la stragrande maggioranza degli iscritti e dei militanti, che a quel punto non potranno più nemmeno fiatare.

La Cosa Rossa contro la stragrande maggioranza degli iscritti: è azzardato esprimersi così? No: perché siamo convinti che se essi potessero liberamente esprimersi, senza la dittatura partitica burocratica, i trucchi d’apparato, il loro giornale, Liberazione, utilizzato come “la voce del padrone”, con tutto l’ambaradan, insomma, volto ad organizzare consenso attorno al gruppo dirigente - cosa che abbiamo già visto nello scioglimento del PCI - sarebbero contro la liquidazione del loro Partito, del Partito comunista. D’altra parte ci sembra di grande interesse l’inchiesta ( pubblicata su Liberazione del 30 dicembre, a firma di Vittorio Rieser e Vittorio Mantelli, per il Dipartimento Nazionale Inchiesta del Prc) dalla quale, per ciò che riguarda la Cosa Rossa, si evince che il 20% degli iscritti è irriducibilmente contrario, mentre un’area prevalente sarebbe d’accordo ma solo “ a determinate condizioni”. “ Emerge cioè – scrivono gli autori – la preoccupazione di non disperdere la ricca esperienza di Rifondazione Comunista ”. Attenzione alle parole : gli autori scrivono che tale posizione è prevalente. E ciò in un’inchiesta lanciata in un contesto completamente egemonizzato dai gruppi dirigenti, senza aver mai aperto una vera discussione nei Circoli e nelle Federazioni. Un 20% di “no” senza ombre di dubbio ed un prevalente desiderio di non liquidare il Prc. E’ per questo che non si fa il Congresso?

Noi siamo certi che non dobbiamo rimanere comunisti per tigna (come si espresse infelicemente, ma anche significativamente, Bertinotti), ma perché le sempre più alte e spesso drammatiche contraddizioni del capitalismo e la sua incapacità di soddisfare i bisogni collettivi e le aspirazioni individuali ripongono al centro le ragioni alte del socialismo: sia la necessità di cancellare, dalla realtà sociale e nel patrimonio culturale collettivo, la liceità borghese dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo e sulla donna, che la necessità di liberarsi dal lavoro, attraverso la costituzione di un nuovo paradigma che rifiuti la mitizzazione del produttivismo sensimoniano e metta il formidabile apparato macchinico moderno al servizio degli uomini e delle donne e non al servizio del massimo profitto. Un obiettivo di lunga lena, che può persino apparire di lusso in questa fase in cui un ragazzo o una ragazza sono costretti ad abbassare le loro aspettative, cercando con il lumicino qualsiasi lavoro; ma un obiettivo che non deve essere espulso dal corredo tattico e strategico di una forza rivoluzionaria. Anzi, riassunto e rilanciato nella prassi, iniziando a battersi seriamente per la riduzione dell’orario di lavoro.

Noi pensiamo che questa progettualità sociale e politica avanzata, di segno anticapitalista, possa addensarsi – per ragioni storiche, teoriche e ideali - prioritariamente in un Partito comunista, rivoluzionario. E’ per questo che pensiamo al Partito comunista non come una tigna o ad una coazione a ripetere, ma come una necessità sociale e storica. E in conseguenza di ciò continueremo tenacemente a batterci contro la liquidazione del nostro Partito e per il suo rilancio. Continueremo a farlo, a partire dalla consultazione che il gruppo dirigente ha promesso relativamente al governo e nella quale esprimeremo chiaramente il nostro punto di vista: uscire dal governo Prodi, poiché il sangue versato dal Partito per la sua tenuta è già copioso; perché ciò non è valso a nulla; poiché non abbiamo inciso in nessun punto, poiché siamo divenuti ormai complici delle politiche di guerra e delle politiche dal segno antipopolare, come nel caso dell’ultima fiducia accordata al Protocollo sul welfare.

Alla prossima consultazione ci esprimeremo in questo senso, tuttavia una cosa va detta: come può il gruppo dirigente portare il Partito a tanto disastro e poi deresponsabilizzarsi, passando la palla avvelenata alla base? No: un gruppo dirigente porta sino in fondo il proprio progetto politico, magari lo corregge in corsa, ma poi si fa giudicare democraticamente dal Congresso. E se gli iscritti bocciano l’operato si dimette. E’ troppo facile fare come Bertinotti, che prima costruisce e sorregge tutta la linea di Venezia e poi, senza un minimo d’autocritica per tanta rovina, un giorno si sveglia e decreta il fallimento del centro sinistra (per che cosa? Siamo maliziosi: per un governo tecnico o istituzionale con il compito di varare una legge elettorale concordata con Veltroni? Far parte di un governo tecnico, magari di Grandi Intese, sarebbe per i comunisti cadere dalla padella alla brace. Saremmo nettamente contrari).

Certo, è molto comodo, per l’attuale gruppo dirigente bertinottiano cavarsela, ora, con la consultazione. Essa, ormai lanciata, dovrà avere il maggior numero di elementi democratici possibili; tuttavia temiamo fortemente che sulla scia dell’americanizzazione crescente (primarie, gazebo, plebisciti) possa assumere i caratteri di un consenso organizzato e calato dall’alto. Chi parteciperà: gli iscritti? Gli elettori? Tutta la Cosa Rossa ? Chi gli pare? Dove si parteciperà? Con quali criteri? Con quale discussione preventiva? Su quali documenti politici? Non si sa nulla: o meglio, come direbbe Henry Miller, siamo di fronte ad un caos organizzato, funzionale ai voleri dei gruppi dirigenti.

Anche alla luce di ciò riteniamo l’annullamento del Congresso un vero e proprio vulnus democratico, nella vita del Partito. Un atto prepotente che la dice lunga sulla determinazione giacobina con la quale i bertinottiani vogliono operare lo strappo della Cosa Rossa. E davvero cervellotico, completamente ipocrita è l’argomento (espresso non solo dalla maggioranza, ma anche da una delle minoranze) secondo il quale il Congresso non poteva più tenersi poiché era stata lanciata la consultazione. Naturalmente, l’argomentazione va rovesciata: avete lanciato la consultazione anche per allontanare quello che per voi è ormai “lo spettro che s’aggira nel Partito” : appunto, il Congresso.

Continueremo, comunque, a chiedere con forza che il Congresso sia democraticamente e statutariamente celebrato. E lì ci batteremo affinché tutte le compagne e i compagni che non intendono ammainare la bandiera comunista si uniscano, al di là delle provenienze congressuali e le mozioni precedenti.

