giovedì 24 aprile 2008

Berlusconi chiede a Ichino di essere ministro nel suo governo.

Fonte: corriere della sera del 24 aprile 2008
Poltrone. La scelta del neo senatore: continuerà a lavorare per costruire il nuovo Dna della politica del lavoro
Offerta a Ichino. Ma lui resta nel Pd
Letta propone un ministero. Il giuslavorista si consulta con Veltroni

MILANO — Già qualche giorno fa si era parlato di un'offerta di un ministero da parte di Silvio Berlusconi a Pietro Ichino, giuslavorista neo eletto nelle file del Partito democratico. E il professore aveva cortesemente declinato l'invito. Ieri la richiesta è arrivata ufficialmente attraverso una telefonata di Gianni Letta, indiscrezione ripresa da La7. Ichino ha preso tempo ma, dopo essersi consultato con Walter Veltroni, ha deciso di continuare a lavorare per il Pd, sia pure con una logica del tutto diversa da quella della vecchia sinistra.

Il tentativo di Berlusconi di avere un membro dell'opposizione nel governo evoca il caso Kouchner, l'esponente socialista nominato ministro degli Esteri dal presidente francese Sarkozy. Ma già qualche giorno fa il docente di Diritto del Lavoro aveva spiegato, sul sito www.pietroichino.it: «Un mio coinvolgimento nel governo Berlusconi non è pensabile, per le profonde differenze che dividono il suo programma da quello che ho contribuito a fondare e nelle cui liste sono stato eletto». Detto questo, però, Ichino aggiungeva: «Questo non toglie che tra la maggioranza e il Pd possano verificarsi delle convergenze su singole materie di politica del lavoro». D'accordo con Walter Veltroni, Ichino aveva spiegato di essere «pronto a cooperare con la maggioranza, nel rispetto dei rispettivi ruoli per il progresso del nostro Paese».

Ieri Letta, incaricato di tessere i rapporti tra gli alleati e con l'opposizione, ha ribadito la richiesta del Cavaliere, lasciando a Ichino «tutto il tempo necessario per decidere». Il professore si è detto lusingato dell'offerta e ha chiesto qualche giorno prima di dare una risposta definitiva. Poi si è consultato con il leader del Pd Walter Veltroni e ha deciso di continuare la sua strada nel partito del centrosinistra. Agli amici ha anticipato che proseguirà nell'impegno a costruire il Dna della politica del lavoro del nuovo partito su basi profondamente diverse rispetto a quelle della vecchia sinistra.

Quella sinistra che non lo ha mai molto amato a causa del suo sostegno alla legge Biagi. Una legge sulla quale, ha spiegato, c'è stato un «fenomeno di faziosità bipartisan. Ne hanno fatto un simbolo a destra e a sinistra, come se quella legge avesse segnato una svolta epocale. Che invece non c'è stata affatto».
Polemiche aveva suscitato anche la sua richiesta di allontanare i dipendenti statali «fannulloni». A causa delle sue battaglie per la riforma del mercato del lavoro, il senatore del Pd ha subito anche minacce da parte delle Br.

Alessandro Trocino
24 aprile 2008

lunedì 21 aprile 2008

Puntata di Omnibus.

Interessante Puntata di Omnibus. D'accordo con Rizzo.

venerdì 18 aprile 2008

Come la pensa Ferrero...

Apc-ARCOBALENO/ FERRERO: STIMO FAUSTO, MA SUE IDEE DEVASTANTI(STAMPA)
Abbiamo perso per nostra inefficacia e mancanza sindacato

Roma, 18 apr. (Apcom) - "Spero proprio che i toni non vengano caricaturizzati. Siamo dentro una sconfitta e oggi la penso diversamente da lui, ma la mia stima per Fausto Bertinotti è integra". In un'intervista alla Stampa, il ministro uscente del Prc, Paolo Ferrero, analizza ragioni e termini della sconfitta della Sinistra arcobaleno, invitando i 'compagni' a recitare il mea culpa e sorvolando sulle voci che lo darebbero in corsa per la segreteria, in opposizione ai bertinottiani: "La riduzione della politica a questo è cosa che impedisce la politica stessa", ammonisce.

Pur assicurando che non c'è alcuno scontro con Bertinotti, Ferrero non nasconde però la sua distanza dal padre nobile di Rifondazione e dalla sua idea di costruire un soggetto unitario
della sinistra, passando per lo scioglimento dei partiti: sono "opzioni devastanti" che "spaccherebbero la sinistra", taglia corto Ferrero bocciando anche l'ipotesi di una costituente dei comunisti, "cara a Diliberto": "sono per una federazione della sinistra, senza sciogliere i partiti, ma valorizzando quello che c'è, a cominciare dal Prc".

Infine, il ministro uscente invita a non scaricare le responsabilità sul Pd, ma a recitare un mea culpa: "abbiamo pagato l'inefficacia nostra, della nostra azione di governo".
Inoltre, aggiunge, "quello che è mancato drammaticamente è stato il sindacato, che ha detto no quando potevamo migliorare l'accordo di luglio, avendo già un accordo col Pd. Lì il governo è fallito e noi abbiamo pagato il prezzo maggiore. Poi l'operazione di Veltroni ha indebolito Prodi e regalato il Paese a Berlusconi distruggendo la sinistra".

APPELLO - COMUNISTI UNITI

COMUNISTE E COMUNISTI: COMINCIAMO DA NOI

WWW.COMUNISTIUNITI.IT


Dopo il crollo della Sinistra Arcobaleno, ci rivolgiamo ai militanti e ai dirigenti del Pdci e del Prc e a tutte le comuniste/i ovunque collocati in Italia

Siamo comuniste e comunisti del nostro tempo. Abbiamo scelto di stare nei movimenti e nel conflitto sociale. Abbiamo storie e sensibilità diverse: sappiamo che non è il tempo delle certezze. Abbiamo il senso, anche critico, della nostra storia, che non rinneghiamo; ma il nostro sguardo è rivolto al presente e al futuro. Non abbiamo nostalgia del passato, semmai di un futuro migliore. Il risultato della Sinistra Arcobaleno è disastroso: non solo essa ottiene un quarto della somma dei voti dei tre partiti nel 2006 (10,2%) - quando ancora non vi era l’apporto di Sinistra Democratica - ma raccoglie assai meno della metàdei voti ottenuti due anni fa dai due partiti comunisti (PRC e PdCI), che superarono insieme l’8%. E poco più di un terzo del miglior risultato dell’8,6% di Rifondazione, quando essa era ancora unita. Tre milioni sono i voti perduti rispetto al 2006. E per la prima volta nell’Italia del dopoguerra viene azzerata ogni rappresentanza parlamentare: nessun comunista entra in Parlamento. Il dato elettorale ha radici assai più profonde del mero richiamo al “voto utile”:risaltano la delusione estesa e profonda del popolo della sinistra e dei movimenti per la politica del governo Prodi e l’emergere in settori dell’Arcobaleno di una prospettiva di liquidazione dell’autonomia politica, teorica e organizzativa dei comunisti in una nuova formazione non comunista, non anticapitalista, orientata verso posizioni e culture neo-riformiste. Una formazione che non avrebbe alcuna valenza alternativa e sarebbe subalterna al progetto moderato del Partito Democratico e ad una logica di alternanza di sistema.

E’ giunto il tempo delle scelte: questa è la nostra
adesion.jpgNon condividiamo l’idea del soggetto unico della sinistra di cui alcuni chiedono ostinatamente una “accelerazione”, nonostante il fallimento politico-elettorale. Proponiamo invece una prospettiva di unità e autonomia delle forze comuniste in Italia, in un processo di aggregazione che, a partire dalle forze maggiori (PRC e PdCI), vada oltre coinvolgendo altre soggettività politiche e sociali, senza settarismi o logiche auto-referenziali. Rivolgiamo un appello ai militanti e ai dirigenti di Rifondazione, del PdCI, di altre associazioni o reti, e alle centinaia di migliaia di comuniste/i senza tessera che in questi anni hanno contribuito nei movimenti e nelle lotte a porre le basi di una società alternativa al capitalismo, perché non si liquidino le espressioni organizzate dei comunisti ed anzi si avvii un processo aperto e innovativo, volto alla costruzione di una “casa comune dei comunisti”. Ci rivolgiamo: -alle lavoratrici, ai lavoratori e agli intellettuali delle vecchie e nuove professioni, ai precari, al sindacalismo di classe e di base, ai ceti sociali che oggi “non ce la fanno più” e per i quali la “crisi della quarta settimana” non è solo un titolo di giornale: che insieme rappresentano la base strutturale e di classe imprescindibile di ogni lotta contro il capitalismo; -ai movimenti giovanili, femministi, ambientalisti, per i diritti civili e di lotta contro ogni discriminazione sessuale, nella consapevolezza che nel nostro tempo la lotta per il socialismo e il comunismo può ritrovare la sua carica originaria di liberazione integrale solo se è capace di assumere dentro il proprio orizzonte anche le problematiche poste dal movimento femminista; -ai movimenti contro la guerra, internazionalisti, che lottano contro la presenza di armi nucleari e basi militari straniere nel nostro Paese, che sono a fianco dei paesi e dei popoli (come quello palestinese) che cercano di scuotersi di dosso la tutela militare, politica ed economica dell’imperialismo; -al mondo dei migranti, che rappresentano l’irruzione nelle società più ricche delle terribili ingiustizie che l’imperialismo continua a produrre su scala planetaria, perchè solo dall’incontro multietnico e multiculturale può nascere - nella lotta comune - una cultura ed una solidarietà cosmopolita, non integralista, anti-razzista, aperta alla “diversità”, che faccia progredire l’umanità intera verso traguardi di superiore convivenza e di pace. Auspichiamo un processo che fin dall’inizio si caratterizzi per la capacità di promuovere una riflessione problematica, anche autocritica. Indagando anche sulle ragioni per le quali un’esperienza ricca e promettente come quella originaria della “rifondazione comunista” non sia stata capace di costruire quel partito comunista di cui il movimento operaio e la sinistra avevano ed hanno bisogno; e come mai quel processo sia stato contrassegnato da tante divisioni, separazioni, defezioni che hanno deluso e allontanato dalla militanza decine di migliaia di compagne/i. Chiediamo una riflessione sulle ragioni che hanno reso fragile e inadeguato il radicamento sociale e di classe dei partiti che provengono da quella esperienza, ed anche gli errori che ci hanno portati in un governo che ha deluso le aspettative del popolo di sinistra: il che è pure all’origine della ripresa delle destre. Ci vorrà tempo, pazienza e rispetto reciproco per questa riflessione. Ma se la eludessimo, troppo precarie si rivelerebbero le fondamenta della ricostruzione. Il nostro non è un impegno che contraddice l’esigenza giusta e sentita di una più vasta unità d’azione di tutte le forze della sinistra che non rinunciano al cambiamento. Né esclude la ricerca di convergenze utili per arginare l’avanzata delle forze più apertamente reazionarie. Ma tale sforzo unitario a sinistra avrà tanto più successo, quanto più incisivo sarà il processo di ricostruzione di un partito comunista forte e unitario, all’altezza dei tempi. Che - tanto più oggi - sappia vivere e radicarsi nella società prima ancora che nelle istituzioni, perché solo il radicamento sociale può garantire solidità e prospettive di crescita e porre le basi di un partito che abbia una sua autonoma organizzazione e un suo autonomo ruolo politico con influenza di massa, nonostante l’attuale esclusione dal Parlmento e anche nella eventualità di nuove leggi elettorali peggiorative. La manifestazione del 20 ottobre 2007, nella quale un milione di persone sono sfilate con entusiasmo sotto una marea di bandiere rosse coi simboli comunisti, dimostra – più di ogni altro discorso – che esiste nell’Italia di oggi lo spazio sociale e politico per una forza comunista autonoma, combattiva, unita ed unitaria, che sappia essere il perno di una più vasta mobilitazione popolare a sinistra, che sappia parlare - tra gli altri - ai 200.000 della manifestazione contro la base di Vicenza, ai delegati sindacali che si sono battuti per il NO all’accordo di governo su Welfare e pensioni, ai 10 milioni di lavoratrici e lavoratori che hanno sostenuto il referendum sull’art.18. Auspichiamo che questo appello – anche attraverso incontri e momenti di discussione aperta - raccolga un’ampia adesione in ogni città, territorio, luogo di lavoro e di studio, ovunque vi siano un uomo, una donna, un ragazzo e una ragazza che non considerano il capitalismo l’orizzonte ultimo della civiltà umana.