Poiché vi è un bene supremo da difendere: l’autonomia e il rilancio del Partito della Rifondazione Comunista. Non più debole, ma più forte di prima. Non dall’incerta identità, ma dalla natura antimperialista e anticapitalista più chiara; non meno unitario, ma più largamente unitario, in una concezione dell’unità che non lo veda succube della sinistra di stampo socialdemocratico, ma legato sia ai grandi movimenti di lotta – contro la guerra, quello operaio, quello di Genova – che ai movimenti che si autorganizzano sui territori: No Tav, No Dal Molin, No F35 Novara, No Base Usa di Camp Darby, No Sigonella, Via le bombe di Pordenone, Coordinamento Sardo Gettiamo le Basi, Rete Nazionale Disarmiamoli, il movimento di lotta in Campania, i movimenti che nel Paese si costituiscono per la difesa dell’ambiente, della scuola, dei lavoratori : sono tanti, segnano i piccoli paesi e le città, sono nostri referenti e li abbiamo dimenticati .

Vogliamo un Partito non più balbettante nella sua natura comunista, ma che sappia far partire davvero quel progetto che è inscritto nel suo nome: rifondazione comunista; dunque un Partito rivoluzionario quanto democratico al suo interno, che sappia anche, e finalmente, proporsi come forza catalizzatrice della vasta diaspora comunista italiana, per una nuova, aperta e dialettica unità dei comunisti ( partiti, movimenti ) da rinsaldarsi in una libera ricerca politico-teorica, nel progetto strategico del socialismo e nella lotta sociale. Per buttare al vento – come gli operai della Thyssen Krupp – i fiori dei padroni.

mercoledì 30 gennaio 2008

E il governo cosa ha fatto in un anno e mezzo?

Effetto ad personam di una legge ad personam.

SME: FALSO IN BILANCIO; BERLUSCONI ASSOLTO, NON PIU' REATO

(ANSA) - MILANO, 30 GEN - Silvio Berlusconi e' stato assolto perche' il fatto non e' piu' previsto dalla legge come reato dall'accusa di falso in bilancio in relazione alla vicenda Sme.

martedì 29 gennaio 2008

dichiarazioni di Diliberto su crisi di governo ed unità della sinistra

MATRIX, puntata di venerdì 25 gennaio 2007

DILIBERTO 1 (5 minuti)

http://www.video.mediaset.it/video.html?sito=matrix&data=2008/01/25&id=2615&categoria=servizio&from=email


DILIBERTO 2 (7 minuti)

http://www.video.mediaset.it/video.html?sito=matrix&data=2008/01/25&id=2614&categoria=servizio&from=email


DILIBERTO 3 (9 minuti)

http://www.video.mediaset.it/video.html?sito=matrix&data=2008/01/25&id=2613&categoria=servizio&from=email

Betori 2

CHIESA: BETORI, IN ITALIA SEMPRE SOTTILE VENA ANTICLERICALE

(ANSA) - CITTA' DEL VATICANO, 29 GEN - ''Una sottile vena anticlericale e' sempre all'opera nella cultura italiana, e acquisisce di tanto in tanto rilevanza negli ambienti culturali e anche politici''. Lo ha detto il segretario generale della Cei, mons. Giuseppe Betori, durante la conferenza stampa riguardante il comunicato finale del Consiglio episcopale permanente, sottolineando che con questa situazione ''la Chiesa deve farci i conti''.
Betori rispondeva a una domana sull'atteggiamento dei media verso la Chiesa italiana e sulle ''pallottole di carta'' citate tempo fa dal cardinale vicario Camillo Ruini, un'espressione che il segretario della Cei giudica pero' ''rasserenante, non di timore, un'espressione di amicizia da cui traspare serenita'''.
''Ciascuno deve fare il proprio mestiere - ha affermato Betori rivolto ai giornalisti -. Verso i media non c'e' inimiizia o avversita' da parte dei vescovi. Pero' - ha aggiunto - e' il clima in cui tutti operiamo che non e' sempre un clima di serenità'''. (ANSA).

Betori sulla proposta di moratoria per l'aborto

Grassetto mio.

ABORTO: BETORI (CEI), DARE A DONNE LIBERTA' DI NON ABORTIRE


(ANSA) - CITTA' DEL VATICANO, 29 GEN - L'aborto ''non e' un diritto ma una sconfitta'' e per questo occorre dare ''alla donna la liberta' di non abortire''. E' quanto ha detto il segretario generale della Cei, monsignor Giuseppe Betori, parlando della campagna per una moratoria sull'aborto, lanciata sull'onda della moratoria sulla pena di morte approvata dall'Onu.
''Percepisco questa campagna come una chiamata a diversi livelli - ha detto Betori durante la conferenza stampa sul comunicato finale del Consiglio episcopale permanente -: il primo e' inserire la protezione del concepito nella Dichiarazione universale dei Diritti dell'uomo''. Un altro livello, ha aggiunto, e' ''favorire un'azione internazionale contro l'aborto imposto dai governi per pianificare le nascite'', fenomeno che riguarda vari paesi del mondo.
''In Italia - ha proseguito Betori - occorre far si' che gli aborti siano sempre di meno e che, nell'ipotesi piu' ottimistica, non ce ne sia nessuno''. Per questo ''bisogna innanzitutto applicare gli articoli della legge 194 che aiutano donne affinche' abbiano la liberta' di non abortire''. Inoltre,
ha concluso il segretario della Cei, si deve ''favorire un clima culturale che faccia paercepire l'aborto non come un diritto da esercitare ma come una sconfitta''. (ANSA).

mercoledì 23 gennaio 2008

Articoli su cosa rossa

1) http://www.lernesto.it/index.aspx?m=77&f=get_filearticolo&IDArticolo=16531
2)
Cosa rossa
Sd, la minoranza contro i minoritari
Arcobaleno Insieme turandosi il naso. Oggi parte la campagna contro le testate nucleari. Ma mai dire bozza Bianco
Daniela Preziosi
Roma -IL MANIFESTO