Ciro ARGENTINO operaio Thyssen Krupp - Mariano TREVISAN comitato No Dal Molin Vicenza - Piero CORDOLA comitati No TAV Val di Susa - Francesco BACHIS comitato sardo “Gettiamo le Basi” - Filippo SUTERA comitato NO PONTE Messina - Giovanni PATANIA comitato di lotta Alluvionati Vibo Valentia - C. BALLISTRERI- D. PAOLONE - G. MODIC - F. LISAI - M. PUGGIONI operai e delegati Fiat Mirafiori - Margherita HACK astronoma - Domenico LOSURDO filosofo - Gianni VATTIMO filosofo - Luciano CANFORA filologo - Angelo D’ORSI storico - Marco BALDINI conduttore televisivo - Raffaele DE GRADA comandante partigiano, storico dell’arte - Alberto MASALA scrittore – VAURO vignettista - Enzo APICELLA vignettista - Giorgio GOBBI attore - Michele GIORGIO giornalista de il Manifesto - Manlio DINUCCI saggista, collaboratore de il Manifesto - Bebo STORTI attore - Gerardo GIANNONE operaio RSU Fiat Pomigliano d’Arco - Wladimiro GIACCHE’ economista - Marino SEVERINI musicista, “La Gang” - STATUTO gruppo musicale - Wilfredo CAIMMI partigiano, medaglia d’argento al valor militare - Ugo DOTTI docente letteratura Università Pavia - Guido OLDRINI docente filosofia Università Bologna - Mario GEYMONAT docente filosofia Università Venezia - Mario VEGETTI professore emerito università Pavia - Andrea CATONE presid. centro studi transizione al socialismo - Alessandro HOBEL storico del movimento operaio - Federico MARTINO docente Diritto Università Messina - Stefano AZZARA’ docente filosofia Università Urbino - Fabio MINAZZI docente filosofia della Scienza Università Lecce - Sergio RICALDONE partigiano, consiglio mondiale per la pace - Wasim DHAMASH docente lingua e letteratura araba Università Cagliari - Gigi LIVIO storico del teatro - Teresa PUGLIATTI docente storia dell’Arte Università Palermo - Maria Luisa SIMONE pittrice - Delfina TROMBONI storica, femminista - Silvia FERDINANDES presid. centro interculturale nativi ed immigranti “ALOUAN” - AEROFLOT gruppo musicale - Francesco ZARDO giornalista e scrittore - Carlo BENEDETTI giornalista - Siliano INNOCENTI segret. circolo Prc Breda Ansaldo Pistoia - Domenico MORO economista - Giusi MONTANINI direttivo reg.le CGIL Marche - Alberto BALIA musicista - Hallac SAMI comitato di solidarietà con il popolo palestinese - Fabio LIBRETTI operaio, direttivo FIOM Milano - Antonello TIDDIA operaio, RSU Carbosulcis Carbonia Iglesias - Dario GIUGLIANO docente filosofia Accademia delle Belle Arti Napoli - Fabio FROSINI docente storia della filosofia Università Urbino - Albino CANFORA docente analisi matematica Università Napoli - Francesco SAVERIO de BLASI docente analisi matematica Roma - Franco INGLESE astrofisico - Vito Francesco POLCARO astrofisico - Adele MONICA PATRIARCHI docente storia e filosofia Roma - Helene PARASKEVAIDES filologa classica - Laura CHIARANTINI docente biochimica Università Urbino - Micaela LATINI docente storia letteratura tedesca Università Cassino - Nico PERRONE docente di storia dell’America, Università di Bari - Alfonso NAPOLITANO regista teatrale - Tiziano TUSSI comitato nazionale ANPI - Luigi Alberto SANCHI ricercatore CNRS, Parigi - Omar Sheikh E. SUAD mediatrice interculturale - Sergio MANES editore - Orestis FLOROS medico CPT - Massimo MUNNO “Luzzi Clan” curva sud Cosenza calcio - Rolando GIAI-LEVRA direttore “Gramsci oggi” on line - Cristina CARPINELLI centro studi problemi transizione socialista - Vittorio GIOIELLO centro ricerca Fenomenologia e società - Vito Francesco POLCARO primo ricercatore INASF - Adriano AMIDEI MIGLIANO regista e critico cinematografico - Renato CAPUTO docente storia e filosofia Università Roma - Emanuela SUSCA docente sociologia Università Urbino - Alessandro VOLPONI docente filosofia Fermo - Maurizio BUDA operaio, RSU Iveco Torino - Giuseppe BRUNI operaio, RSU Magnetto Weels Torino - Mariano MASSARO delegato regionale ORSA Sicilia - Armando RUSSO operaio, RSU Bertone Torino - Luigi DOLCE operaio, Itca, Torino - Giovanni ZUNGRONE segretario FLM Uniti Torino - Ferruccio GALLO, Pino CAPOZZI operai, RSU Fiom Idea Institute Torino - Manola MAURINO RSU ASL 1, Torino - Roberto TESTERA operaio,Comau Torino - Pasquale AMBROGIO operaio, Frigostamp Torino - Nicola BORELLO operaio, RSU ItalCementi Vibo Valentia - Mirko CAROTTA dirigente sindacale Trentino Alto Adige - Paolo AMORUSO segretario SLC Caserta - Daniele ARCELLA, Antonio BELLOPEDE, Vincenzo MEROLA, Salvatore BRIGNOLA operai, RSU Ericsson Marconi Marcianise, Caserta - Mario MADDALONI operaio, RSU Filcem Napoletana Gas - Eugenio GIORDANO operaio, RSU Alenia Pomigliano D’Arco - Franco ROMANO operaio, RSU Filcams Napoli - Ilaria REGGIANI comitato precari Mantova - Franco BOSISIO operaio, RSU Sag Bergamo - Francesco FUMAROLA lavoratore Atesia Roma - Riccardo DE ANGELIS RSU Telecomitalia Roma - Federico GIUSTI RSU Comunedi Pisa

mercoledì 16 aprile 2008

Ichino ministro di Berlusconi?

GOVERNO. ICHINO: IO MINISTRO? NON È PENSABILE, TROPPE DIFFERENZE


(DIRE) Roma, 16 apr. - Se "sul Giornale di oggi Livio Caputo parla di questa possibile proposta, rispondo qui, come ho gia' fatto pubblicamente in diverse occasioni: un mio coinvolgimento nel governo di Silvio Berlusconi non e' pensabile, per le profonde differenze che dividono il suo programma da quello del partito che ho contribuito a fondare e nelle cui liste sono stato eletto". E' quanto ribadisce Pietro Ichino, neo eletto del Pd al Senato, per il quale "questo non toglie che tra la maggioranza e il Pd possano verificarsi delle convergenze su singole materie di politica del lavoro".
Nel caso, Ichino si dice "pronto, e con me lo e' tutto il Pd, a cooperare con la maggioranza, nel rispetto dei rispettivi ruoli, per il progresso del nostro Paese".

venerdì 11 aprile 2008

Ancora sulle indiscrezioni della Del Ponte

foto di GIULIA RAZZAUTI / illustra LUBOMIR, SERBO DI BJELO POLJE, MENTRE INDICA LA TOMBA DELLA MADRE DISTRUTTA DAGLI ALBANESI NEL 2004.Il 17 febbraio scorso Pristina si autoproclamava indipendente dalla Serbia, in questi gironi d’aprile è stata varata una nuova costituzione per il Kosovo. Ai residenti di etnia serba sarà reso molto difficile il voto per le politiche anticipate della madre patria previste per l’11 maggio. Nel mentre Carla Del Ponte pubblica un libro schock sul coinvolgimento dei leaders Uck su di un giro di espianto illegale di organi ai prigionieri serbi. Di Tommaso di Francesco per Il Manifesto

«Pronto, Carla Del Ponte? Posso intervistarla». L’ho incontrata molte volte, ma è irremovibile: «Mi dispiace, stavolta no. Mi hanno proibito di parlare. Deve rivolgersi al Servizio informazioni esteri svizzero».

Difficile dimenticarla mentre legge i capi d’imputazione a Slobodab Milosevic nel febbraio 2002 alla sbarra al Tribunale dell’Aja per i crimini di guerra dell’ex Jugoslavia. Difficile dimenticare quella sua aria intransigente e furba nell’affermare la sua giustizia internazionale. A lei si rivolgevano i vincitori di ogni guerra più o meno «umanitaria». L’effetto Del Ponte era salvifico per il potere. A quasi un anno dalla sua dipartita da procuratore all’Aja, precipitano avvenimenti che la contraddicono e mostrano una sorta di «nemesi di Carla Del Ponte». E, fatto singolare, in contemporanea con l’uscita della sua autobiografia, «La caccia, io e i criminali di guerra» (ed. Feltrinelli, pp. 413, 20 euro) scritta con il giornalista del New York Times, Chuck Sudetic, esperto di Balcani. «Sono più una cacciatrice di serpenti che una studiosa di diritto» vanta, dopo un’infanzia passata a caccia di rettili con i fratelli. E lo specchio autobiografico restituisce fragilità e fallimenti. Mentre è lei a diventare ricercata e cacciata, finita sul banco degli accusati, messa in un angolo e invitata ad andarsene subito.

Andiamo con ordine. In questi giorni il ministero degli esteri svizzero ha vietato all’ex procuratore dell’Aja, diventata ambasciatrice in Argentina, di presentare il suo libro né a Milano, dov’era prevista una serata, né in ogni altro posto in Italia e in Svizzera. La motivazione? L’opera contiene «affermazioni che non possono essere fatte da un rappresentante del governo svizzero», ha scritto il ministero degli esteri di Berna in una lettera alla Del Ponte. La promozione del libro non è compatibile con la funzione di ambasciatrice, ha detto il portavoce del Dipartimento federale degli esteri Jean-Philippe Jeannerat.

Nodo del contendere, la rivelazione dell’autobiografia che chiama in causa proprio un rettile, il temutissimo «Serpente» Hashim Thaqi, premier della proclamata - proprio da lui - indipendenza unilaterale del Kosovo, subito riconosciuta dalla Svizzera dove Thaqi aveva un suo quartier generale come Uck e fondi ingenti d’«incerta» provenienza. Una bomba, una pesante accusa. Documentata con l’inchiesta, i risultati e le indagini che provano il coinvolgimento del leader dell’Uck prima nella sparizione di più di 300 serbi sequestrati nell’estate 1999 in Kosovo dalle milizie Uck e poi, dopo essere stati condotti nel centro-nord dell’Albania, sottoposti ad espianto degli organi. Un traffico d’organi in grande stile. È stata dunque la pressione infuriata del premier del Kosovo a bloccare la promozione del libro della Del Ponte

Si narra anche della ricerca senza risultati dei due super-ricercati serbi di Bosnia, Ratko Mladic e Radovan Karadzic e della collaborazione di Belgrado per trovarli, tanto che il governo serbo si è lamentato dei segreti d’intelligence rivelati che mettono in cattiva luce l’attuale leadership al potere. Ma il vero «muro di gomma» contro cui si schianta, è quello delle responsabilità dell’Uck, diventata, per scelta americana, nel febbraio 1999 all’improvviso la fanteria della Nato - o è la Nato che ne diventa l’aviazione? In una storia terrificante ma vera: la Del Ponte racconta che una missione investigativa del Tribunale dell’Aja scoprì nell’Albania, del centro-nord presso Burrel, tra Kukes e Tropoja un capannone che, secondo i testimoni e dai resti del materiale sanitario trovato, si confermava essere stato la «clinica» dove erano avvenuti gli espianti di organi dai serbi «sani»(quelli malati e anziani vennero subito uccisi) che, prima dell’operazione, vennero ben rifoccillati, per essere alla fine anche loro crudelmente eliminati. Resta l’interrogativo del perché Carla Del Ponte non abbia proceduto ad una inchiesta specifica con altrettante incriminazioni. Di sicuro nel gennaio 2003 partono altre incriminazioni per l’uccisione di più di 60 serbi, contro i luogotenenti del leader dell’Uck Ramush Haradinay, per il quale la Del Ponte spiccherà 37 capi d’imputazione - per crimini di guerra e contro l’umanità - chiedendo per lui 25 anni di galera, nonostante nel frattempo sia stato nominato primo ministro da Ibrahim Rugova. Il risultato? Una settimana fa Ramush Haradinay è stato assolto. Grazie all’eliminazione fisica di tutti i testimoni a carico. Gettando nello sconcerto chi quelle violenze ha subìto, e nel terrore i serbi e le altre minoranze rimaste in Kosovo. In festa invece tutti i criminali dei Balcani. Per il messaggio, infame, d’impunità.

Fallimenti e silenzi. La Del Ponte infatti balbetta quando ammette il doppio standard concesso ai leader della Nato responsabili di stragi con i bombardamenti «umanitari». Perfino il giurista Antonio Cassese l’ha rimproverata perché non ha incriminato «almeno un pilota», per esempio quello della famosa strage del treno di Grdelica dell’aprile 1999. «Non avevamo né le competenze né le prove», risponde. Dimentica che Amnesty International consegnò al Tribunale dell’Aja la sua inchiesta sugli «omicidi mirati a realizzare terrore» che illustravano decine e decine di target civili, in Kosovo e in Serbia, colpiti a bella posta dai raid della Nato. Così come vale la pena denunciare che, tra tutti i nomi della «dramatis personae» in calce, manchi quello di Naser Oric. Incriminato, portato all’Aja, l’ex comandante musulmano di Srbrenica - dove si consumò la strage di migliaia di musulmani ad opera delle milizie serbe di Ratko Mladic - è stato poi assolto e liberato dalla Del Ponte. Eppure tutti sanno che il massacro di Srbrenica dell’11 luglio 1995 deriva atrocemente dalle stragi commesse prima dalle milizie musulmane agli ordini di Naser Oric nell’area di Bratunac, lì dove ora i serbi di Bosnia hanno eretto il loro sacrario. È la giustizia a senso unico, con il «male» attribuito geneticamente ad una sola parte.