Non sono i tempi migliori, quelli che corrono nella Sinistra arcobaleno. Dopo due giorni di litigi sulla bozza Bianco (Prc e Sd favorevoli, verdi e Pdci pronti all'ostruzionismo nel caso venga votata), ora cominciano le divisioni all'interno delle stesse forze della sinistra arcobaleno. Tutti in attesa del d-day di Prodi, mercoledì prossimo, il giorno del voto al senato della bozza Bianco e della mozione di sfiducia al ministro Pecoraro Scanio.
Ieri ha battuto un colpo un gruppo di parlamentari e sindacalisti di Sinistra democratica. Segnalando «luci e ombre» degli stati generali della sinistra. Più le ombre, a dire il vero. «O cambiamo registro tutti, sinistra compresa, oppure saranno inevitabilmente altri a prendere nelle proprie mani le chiavi del governo e del futuro del paese», dice il documento.
I firmatari pongono sei «snodi» (dai rifiuti di Napoli al conflitto fra politica e magistratura, dalla questione sociale ai conti pubblici, dalla legge elettorale alla legalità) alla discussione del prossimo direttivo del 25 gennaio. Ma le questioni dirimenti sono due: primo, lo stallo del cammino della sinistra unita. «La forma federativa sta stretta: è una soluzione tattica più che un impegno strategico, che viene rimarcata dalle divisioni sulla riforma elettorale». Secondo, ma cruciale, il rapporto con il mondo del lavoro. «Si impone una nuova politica di concertazione, un patto con il mondo del lavoro e con il sindacato. Troppo spesso, infatti, il governo viene vissuto non come occasione politica importante di scelta strategica, ma come campo di battaglia conflittuale». Insomma troppo «spirito rivendicativo» nella verifica, con «il rischio di rotture minoritarie».
La critica è al legame, percepito come esclusivo, della Cosa rossa con la Fiom. Fra i firmatari ci sono infatti i segretari nazionali della Cgil Carla Cantone, Morena Piccinini e Paolo Nerozzi, il segretario della Cgil Scuola Enrico Panini, il segretario della Funzione pubblica Cgil Carlo Podda; il segretario della Cgil Lazio Walter Schiavella e il presidente dell'Inca nazionale Raffaele Minelli. E poi alcuni deputati, il sottosegretario Famiano Crucianelli, l'economista Paolo Leon, il giurista Felice Besostri. «Il rapporto con il lavoro è una scelta strategica. E non si può fare senza partire da un rapporto forte con i sindacati, con la Cgil soprattutto», spiega Nicola Manca, uno dei firmatari.
Nel documento si affronta anche il tema della collocazione internazionale. La «naturale collocazione» della sinistra arcobaleno «è «nel Pse», quel Pse a cui il Pd non può aderire e che quindi è un territorio di interlocutori e alleanze che non dovrebbero andare disperse. La differenze con il Prc, il principale azionista dell'arcobaleno, non sono da poco. Su tutto tranne che sulla legge elettorale, che però è il vero scoglio su cui si stanno infrangendo - almeno per ora - i sogni unitari. «Pdci e verdi non accettano la bozza Bianco? Posto che il referendum va scongiurato a tutti i costi, loro quale alternativa propongono?», ragiona ancora Manca.
Separati nella Casa rossa, i quattro partiti continuano comunque il loro cammino di iniziative comuni. Oggi a Roma verrà presentata una campagna contro le testate nucleari in Italia. Una legge di iniziativa popolare che sarà lanciata da Franco Giordano, Manuela Palermi, Fabio Mussi e Angelo Bonelli per chiedere di non ospitare le 90 testate nucleari presenti nel nostro paese nelle basi Nato di Aviano e Ghedi. Su questo i quattro sono d'accordo. E anche su altro. Purché nessuno dica legge elettorale.

martedì 22 gennaio 2008

Mitrokhin. Ultime notizie (brutte)

Questa sui giornali non uscirà, ma io me la voglio ricordare lo stesso.

CASO MITROKHIN: GIUNTA SENATO, ILLEGALI INTERCETTAZIONI GUZZANTI


Roma, 22 gen. (Adnkronos) - La Giunta per le elezioni e le immunita' parlamentari del Senato ha giudicato irricevibile la richiesta del giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma di utilizzo delle intercettazioni telefoniche del senatore Paolo Guzzanti, alla luce della sentenza numero 390-2007 della Corte Costituzionale, non solo non si puo' intercettare l'utenza di un
parlamentare, ma nemmeno colui o coloro che abitualmente parlano con il parlamentare per ragioni istituzionali.

Le intercettazioni del senatore sarebbero illegali sia perche' ad esse non puo' essere attribuito valore di casualita' (sono piu' di 130), sia perche' operate su una persona, Mario Scaramella, che per motivi istituzionali aveva un contatto diretto con il presidente della Commissione Mitrokhin Paolo Guzzanti, in quanto consulente della Commissione stessa. La Giunta per le elezioni e le immunita' parlamentari del Senato ha quindi negato la disponibilita' delle intercettazioni perche' illegali all'origine.

Una storia incredibile

"NOI,FIGLI DELLE SS":IL PICCOLO SPORCO SEGRETO DELLA NORVEGIA"

Fonte: Agenzia Giornalistica AGI


(AGI) - Londra, 22 gen. - Ricorda Paul Hansen: "Avevo quattro anni, in quella casa eravamo in venti. Il governo mando' un medico, scoprii poi era uno psichiatra. Ci visito', stabili'
che , date le nostre origini, potevamo essere classificati come ritardati mentali. Non era una diagnosi, ma una supposizione. Ci chiusero tutti in un manicomio infantile". Rievoca Kikki Skjermo: "Mi hanno tirato su i miei nonni materni, senza un filo di affetto. A dieci anni un uomo del villaggio mi violento'. Mi avevano spiegato che aveva un vero e proprio odio per quelli come me. Gli urlai: 'Perche'?'. Rispose: 'quelli come te sono stati messi al mondo per essere usati'". Infine Ellen Voie: "Fui data in adozione quando avevo due anni. I miei nuovi genitori erano letteralmene crudeli. Nella comunita' in cui vivevo tutti sembravano sapere chi fossi in realta'. Tutti tranne me. Lo scoprii quando il prete mi chiese un certificato di battesimo per poter fare la cresima. Feci le miei ricerche, solo allora scoprii che mi avevano cambiato il nome".
Il loro nome in tedesco era "Lebensborn", "molla della vita", generati dalle Ss e dal loro tentativo di ricreare una razzia ariana che fosse ancora piu' pura di quella tedesca.
Himmler li voleva figli dei migliori ufficiali e di donne di stirpe nordica incontaminata. Per questo, nel 1941, scelse la Norvegia occupata per l'inseminazione di circa 10.000 donne,
trattate come giumente da affidare a qualche centinaio di stalloni. Il matrimonio, dopo l'incontro, non era obbligatorio. Se non altro perche' molti tra gli stalloni erano regolarmente
coniugati, secondo il rito Ss, in Germania. Tant'e' vero che, con la ritirata, tornarono praticamente tutti in patria, lasciando le donne e i loro bambini ad affrontare le durezze del dopoguerra e di una vera e propria apartheid. Anche la patria del Nobel e dei diritti civili ha il suo piccolo, sporco segreto. Lo svela ora un'inchiesta dell'Independent.