Ora le mancanze di Carla Del Ponte sono diventate un affare di stato. Non solo con la censura del governo Svizzero e con l’odio di quello di Pristina. Anche la Russia, con una iniziativa del ministro degli esteri Serghei Lavrov, ha chiesto all’Aja informazioni sui crimini contro i serbi kosovari descritti nelle sue memorie e sulle «azioni» per indagarli.

giovedì 10 aprile 2008

Traffico d'organi durante la guerra del KOSOVO? Bufala o verità?

Da resistenze.org
Segue articolo di VREME (Serbia)

Orrore nel Kosovo “liberato” dalla NATO
Estate 1999: 300 serbi rapiti e seviziati dai secessionisti albanesi dell’UCK
Enrico Vigna - portavoce Forum Belgrado Italia
07/04/2008
Una montagna di cadaveri, queste le basi fondanti il nuovo stato fantoccio del Kosovo, riconosciuto dal governo Prodi.
In questi giorni è venuta alla luce, una delle pagine più oscure ed orribili dai tempi del Terzo Reich ad oggi: il rapimento e l’assassinio di oltre 300 prigionieri serbo kosovari, avvenuto nell’estate del 1999, subito dopo l’occupazione del Kosovo da parte della Nato, con la presenza nella provincia serba di decine di migliaia di soldati della Nato, della KFOR, di rappresentanti internazionali dei diritti umani, giornalisti, pacifisti, ecc. ecc….evidentemente tutti molto distratti o troppo impegnati a raccogliere interviste e informazioni sulle presunte violenze e persecuzioni perpetrate dai serbi.
Questi uomini dopo essere stati rapiti venivano deportati in campi dell’orrore in Albania, dove gli venivano espiantati uno ad uno i vari organi del corpo, per poi immetterli nel traffico internazionale d’organi diretto verso l’occidente e finanziare così le attività dell’UCK (forse solo i nazisti erano giunti a tanto).
Questo è quanto è emerso dalle pagine del libro “ La caccia” in uscita in Italia nel mese di Aprile, un’autobiografia dell’ex procuratrice Carla Del Ponte del Tribunale Internazionale dell’Aja per la ex Jugoslavia, che ha perseguito per anni, soprattutto i leaders serbi, per le varie guerre balcaniche.
I rapiti, furono prima rinchiusi in campi a Kukesh e Trpoje, poi, dopo essere stati esaminati da dottori albanesi per poter verificare quali fossero i più sani e robusti, venivano portati a Burel e dintorni, nell’Albania centrale, dove erano ben rifocillati, curati e non torturati, in modo da essere pronti per la mutilazione degli organi.
La Del Ponte ha detto che una parte di questi era rinchiusa in una casa gialla, situata a circa 20 chilometri a sud della cittadina albanese di Burel, in una stanza vi era una specie di infermeria, dove venivano esportati gli organi ai prigionieri. Poi questi venivano spediti attraverso l’aeroporto Madre Teresa di Tirana, verso le destinazioni occidentali che avevano pagato per poter effettuare i trapianti. In questi campi vi erano anche molte donne provenienti dalle province kosovare, dalle repubbliche ex jugoslave, dall’Albania, dalla Russia e altri paesi, anche a loro furono poi estratti gli organi prima di essere uccise.
La Del Ponte, oggi ambasciatrice svizzera in Argentina, con queste rivelazioni postume, ha causato, in numerosi ambienti politici, giuridici e giornalistici, sia in Serbia che a livello internazionale, durissime reazione anche diplomatiche.
L’ex procuratrice conosceva l’esistenza di questi lager sin dal 2003, quando un testimone diretto, ex combattente dell’UCK, rese una deposizione all’Aja, sotto copertura di protezione per la sua sicurezza con la sigla “K 144”, in cui dichiarò di aver partecipato personalmente a questa operazione e che essa era stata condotta sotto la diretta supervisione di Hasim Thaci allora uno dei comandanti generali dell’UCK, attualmente primo ministro del narcostato Kosovo, autoproclamatosi “indipendente” sotto la protezione della NATO.
La Del Ponte ha dichiarato che, dopo aver avuto queste segnalazioni circa questi campi dell’orrore, fece un sopraluogo nel 2003 con un gruppo di investigatori dell’Aja ed un procuratore del Tribunale di Tirana e visitarono proprio la famigerata “casa gialla” vicino Burel.
“…Quando la visitammo era diventata bianca, ma vi erano evidenti tracce di pittura gialla scrostata, era evidente che era stata ridipinta…”. Nelle vicinanza della casa furono rinvenuti garze, medicamenti, siringhe usate, flaconi del sangue e vuoti, tracce di medicinali anestetizzanti e medicine rilassanti i muscoli, tipiche per le operazioni chirurgiche.
All’interno della casa furono anche scoperte tracce di sangue essiccato, una stanza di uno dei piani era molto pulita quasi fosse stata in precedenza disinfettata e sterilizzata, una specie di camera operatoria di fortuna. Ma in accordo con gli investigatori, pur ritenendo probabili le dichiarazioni dei testimoni circa la casa degli orrori, fu ritenuta “impossibile” l’apertura di una indagine che ricostruisse l’intera vicenda, ha dichiarato l’ex procuratrice.
Parla un testimone diretto, il teste K 144
Il testimone dichiarò che questa operazione di traffico d’organi era “…Un ben organizzato e molto redditizio business per le casse dell’UCK. Esso era controllato dai comandanti e con il beneplacito dello stato albanese…”.
“… Nel corso di questa azione furono espiantati circa trecento reni e oltre cento altri organi a questi prigionieri, in alcuni casi anche il cuore… e poi venduti attraverso l’Italia. Io so che il valore di un rene era tra i 10.000 e i 50.000 marchi tedeschi. Si diceva che quest’operazione aveva fruttato oltre quattro milioni di marchi tedeschi. Esisteva una precisa documentazione, tutti gli organi estratti erano registrati con accanto l’ammontare di quanto ricavato; i rapporti venivano consegnati ai comandanti locali, che li davano poi a Thaci in persona. Il comando UCK teneva l’80% del ricavato ed il resto veniva diviso tra gli uomini che avevano organizzato l’espianto ed il trasporto degli organi…”.
Così il testimone dell’Aja aveva descritto questa mostruosa operazione, nella sua deposizione.
Secondo lui nel 1999 esistevano, nel nord dell’Albania, più campi di prigionia per questo traffico d’organi, dove venivano portati i serbi rapiti nel Kosovo.
I nuovi Mengele: “…Era un sistema ben congeniato. Alcuni dottori visitavano i prigionieri, facevano una cartella sanitaria di ciascuno, quando arrivava dall’Italia la richiesta di quali organi servivano, essi indicavano chi andava preso per l’espianto; venivano poi anestetizzati, i loro organi estratti e poi lasciati morire…Nel caso fossero giovani e sani, dopo aver levato un organo, venivano ricuciti e curati, in attesa di levargli altri organi. Ma tornando essi tra gli altri prigionieri, questo creava panico e terrore tra gli altri, così venivano isolati…”, ha dichiarato il teste K144.
Egli ha aggiunto che i corpi venivano poi sepolti in fosse comuni lì vicino.
“…La fossa comune più grossa, con circa cento corpi di serbi, era situata a Burel nell’Albania centrale: io ho partecipato personalmente all’opera di seppellimento di alcuni serbi in quel luogo. Quando vi fu sentore di indagini e pericolo di scoperta di questa fossa, fu riaperta ed i corpi sparsi in un'altra dozzina di luoghi lì attorno…”.Questo testimone ha inoltre dichiarato che c’erano anche alcune dozzine di prostitute prigioniere, le quali dopo essere state usate per il piacere, furono poi, dopo esami medici, anche loro mutilate dei loro organi vitali prima di essere uccise.
“…Erano donne russe, romene, moldave, quando io chiesi una volta che fine avessero fatto, mi fu risposto che avevano terminato di fare il loro lavoro…”.
Questi i fatti finora documentati, ora si stanno aprendo procedimenti e denunce contro la Del Ponte, da parte di Associazioni serbe dei rapiti, da parte della Corte di Belgrado e del governo serbo che hanno chiesto di vedere il libro per poter decidere cosa fare; di Corti internazionali; di Associazioni internazionali dei diritti umani (…quelle non finanziate o supine alla Nato); di cancellerie di alcuni paesi e anche associazioni di medici e altri.
Nel frattempo il governo svizzero ha chiesto alla Del Ponte di non partecipare a presentazioni pubbliche del suo libro e di rientrare al più presto in Argentina, in quanto non è accettabile che un esponente ufficiale della Svizzera, quale è lei, divulghi quel tipo di informazioni.
Si badi bene, non si contesta la veridicità delle cose, ma semplicemente l’opportunità di dirle!
Certo è un pochino imbarazzante per la Svizzera, avendo proprio nei giorni scorsi aperto l’ambasciata a Pristina, come riconoscimento ufficiale del nuovo Kosovo.
Una cosa è certa, la verità, come sempre nella storia, a fatica, tra mille ostacoli, poco alla volta, come fili d’erba che si conquistano la luce attraverso il cemento/armato, rovesciato sulle terre jugoslave dalla NATO e dall’occidente, sta affiorando: ci sarà ancora molta strada da percorrere, ma le prime macroscopiche crepe cominciano a delinearsi anche per la tragedia del Kosovo; dalle fosse comuni mai ritrovate (dati OSCE, KFOR, FBI, UNMIK), dalle stragi mai avvenute (Racak per esempio), al genocidio mai avvenuto, alla pulizia etnica, questa sì avvenuta, ma cominciata nel giugno ’99 contro tutte le minoranze non albanesi, alla “libertà/indipendenza” conquistate… mediante la costituzione di un narcostato fantoccio, sotto l’egida NATO. E così via.
Ma è solo con la verità storica, che forse un giorno vi potrà essere anche giustizia per tutti i popoli del Kosovo Metohija, a partire dal popolo serbo, aggredito, additato, umiliato ma non ancora vinto. Nonostante tutto ancora in piedi a battersi per la verità, la giustizia, la propria dignità e identità nazionali oggi violentate e calpestate.
Allora torneranno giustizia, convivenza e multietnicità, come è ancora oggi nella Serbia multietnica e multireligiosa, dove, nonostante difficoltà e rabbie, tutte le minoranze possono ancora vivere con parità di diritti, compresa la numerosa comunità albanese, al di là di ogni etnicità.
Si può dire così anche del “ libero Kosovo” inventato dall’occidente?