Il progetto "Lebensborn" venne messo a punto da Himmler nel dicembre 1935, subito dopo aver incorporato la Gestapo nelle Ss ed essere divenuto l'uomo piu' potente del Reich dopo lo stesso Hitler. In Norvegia divenne effettivo dal marzo del 1941, in uno scenario che sembra
l'opposto di un romanzo di Steinbeck. Gli ufficiali inseminavano le donne, le madri venivano accolte in comunita' create appositamente, il Reich se ne assumeva la cura se il padre biologico non intendeva sposarsi. Un esperimento di eugenetica con cui si intendeva anche ovviare al decrescere del tasso di natalita' nella Germania nazista. Per ospitare i bambini, almeno 8.000, tutti registrati presso una speciale anagrafe, vennero requisiti alberghi e costruite almeno dieci strutture simili a case famiglie. Ad ogni bambino veniva assegnato un numero ed aveva una cartella clinica in cui venivano raccolti i suoi dati, per controllarne il sano
sviluppo.
Verso la fine della guerra, il governo norvegese in esilio fece sapere che la fraternizzazione con gli occupanti non sarebbe stata tollerata. "Certe donne sappiano che pagheranno il prezzo di quello che hanno fatto per tutto il resto della vita", avverti' tramite Radio Londra, "tutti i norvegesi avranno modo di manifestare il loro disprezzo per loro". Una promessa mantenuta.

I capelli rasati a zero e gli sputi per la strada fuirono solo l'inizio. Ma il peggio tocco' ai loro "figli della colpa". Nel luglio del 1945 il governo norvegese tento' di deportare madri e figli in Germania, scontrandosi con il veto delle potenze alleate. La stampa nazionale, intanto, metteva in guardia: "c'e' la possibilita' che questi bambini portino in se' i germi di alcune di quelle caratteristiche germaniche le cui conseguenze sono oggi sotto gli occhi di tutti". E di fronte a questa vera e propria discriminazione a sfondo razzista la comunita' scientifica nazionale faceva sapere che si', in effetti quei bambini figli di padri criminali di guerra erano portatori di geni malati, e che "il loro posto sarebbe stato in un istituto". Il destino di centinaia di piccoli quanto potenziali criminali di guerra da incarcerare preventivamente a scopi pacifici.
Anche il ministero degli affari sociali fece sapere: "credere che questi bambini posano divenire cittadini perbene e' come credere che i ratti di cantina possano divenire animali domestici". Figli di nessuno, nati per essere usati: "Anche nelle scuole speciali per ritardati dove ci avevano rinchiuso", racconta ancora Paul Hansen, "eravamo tenuti segregati dagli altri. A 18 anni potei andarmene. Qualcuno mi aiuto' a trovare un lavoro in una fabbrica, ma il mobbing continuo'".

Il massimo dell'insulto e' arrivato quando, poche settimane fa, 157 di quei circa 8.000 ragazzi hanno presentato una istanza ufficiale alla Corte europea per i Diritti dell'Uomo. Ricorso respinto, per decorrenza dei termini.
Il loro avvocato, Randy Spidevold, si dice "deluso ed imbarazzato" perche' le autorita' norvegesi ancora oggi non vogliono fare i conti con questa parte della tragica storica del Novecento.
Lo scopo dell'iniziativa, spiegano loro, non e' tanto quello di avere un improbabile indennizzo, quanto la possibvilita' di creare una rete di norme internazionali che garantiscano meglio i "figli della guerra", privati dei piu' elementari diritti come e quanto i bambini soldato.
Il senso lo riassume Ellen Voie, i cui genitori adottivi fecero riantrare a casa di corsa da un soggiorno di studio in Danimarca, quando seppero che si era innamorata di un ragazzo
tedesco. "Poco dopo il mio ritorno a casa fui violentata da un coetaneo", ricorda, "e rimasi incinta. Avevo 19 anni I miei genitori vollevano che abbandonassi il bambino, e mi concessero
solo pochi minuti dopo il parto per poterlo abbracciare. Nel frattempo mi avevano cacciato di casa. Mai io reagii, e sono riuscita con l'aiuto di un assistente sociale a riavere il mio
bambino. Mi dissi: 'ci sono delle volte in cui la Storia non si deve ripetere'".(AGI)

Morto Arrigo Boldrini "Bulow"

Le agenzie.

MORTO ARRIGO BOLDRINI, IL COMANDANTE PARTIGIANO 'BULOW'

(ANSA) - RAVENNA, 22 GEN - E' morto Arrigo Boldrini, storico comandante partigiano 'Bulow' e presidente onorario dell'Anpi. Aveva 92 anni e dall'8 gennaio era ricoverato in gravi condizioni all' ospedale di Ravenna. I medici avevano definito ''critico'' il suo quadro clinico.
Membro dell'Assemblea Costituente e importante esponente del Pci del dopoguerra, Boldrini viveva da alcuni anni nella 'Casa della Fraternita'' a Marina Romea, localita' del litorale
ravennate. (ANSA).