Caccia ai reni

31.03.2008

Carla Del Ponte
Ancora prima della sua uscita ufficiale “La caccia”, il nuovo libro di memorie di Carla del Ponte, ha suscitato più di una polemica. In particolare in merito ad un presunto traffico di organi ai danni di prigionieri serbi durante la guerra in Kosovo. L'opinione di Dejan Anastasijevic
Di Dejan Anastasijević, 27 marzo 2008, Vreme (tit. orig. Lov na bubrege)

Traduzione a cura della redazione di Osservatorio sui Balcani


Le memorie dell’ex procuratore del Tribunale dell’Aja Carla Del Ponte intitolate “La caccia” hanno suscitato una bufera per tutta la ex Jugoslavia prima ancora che venissero pubblicate. In questi giorni, tuttavia, un episodio che la Del Ponte nomina del tutto di passaggio è giunto sui titoli di tutti i media serbi: si tratta del presunto espianto di organi su persone vive a fini di vendita sul mercato illegale durante la guerra del Kosovo nel 1999.

La Del Ponte nel libro scrive che “da fonti giornalistiche affidabili” il suo team investigativo è venuto a sapere che circa trecento serbi del Kosovo, rapiti durante la primavera del 1999, furono trasferiti nel nord dell’Albania. Questi prigionieri all’inizio furono rinchiusi in campi in luoghi come Kukes e Tropoje. Secondo le fonti dei giornalisti, i prigionieri più giovani e vitali ricevevano cibo e nessuno li ha mai picchiati, ma poi furono trasferiti nel carcere della cittadina di Burelj, a metà strada tra Tirana e Tropoje. Un gruppo di prigionieri fu incarcerato in una baracca dietro una “casa gialla” a venti chilometri a sud di Burelj, e una stanza di questa “casa gialla”, come hanno descritto i giornalisti, serviva da sala operatoria in cui i chirurghi estraevano gli organi ai prigionieri. Gli organi in seguito, attraverso l’aeroporto di Rinas nei pressi di Tirana, venivano inviati alle cliniche chirurgiche all’estero dove venivano impiegati per essere impiantati ai clienti paganti. Le vittime, private di un rene, venivano di nuovo rinchiuse nella stessa baracca fino al momento in cui venivano uccise perché gli venissero tolti gli “altri organi vitali”. “In questo modo, gli altri prigionieri della baracca sapevano quale sarebbe stato il loro destino e, secondo queste informazioni, terrorizzati pregavano per far sì che venissero uccisi subito”, riporta il testo della Del Ponte.

La Del Ponte afferma che gli investigatori del Tribunale e dell’UNMIK, con i giornalisti e un magistrato albanese, sono andati nell’Albania centrale all’inizio del 2003, dove hanno visitato la “casa gialla”, indicata dalle fonti come il luogo in cui venivano uccisi i prigionieri. “La casa adesso era bianca, il proprietario ha negato che sia mai stata riverniciata, nonostante gli investigatori avessero scoperto delle tracce di colore giallo lungo i bordi del muro. Gli investigatori hanno trovato anche delle parti di materiale sanitario e bottigliette vuote di medicinali, tra cui anche quelli impiegati di solito negli interventi chirurgici per rilassare i muscoli”, descrive l’ex procuratore. Tuttavia, afferma la Del Ponte, alla fine non sono state raccolte prove sufficienti per avviare l’indagine.

Questa storia morbosa non solo è stata per giorni la notizia numero uno sui media serbi, ma è stata presa per certa e arricchita di ulteriori dettagli. L’associazione delle persone rapite e disperse del Kosovo ha annunciato che denuncerà Del Ponte per aver coperto i crimini, mentre la procura speciale per i crimini di guerra di Belgrado ha annunciato un’indagine. Si è fatto sentire anche il portavoce del Corpo di difesa del Kosovo, organizzazione di para-polizia formata dagli ex membri dell’Esercito di liberazione del Kosovo, il quale ha dichiarato che la Del Ponte semplicemente “sta mentendo” e che le sue affermazioni sono “assurde”.
Vreme

Anche un semplice sguardo a questa parte di “La caccia” suscita molte più domande che risposte. I medici che “Vreme” ha consultato hanno preferito rimanere anonimi nel commentare quanto dice il procuratore, ma ritengono che estrarre un rene per il trapianto sia una impresa chirurgica complessa e che è difficile eseguirla al di fuori di cliniche ben attrezzate, così come lo stesso trasporto degli organi, la loro vendita e il trapianto comportano numerosi altri problemi. “Tutto è possibile se dietro di voi avete un’organizzazione di alta qualità, l’accesso a data base medici e molto denaro”, dice uno dei medici che vanta una lunga esperienza all’interno dell’Organizzazione mondiale della sanità. Tuttavia, sorge la domanda su come sia stato possibile che una tale impresa criminale, che per sua natura avrebbe dovuto includere un grande numero di collaboratori, sia rimasta fino ad ora invisibile.

Al tribunale speciale per i crimini di guerra dicono che sono pronti ad aprire un’indagine se otterranno ulteriori informazioni. Tuttavia, affermano anche che nei processi condotti fino ad ora nessun testimone ha mai nominato l’estrazione di organi umani a fini di vendita.

D’altra parte, il traffico illegale di organi, e in particolare di reni, è un affare proficuo che spesso riceve l’attenzione dei media, ma nei casi fino ad ora confermati i donatori hanno partecipato volontariamente, per soldi. A dispetto di molte storie che circolano per il mondo su persone che dopo essere state drogate si sono in seguito svegliate con una cicatrice e senza un rene, nessun caso di questo genere è mai stato confermato né oggetto di un processo. La vendita di organi è ovunque nel mondo proibita, benché ci siano paesi (per esempio l’India, il Pakistan e la Turchia) dove esiste tale prassi.

La storia di Carla del Ponte ha risvegliato il ricordo di molte storie simili che il sottoscritto ha avuto modo di sentire durante la guerra in Bosnia e in Croazia, tutte inesatte. Durante l’assedio di Vukovar, la stampa croata era piena zeppa di testi su come il reparto medico della JNA (esercito popolare jugoslavo, ndt.) estraesse dai prigionieri e dai morti gli organi e di come poi venissero trasportati coi frigoriferi a Belgrado, ma tutte queste storie si sono dimostrate una vergognosa propaganda di guerra. Con buona probabilità si può ritenere che le affermazioni di “giornalisti affidabili” che la Del Ponte ha incluso nel libro appartengano a questa identica categoria.

Con tutto ciò, ovviamente, non si vuol dire che durante la guerra in Kosovo non ci siano stati molti crimini ma forse non così attraenti per i media. Le persone i cui cari sono scomparsi durante la guerra in Kosovo, e i cui corpi fino ad oggi non sono ancora stati trovati, hanno sofferto abbastanza anche senza che la Del Ponte, con l’aiuto dei media locali assetati di sangue, gli metta in testa queste cose. Dall’aver inserito questo episodio nel libro, così come la trasmissione acritica dello stesso, non si può concludere diversamente che si tratta di una cosa senza sentimenti, amorale e dannosa.

mercoledì 9 aprile 2008

Gli intrecci dei leader albanesi-kosovari

Apc-NE/ KOSOVO, TORNA HARADINAJ: FAIDA POLITICA TRA EX UCK - FOCUS
Lotta per il potere con l'ex compagno d'armi Thaci

Di Igor Fiatti

Roma, 8 apr. (Apcom) - Il ritorno di Ramush Haradinaj riapre i giochi politici a Pristina. Appena rientrato dall'Aia, dove è stato assolto dall'accusa di crimini di guerra e crimini contro
l'umanità, l'ex premier kosovaro ha chiesto elezioni a tutti i livelli. Una richiesta che riapre la faida con gli uomini del suo ex compagno d'armi dell'esercito di liberazione del Kosovo: il
primo ministro Hashim Thaci.

La stagione della pace potrebbe così essere finita in Kosovo; almeno per quanto riguarda il fronte della politica interna. La lotta tra i veri 'padroni' del neo-proclamato stato - gli ex comandanti dell'Uck - riprende esattamente da dov'è stata interrotta tre anni fa, quando Haradinaj è andato all'Aia.
Insistendo sull'applicazione del piano del mediatore Onu Martti Ahtisaari - che è la fonte unica della Costituzione kosovara - Haradinaj ha chiesto elezioni a tutti i livelli. Lo ha fatto criticando la politica di Thaci in generale e, in modo particolare, la sua ultima uscita: "Il governo non ha un piano di
lavoro perché ci siamo concentrati sulla questione dello status".