MORTO ARRIGO BOLDRINI, STORICO 'COMANDANTE BULOW'/ANSA
TRA COSTITUENTE E ANPI, LA STORIA PARALLELA CON ZACCAGNINI
(ANSA) - RAVENNA, 22 GEN - Arrigo Boldrini, lo storico comandante partigiano 'Bulow' morto questa mattina all'ospedale di Ravenna, per molti anni presidente nazionale dell'Anpi, era nato nella citta' romagnola il 6 settembre 1915. Da tempo - prima dell'ultimo ricovero avvenuto l'8 gennaio, quando le sue condizioni si erano aggravate - viveva nella Casa della Fraternita' 'Betania' a Marina Romea, gestita da un amico sacerdote, don Ugo Salvatori.
Il 4 dicembre 1944 i partigiani di Boldrini, comandante della 28/a Brigata Garibaldi 'Mario Gordini', e i reparti alleati dell'VIII Armata britannica liberarono Ravenna con un'offensiva
combinata. Esattamente due mesi dopo 'Bulow' fu decorato con la medaglia d'oro al valor militare, con una grande manifestazione pubblica nella piazza di Ravenna, dal generale Richard McCreery, comandante dell'Ottava Armata. Lo aveva ricordato cosi' il 25 aprile di tre anni fa, in occasione delle celebrazioni per il 60/o della Resistenza, l'allora sindaco Vidmer Mercatali.Perche' quella fu la prima assenza di Boldrini nel giorno della Festa della Repubblica.
Poco meno di un anno prima, nell'agosto 2004, 'Bulow' aveva lanciato il suo ultimo appello da presidente dell'Associazione partigiani (quando la maggioranza al governo annuncio' di voler tagliare i fondi proprio per la celebrazione dei sessant'anni della Resistenza) chiedendo contributi ai Comuni e ai cittadini ''perche' - aveva detto - bisogna ricordare degnamente il cemento del'identita' e dell'unita' nazionale''.
Arrigo Boldrini, educato all'amore per la liberta' - ricorda l'Anpi - dal padre, una popolare figura di internazionalista romagnolo, si portava addosso il soprannome di 'Bulow' dal '44.
''Durante una riunione clandestina - spiego' in un'intervista - dissi che non si poteva abbandonare la pianura al nemico tedesco, che era necessaria la 'pianurizzazione' della guerra partigiana, e spiegai come si poteva liberare Ravenna. Michele Pascoli, barbiere comunista (sara' fucilato dai nazisti), mi lascio' parlare, poi in dialetto mi chiese: 'Mo' chi sit, Bulow?, cioe' 'Ma chi sei, Bulow?', alludendo al generale tedesco che sconfisse Napoleone. Cosi' Pascoli decise il mio nome e io sono rimasto per sempre 'Bulow'''.
Nel novembre '89 'il comunista Boldrini' tenne l'orazione funebre per Benigno Zaccagnini, il partigiano 'Tommaso Moro', che era stato segretario Dc ma soprattutto suo intimo amico, una
storia parallela cominciata nella canonica di Piangipane, paese ad una decina di chilometri da Ravenna. Dopo la guerra - ricordava - avevano fatto un patto: chi fosse sopravvissuto all'
altro avrebbe fatto il discorso al funerale. E cosi' fu.
'Bulow' fu componente dell'Assemblea Costituente, parlamentare dal '53 al '94, presidente Anpi, oltre che dirigente nazionale del Pci: ''La tua azione - ricordo' da presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi in un messaggio di auguri per il 90/o compleanno - e' sempre stata ispirata a principi di liberta' e di democrazia, valori che nel ruolo di presidente dell'Anpi hai promosso presso le nuove generazioni, mantenendo desta la memoria storica di quell' eroico e drammatico periodo fondante della nostra repubblica''. ''E' un eroe - scrisse di lui Giancarlo Pajetta - Non e' il soldato che ha compiuto un giorno un atto disperato, supremo, di
valore. Non e' un ufficiale che ha avuto un'idea geniale in una battaglia decisiva. E' il compagno che ha fatto giorno per giorno il suo lavoro, il suo dovere; il partigiano che ha messo
insieme il distaccamento, ne ha fatto una brigata, ha trovato le armi, ha raccolto gli uomini, li ha condotti, li conduce al fuoco''.
Durante una manifestazione per il cinquantesimo della Resistenza, lo stesso Boldrini sintetizzo' cosi' la sua opera: ''Noi abbiamo combattuto per quelli che c'erano, per quelli che non c'erano e anche per chi era contro...''. Questa - ricordano in tanti - e' stata sempre la sua profonda, autentica e leale convinzione.(ANSA).

RESISTENZA: MORTO A RAVENNA ARRIGO BOLDRINI, CAPO PARTIGIANI (2)=
(AGI) - Ravenna, 22 gen. - Arrigo Boldrini, noto come
'Comandante Bulow', fu membro dell'Assemblea Costituente, fu per decenni esponente di spicco del Pci e rappresentava il riferimento storico dei partigiani italiani. Dal 1947 in poi,
per alcuni decenni, fu segretario nazionale dell'ANPI, l'associazione nazionale dei partigiani d'Italia. Il sindaco di Ravenna, Fabrizio Matteucci, nel ricordarne a caldo la figura,
appena appresa la notizia della morte ha detto: "Arrigo Boldrini ci ha lasciato. Abbiamo perso un grande italiano. La sua scomparsa lascia un vuoto enorme. Boldrini, il Comandante
"Bulow", Medaglia d'Oro al Valor Militare, e' stato protagonista e guida della Resistenza, che in Italia e a Ravenna uni' le grandi forze democratiche. Membro della Costituente ha dato all'Italia una Costituzione democratica e moderna. Parlamentare dal 1953 al 1994 ha contribuito alla
ricostruzione e alla rinascita della democrazia e della societa' italiana. Presidente dell'Anpi e' stato sempre in prima fila nella difesa e nel rinnovamento delle nostre istituzioni. Boldrini ci ha lasciato una straordinaria eredita' politica e morale. Ravenna, citta' di grandi tradizioni civili e democratiche, e' orgogliosa di averlo avuto fra i suoi figli migliori". (AGI)

MORTO ARRIGO BOLDRINI: LA MOTIVAZIONE DELLA MEDAGLIA D'ORO

(ANSA) - RAVENNA, 22 GEN - ''Ufficiale animato da altissimo entusiasmo e dotato di eccezionale capacita' organizzativa, costituiva in territorio italiano occupato dai tedeschi due brigate di patrioti che guidava per piu' mesi in rischiose e sanguinose azioni di guerriglia''. Comincia cosi' la motivazione della Medaglia d'oro al valor militare conferita a Ravenna nel febbraio '45 ad Arrigo Boldrini dal generale Richard Mc Creery, comandante dell' VIII Armata britannica.
''Nell'imminenza dell'offensiva alleata nella zona - prosegue la motivazione - sosteneva alla testa dei propri uomini e per piu' giorni consecutivi duri combattimenti contro forti presidi tedeschi, agevolando cosi' il compito delle armate alleate. Successivamente, con arditissima azione, costringeva il nemico ad abbandonare un'importante localita' portuale adriatica che occupava per primo. Benche' violentemente contrattaccato da forze corazzate tedesche e ferito, manteneva le posizioni conquistate, contrastando con inesauribile tenacia la pressione avversaria. Si univa quindi con i propri uomini alle armate anglo-americane, con le quali continuava la lotta per la liberazione della Patria''.(ANSA).

lunedì 21 gennaio 2008

Informazione?

Dal sito di Luttazzi (www.danieleluttazzi.it)

Caro Daniele,
sono un ricercatore in chimica al Royal Institute of Technology di Stoccolma. Le lettere che hai pubblicato dicono giá praticamente tutto quello che penso, ti scrivo per segnalare un'altra forma di GGM [Giornalismo Geneticamente Modificato NdA]: la traduzione inesatta.

Oggi il sito del Corriere riporta allegramente che il Guardian avrebbe scritto:
"la controversia è «senza precedenti in un Paese dove normalmente non vengono mosse critiche alla Chiesa cattolica romana" (il virgolettato é loro e a casa mia significa traduzione letterale). Guarda un po', John Hooper invece scrive sul sito del Guardian che:
«The controversy was unparalleled in a country where criticism of the Roman Catholic church is normally muted.» che occhio e croce si traduce con:
la controversia è senza precedenti in un Paese dove normalmente le critiche alla Chiesa cattolica romana VENGONO ZITTITE.

Infatti, come volevasi dimostrare.

I miei omaggi

Tom

Links:
http://www.corriere.it/cronache/08_gennaio_16/papa_stampa_estera_12872ea4-c446-11dc-8fe5-0003ba99c667.shtml
http://education.guardian.co.uk/higher/worldwide/story/0,,2241497,00.html

venerdì 18 gennaio 2008

giovedì 17 gennaio 2008

Veronesi sulla vicenda del Papa alla Sapienza

PAPA: VERONESI, RIFLETTERE SU ROTTURA FRA GIOVANI SCIENZIATI E CHIESA =
A 'L'ESPRESSO', FRA LE RAGIONI LA CRESCENTE INGERENZA VATICANA
NELLA VITA PUBBLICA

Roma, 17 gen. (Adnkronos) - "La vicenda del no di Papa Ratzinger alla visita a La Sapienza non e' uno scandalo a cui gridare, ma un segnale di disagio importante su cui riflettere". Lo afferma
l'oncologo Umberto Veronesi, direttore scientifico dell'Istituto europeo di oncologia, in un'intervista a "L'Espresso", pubblicata sul numero in edicola da domani. "Dobbiamo domandarci -esorta Veronesi- quali sono le ragioni del gesto ribelle, che denuncia una rottura
apparentemente insanabile fra i giovani scienziati e la Chiesa".

"Le lamentele giovanili riguardano le vicende della vita pubblica degli ultimi anni nel nostro Paese caratterizzate da una crescente ingerenza della Chiesa. E questa -sottolinea Veronesi- puo'
essere la prima motivazione. Basta pensare al referendum sulla modifica alla legge sulla fecondazione assistita del 2005. Il mondo cattolico ha espresso a pieno diritto il suo pensiero: cio' che e' grave, pero' e' che non ha raccomandato ai fedeli di votare si' o no in base alle proprie convinzioni, ma di astenersi dal voto. Questo e' stato vissuto allora come un invito a non partecipare alla vita politica e a non esercitare un diritto/dovere fondamentale di ogni
cittadino, minando i principi della democrazia".

"Una seconda ragione su cui i movimenti giovanili insistono e' -ricorda Veronesi- la posizione antiscientifica sistematicamente assunta dalla Chiesa su alcuni dei risultati piu' significativi della ricerca mondiale. Mi riferisco allo studio delle cellule staminali embrionali, alle possibilita' della diagnosi pre-impianto e in generale alla genetica applicata all'uomo, ma soprattutto all'opposizione all'evoluzionismo. Ogni volta i giovani si domandano se e' giusto impedire la ricerca in nome di un'ideologia o una fede. Si chiedono perche' il nostro Paese langue nell'immobilismo e perche' devono andare all'estero per studiare, se scelgono di realizzarsi in una scienza laica".

"La terza ragione, che alla seconda concettualmente si lega, e' da ricercare nelle posizioni cosiddette etiche della Chiesa -prosegue l'oncologo- Negli ultimi anni abbiamo assistito a un no anch'esso sistematico agli anticoncezionali, all'uso dei preservativi, alla RU 486 per l'interruzione di gravidanza meno traumatica, al testamento biologico e all'autodeterminazione delle persone. Posizioni da rispettare in quanto espressioni coerenti di una fede, ma che invece di rimanere tali, influenzano l'evoluzione giuridica del Paese".

"Consideriamo anche che questa storia recente si innesta su un passato, nell'ultimo secolo, caratterizzato dalla forte opposizione della Chiesa ad alcune grandi conquiste sociali. Pensiamo -elenca Veronesi- al divorzio, all'aborto o addirittura, andando piu' indietro nel tempo, all'istruzione per tutti e, piu' recentemente, all'insegnamento di Darwin nelle scuole".

"A mio parere la frattura fra Chiesa e mondo scientifico-laico non e' irrecuperabile. Esiste -afferma Veronesi- una possibilita' di dialogo e uno dei compiti della scienza e' proprio
quello di trovare dei terreni comuni per un'alleanza, come e' dichiarato nella Carta di Venezia, il documento sottoscritto dai partecipanti alla prima Conferenza mondiale sul Futuro della scienza,
promossa dalla fondazione che porta il mio nome. La Chiesa operante, quella che si batte contro la poverta', la fame, la pena capitale, si impegna in campi comuni alla scienza ed e' animata dallo stesso spirito umanitario".

Bin Laden è stato ammazzato?

Riporto questo articolo sconvolgente dal Sito di Giulietto Chiesa (www.giuliettochiesa.it).
http://www.giuliettochiesa.it/modules.php?name=News&file=article&sid=306

Il video cui Giulietto Chiesa fa riferimento è lo trovate qui:
http://www.youtube.com/watch?v=oIO8B6fpFSQ

tra il minuto 6.05 e 6.10 dell'intervista la Bhutto afferma che Bin Laden è stato assassinato.

Buona lettura.



(*) OSAMA BIN LADEN E' STATO AMMAZZATO


di Giulietto Chiesa - 14-1-08

*Dovrei mettere il punto interrogativo, per prudenza. Io non l'ho visto, non ho le prove. Ma chi lo dice è stata ammazzata e non era l'ultima arrivata sulla scena pachistana. E la sua morte, molto recente, mi pare come una conferma indiretta della validità della sua rivelazione. Per questo non metto il punto interrogativo. Lo mettano i maestri del giornalismo - italiano e mondiale - che hanno taciuto, insieme alle mille verità dell'11 settembre, anche questa notizia. Per oltre due mesi. Esattamente per due mesi e 11 giorni. Perchè questa notizia, con la "N" maiuscola, risale al 2 novembre 2007.



L'autrice si chiamava Benazir Bhutto. Il luogo della rivelazione il programma in lingua inglese di Al Jazeera "Over the World" condotto da David Frost, che appunto commenta con Benazir l'attentato dell'ottobre precedente che aveva fatto 158 morti, al suo primo ritorno in patria (clicca sulla foto per vedere il video).
Benazir dice, testualmente che "the man who murdered Osama bin Laden" è Omar Sheikh. Ho controllato (e molti prima di me): le labbra dicono proprio così. Qualcuno ricorderà che Omar Sheikh è quell'agente del servizio segreto militare pakistano ISI che trasferì 100 mila dollari a Mohammed Atta il giorno prima l'attentato dell'11/9. Qui finisce la notizia e comincia lo scandalo, anzi una matrioshka infinita di scandali, uno dentro l'altro.
Il primo è sbalorditivo. Al Jazeera ha la notizia in diretta. Il suo conduttore, David Frost, uomo esperto, sembra non accorgersene. Non interrompe Benazir, non chiede chiarimenti.
Il secondo scandalo è il silenzio di tutti i media occidentali (e ovviamente italiani). Anche se Benazir Bhutto avesse detto il falso la sua dichiarazione sarebbe stata una bomba atomica nel panorama mondiale.
Se non altro per essere smentita. Invece nulla. Silenzio. Non se ne sono accorti? Guardo sul contatore di You Tube, questa sera, 13 gennaio 2008, e vedo che 292.364 persone hanno visto quel video. Tutti meno i direttori di tutti i giornali e di tutte le tv dell'occidente. Altre decine di file tv, su You Tube, su Wikipedia, altrove, analizzano, commentano, da due mesi, e nessuno scrive una riga, nessuno dei media del "mainstream" dedica una riga, un 'immagine all'esplosione di interrogativi contenuta in quelle parole.
"L'Economist", illustre paravento quant'altri mai, ha appena dedicato una copertina del suo penultimo numero al Pakistan, definendolo "il luogo più pericoloso del mondo", ma non ha dedicato nemmeno una mezza riga a questa notizia.
E noi siamo tutti impegnati nella lotta mondiale contro il terrorismo, ma nessun governo, nemmeno il governo americano, nemmeno la Cia, nemmeno l'Fbi, si accorgono che colui che ci hanno additato come capo del terrorismo mondiale è stato ammazzato, o potrebbe essere stato ammazzato. Il presidente George Bush continua a ripetere le sue giaculatorie sul terrorismo e le sue minacce all'Iran e nessuno gli ha detto niente. Nemmeno quel dio sulla spalla del quale, quando è di cattivo umore, piange la mattina, dopo averlo pregato di scendere a fargli compagnia.
Non chiedono nemmeno di sapere quando, eventualmente, sarebbe stato ammazzato. Forse perchè qualcuno teme di avere mandato in onda una sua dichiarazione in video post mortem senza saperlo. Chissà se adesso Umberto Eco andrà a rivedere i suoi commenti sulla mancanza della "gola profonda" per l'11 settembre. Certo la povera Benazir Bhutto non era, finchè fu viva, una gola profonda. Lei non c'entrava con l'11 settembre.
Ma adesso a me risulta più chiaro perchè l'hanno ammazzata. Sapeva troppe cose e una di queste l'ha detta. Ed è bastata.
Il resto ci riguarda. Come possiamo tollerare ancora di essere costretti a lasciare nelle mani di bugiardi e cialtroni l'informazione nel nostro paese?

Annullata la visita del papa

Annullata la visita del Papa per l'inaugurazione dell'anno accademico all'Univeristà La Sapienza di Roma. E' una vittoria laica. Oggi c'è da brindare.

martedì 15 gennaio 2008

Battute di Luttazzi della puntata censurata

«ascolto Radio Maria come fosse un racconto di fantascienza di Philip Dick»

«dopo tanto che non riuscivo a rimanere incinta, ora ho otto gemelli: è un messaggio di dio», «no», replica Luttazzi, «hai presente quando non riuscivi a rimanere incinta? quello era il messaggio»

venerdì 11 gennaio 2008

Odio gli indifferenti

Odio gli indifferenti.
Antonio Gramsci - 11 febbraio 1917

Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti.

L’indifferenza è il peso morto della storia. L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. È la fatalità; è ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che strozza l’intelligenza. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, avviene perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia promulgare le leggi che solo la rivolta potrà abrogare, lascia salire al potere uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare. Tra l’assenteismo e l’indifferenza poche mani, non sorvegliate da alcun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa; e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia altro che un enorme fenomeno naturale, un’eruzione, un terremoto del quale rimangono vittime tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente. Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi fatto anch’io il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, sarebbe successo ciò che è successo?

Odio gli indifferenti anche per questo: perché mi dà fastidio il loro piagnisteo da eterni innocenti. Chiedo conto a ognuno di loro del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime.

Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.

11 febbraio 1917

Gramsci sul capodanno

ODIO I CAPODANNI

1° gennaio 1916, di Antonio Gramsci, da Avanti! ed. torinese, rubrica "Sotto la mole"



Ogni mattino, quando mi risveglio ancora sotto la cappa del cielo, sento che per me è capodanno.

Perciò odio questi capodanni a scadenza fissa che fanno della vita e dello spirito umano un'azienda commerciale col suo bravo consuntivo, e il suo bilancio e il preventivo per la nuova gestione. Essi fanno perdere il senso della continuità della vita e dello spirito. Si finisce per credere sul serio che tra anno e anno ci sia una soluzione di continuità e che incominci una novella istoria, e si fanno propositi e ci si pente degli spropositi, ecc. ecc. È un torto in genere delle date.

Dicono che la cronologia è l'ossatura della storia; e si può ammettere. Ma bisogna anche ammettere che ci sono quattro o cinque date fondamentali, che ogni persona per bene conserva conficcate nel cervello, che hanno giocato dei brutti tiri alla storia. Sono anch'essi capodanni. Il capodanno della storia romana, o del Medioevo, o dell'età moderna. E sono diventati cosí invadenti e cosí fossilizzanti che ci sorprendiamo noi stessi a pensare talvolta che la vita in Italia sia incominciata nel 752, e che il 1490 0 il 1492 siano come montagne che l'umanità ha valicato di colpo ritrovandosi in un nuovo mondo, entrando in una nuova vita. Cosí la data diventa un ingombro, un parapetto che impedisce di vedere che la storia continua a svolgersi con la stessa linea fondamentale immutata, senza bruschi arresti, come quando al cinematografo si strappa la film e si ha un intervallo di luce abbarbagliante.

Perciò odio il capodanno. Voglio che ogni mattino sia per me un capodanno. Ogni giorno voglio fare i conti con me stesso, e rinnovarmi ogni giorno. Nessun giorno preventivato per il riposo. Le soste me le scelgo da me, quando mi sento ubriaco di vita intensa e voglio fare un tuffo nell'animalità per ritrarne nuovo vigore. Nessun travettismo spirituale. Ogni ora della mia vita vorrei fosse nuova, pur riallacciandosi a quelle trascorse. Nessun giorno di tripudio a rime obbligate collettive, da spartire con tutti gli estranei che non mi interessano. Perché hanno tripudiato i nonni dei nostri nonni ecc., dovremmo anche noi sentire il bisogno del tripudio. Tutto ciò stomaca.

Aspetto il socialismo anche per questa ragione. Perché scaraventerà nell'immondezzaio tutte queste date che ormai non hanno piú nessuna risonanza nel nostro spirito e, se ne creerà delle altre, saranno almeno le nostre, e non quelle che dobbiamo accettare senza beneficio d'inventario dai nostri sciocchissimi antenati.
Forse è questo il vero motivo per il quale Luttazzi è stato censurato...

martedì 8 gennaio 2008

Discorso di Napolitano del 4 novembre

Me lo sono andato a rileggere, tanto per ricordarmi...
il grassetto è mio.



INTERVENTO DEL
PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA,
GIORGIO NAPOLITANO,
NEL GIORNO DELL'UNITÀ NAZIONALE E
DELLA GIORNATA DELLE FORZE ARMATE

(Roma, 4 novembre 2007)

In questa giornata del 4 novembre che sempre dedichiamo all'unità d'Italia e all'impegno delle Forze Armate ieri e oggi al servizio della Nazione, nel rendere poc'anzi omaggio al sacello del Milite Ignoto, ho rivolto il pensiero ai tantissimi italiani che, in armi, hanno perduto la propria vita per la Patria.
Novant'anni orsono, in questi giorni, i soldati italiani, attestandosi sul Piave, si apprestavano a portare a compimento l'unificazione dell'Italia, in quella che fu l'ultima guerra del Risorgimento nazionale. L'ideale di Patria unita, coltivato un secolo prima da pochi italiani illuminati, si stava per materializzare definitivamente, trasformando in realtà storica il grande progetto della comunione di tutti gli italiani su un unico territorio.
Al nostro popolo venne poi inflitta la tragica esperienza della seconda guerra mondiale, da cui fu possibile uscire a testa alta grazie a un coraggioso impegno nella guerra di Liberazione, che vide gli italiani combattere, ancora una volta, per l'onore nazionale, per la libertà e per l'edificazione di un nuovo stato democratico.
Quelle vicende appaiono oggi molto lontane. Nel cuore dell'Europa e poi via via in tutto il continente si è costruito un solido assetto di pace ; l'unità territoriale e politica del nostro paese è stata posta al riparo da ogni minaccia diretta, i nostri confini fanno ormai tutt'uno con i confini dell'Unione Europea.
Ma le conquiste di benessere, e di progresso sociale e civile, raggiunte nell'Italia repubblicana sono messe alla prova e vanno consolidate in una società sempre più complessa, aperta e multiculturale, in un mondo segnato dalla competizione globale. E la pace di cui gode l'Europa unita non può farci ignorare o trascurare le tensioni che attraversano la comunità internazionale e che ci stringono da vicino.
Ci si richiede dunque un nuovo sforzo di coesione nazionale e un concreto impegno per garantire la pace anche al di fuori dei confini della stessa Europa, per contribuire alla costruzione di un nuovo ordine mondiale. Garantire la sicurezza internazionale, prevenire e superare crisi e conflitti in aree vicine e lontane, costituisce una responsabilità a cui non possiamo sottrarci, che non possiamo - né come italiani né come europei - delegare ad altri.
E' in questa luce che dobbiamo vedere il ruolo attuale delle Forze Armate. Esse già da anni fanno fronte alla minaccia del terrorismo internazionale e a molteplici fenomeni di instabilità e di guerra regionale. Lo strumento militare va visto come una componente, solo una componente del ben più ampio e articolato dispositivo multidisciplinare che occorre attivare nelle aree di crisi : ma non può essere in alcun modo sottovalutato nella sua necessaria dimensione e natura specifica.
Solo così l'Italia ha potuto e potrà fare la sua parte nell'ambito dell'Organizzazione delle Nazioni Unite, in stretto rapporto con i partner dell'Unione Europea e della Nato.
In questo momento, oltre 8.000 soldati, marinai, avieri, carabinieri e finanzieri operano al di fuori del territorio nazionale, in teatri di crisi che vanno dai Balcani al Medio Oriente all'Afghanistan. Il loro impegno e quello di tutte le Forze Armate che li sostengono, si caratterizzano per alti livelli di efficienza, preparazione e professionalità, sono espressione vitale dell'unità nazionale su grandi scelte rivolte verso l'esterno e contribuiscono alla costruzione di un futuro di convivenza pacifica e di sviluppo cui lo Stato italiano e i suoi cittadini sono direttamente interessati. Il Paese ha il dovere di sostenere questo impegno e deve percepire come proprio l'obbiettivo di migliorare le capacità delle nostre Forze Armate.
Apprezzo e condivido gli sforzi che il Ministro della Difesa ed i vertici militari stanno producendo per rafforzare e affinare ulteriormente lo strumento militare, affinché possa assolvere al meglio le tante missioni assegnateci, pur nella piena consapevolezza dei condizionamenti imposti dalle limitate risorse a disposizione. Questo è stato l'orientamento chiaramente espressosi nelle recenti riunioni, da me presiedute, del Consiglio Supremo di Difesa. Non possiamo venir meno a quel livello di presenza e operatività militare che è lecito attendersi da un paese che è tra i quattro maggiori dell'Unione Europea.
Gli sforzi in atto sono volti ad accelerare il processo di razionalizzazione e a completare il programma di professionalizzazione delle nostre Forze Armate, con il sostegno dei previsti reclutamenti di giovani per le diverse categorie e qualifiche funzionali e con la rapida riduzione del personale anziano non più impiegabile in operazioni, riduzione da perseguire anche attraverso il transito in altre Amministrazioni pubbliche, che possano giovarsi di capacità professionali sperimentate. Ciò consentirà di incrementare il potenziale di intervento a parità di organici, riducendo nel contempo, a regime, gli oneri relativi alla retribuzione del personale.
Si sta procedendo in pari tempo alla verifica dell'attualità dei programmi di investimento, per finalizzare più direttamente il rinnovamento delle capacità dello strumento militare ai compiti da assolvere, sulla base degli obbiettivi che il Paese si prefigge di conseguire nel breve/medio periodo, pur tenendo in debito conto le prevedibili esigenze di più lungo termine.
Dobbiamo così rendere meglio compatibile la necessaria assunzione di responsabilità anche militari da parte del nostro paese nell'ambito della comunità internazionale, con le difficoltà di fondo della nostra finanza pubblica.
C'è da augurarsi che queste decisioni di rafforzamento delle nostre Forze Armate e del conseguente impegno di spesa, non separabile da un approccio di rigorosa qualificazione dell'uso delle risorse predisposte nel bilancio dello Stato, possano trovare il più intenso contributo propositivo e il più vasto consenso in Parlamento, nell'insieme delle forze politiche nonché sul fronte dell'informazione e del coinvolgimento dell'opinione pubblica. A nessuno possono sfuggire le preoccupazioni che nascono dall'aggravarsi della situazione in Afghanistan, dall'incombere di gravi incognite nella regione che abbraccia l'Iraq e l'Iran, dal riaccendersi di acute contrapposizioni nei vicini Balcani, dal persistere di tensioni nel quadro politico e istituzionale libanese, dal trascinarsi di una crisi lacerante nel Medio Oriente.
E' nostro dovere prepararci a fronteggiare ciascuna di queste possibili emergenze ; è dovere comune di tutti coloro che hanno vivo il senso della responsabilità e del prestigio dell'Italia dare prova di unità nel vigilare, e nel ricercare le strade che meglio possono garantire la sicurezza e condurre alla pace.

Viva le Forze Armate, viva la Repubblica, viva l'Italia!