"Lo status è solo un motivo in più per non cominciare a lavorare senza un programma, lo status è solo un dovere in più per un programma di governo". Con queste parole Haradinaj ha praticamente lanciato la nuova corsa verso l'esecutivo.

Insomma, l'ex premier prova a rilanciare la sua Alleanza per il futuro del Kosovo (Aak): durante il suo soggiorno forzato in Olanda, la formazione ha perso consensi ed è stata messa ai margini delle stanze che contano. Il suo amico Bajram Kosumi, che tra l'altro gli era succeduto come primo ministro, non è riuscito a far breccia tra i kosovari e ha racimolato uno scarso 10% nelle ultime politiche.

La rivalità tra Haradinaj e Thaci risale all'estate del 1999, quando tutti i comandanti dell'Uck si affrettano a riconvertirsi in leader politici. E in questa corsa al doppiopetto Thaci, sfruttando le simpatie che si è accattivato in Occidente, brucia tutti sul tempo.

Superato nella corsa politica, Haradinaj non si perde però d'animo. Stando ai servizi segreti tedeschi, rafforza la sua rete di traffici, stringendo accordi con il re del contrabbando di sigarette Naser Kelmendi e con Ekrem Lluka, il re dell'eroina.

Poi, per risolvere un diverbio, nel 2000 insieme a una trentina di membri del corpo di protezione civile - tutti ex Uck - a Decani attacca il quartier generale del clan Musaj, vicino alle posizioni del "Gandhi dei Balcani" Ibrahim Rugova. Ma nell'assalto rimane "ferito da schegge di granata" come si legge in un rapporto della polizia della missione Onu in Kosovo (Unmik); e grazie all'intervento di un elicottero Usa, viene trasportato prima nella base americana di Camp Bondsteel e poi
completa la convalescenza in Germania.
Solo nei primi 14 mesi dell'amministrazione Unmik, in Kosovo furono uccisi 23 ex "graduati" dell'Uck. La lista include anche uno stretto collaboratore di Haradinaj: Ekrem Rexha. Su quest'omicidio ovviamente non è mai stata fatta luce, ma in molti lo attribuiscono all'entourage di Thaci.

La rivalità tra i due ex capi paramilitari s'inasprisce quindi definitivamente quando Haradinaj arriva in politica. La regia di questo passaggio è tutta di Mahmut Bakalli: questo storico leader del partito comunista jugoslavo assembla una serie di partiti minori e mette in piedi l'Alleanza per il futuro del Kosovo. E Haradinaj si limita ad ubbidire al suo guru politico: accantona le foto con kalashnikov, sfodera una laurea e così trionfa nelle elezioni del 2004. A frenare la sua ascesa ci pensa però il Tpi, che lo accusa di crimini di guerra e contro l'umanità e lo porta a rassegnare le dimissioni dalla carica di primo ministro.

Ad accomunare Thaci e Haradinaj non c'è però solo il passato nell'Uck: i nomi di tutti e due sono finiti nell'inchiesta della polizia dell'Unmik sugli omicidi politici che, anno dopo anno, hanno falcidiato le fila del partito più influente del Kosovo, la Lega democratica del Kosovo (Ldk) fondata da Rugova.

Ora, assolto dal Tpi, Haradinaj è tornato finalmente a casa, nella sua Metohija: la parte occidentale del Kosovo che gli analisti non esistano a chiamare la "Chicago kosovara", perché il numero degli omicidi è cinque volte superiore alla media del neo-proclamato Stato.

Thyssen Krupp. Leggete.

THYSSENKRUPP, PRESSIONI SU OPERAI / MANIFESTO

La Thyssenkrupp sta facendo firmare un verbale di conciliazione ai colleghi dei sette operai morti nel rogo del 6 dicembre scorso. Un documento che protegge il gruppo tedesco da qualsiasi tipo di causa e impedisce ai lavoratori di costituirsi parte civile in m processo. La denuncia arriva dalla Fiom Cgil, come riporta un articolo del Manifesto, che interpreta il verbale come una risposta della multinazionale al fatto che i lavoratori si sarebbero costituiti singolarmente come parte civile al processo, coordinati tra loro in una sorta di “class action”. Il primo punto che ha insospettito la Fiom tocca proprio questo aspetto: il lavoratore “rinuncia a ogni pretesa o diritto comunque conseguenti e/o connessì con l’intercorso rapporto di lavoro” riguardante tredicesima, anzianità o straordinari (come è normale in questi testi), ma rinuncia anche “per danni presenti e futuri ex artt 1224, 2043, 2059,2087, 2116 c.c»”, ossia alla possibilità di costituirsi parte civile in un processo penale. Il secondo punto riguarda un aspetto collegato: il lavoratore “rinuncia a qualsiasi pretesa e/o diritto di ordine retributivo e normativo” (anch’esso normale), ma rinuncia anche a “qualsiasi diritto risarcitorio”, ossia a danni di carattere più pesante rispetto a quelli delle comuni vertenze di lavoro. Il terzo punto concerne la frase dove il lavoratore dichiara “di non avere più nulla a pretendere dalla Thyssenkrupp Acciai Speciali Temi e da chiunque altro fosse eventualmente obbligato con essa o per essa”: con questa dizione, spiega il segretario della Fiom Cgil di Torino Giorgio Airaudo, ci si riferisce “a tutta la catena di comando dell’azienda, dunque si tenta di coprire da eventuali cause i dirigenti, cosa che in conciliazioni simili non avviene mai, perché al contrario le imprese tendono a separare le proprie responsabilità da quelle dei sottoposti, anche manager”. In cambio di questa conciliazione, il lavoratore riceve una somma di buonuscita e la possibilità di ricollocarsi, possibilità comunque già prevista dall’accordo siglato tra istituzioni e parti sociali. Il segretario generale della Fiom Cgil Gianni Rinaldini ha commentato l’iniziativa parlando di “arroganza dell’azienda”, e ha annunciato che la Fiom continuerà la costituzione della parte civile.

lunedì 7 aprile 2008

Prove di inciucio

Letta-Tremonti, prove di larghe intese sul lago «Patto su 4 temi». «Sì, lavoriamo insieme»

di Federico Fubini e Paola Pica

su Corriere della Sera del 06/04/2008

Già a porte chiuse, spiazzando la platea del workshop Ambrosetti, avevano iniziato quello che poi un imprenditore ha definito «un minuetto». Sarà che Giulio Tremonti e Enrico Letta, avversari in politica, hanno una consuetudine nell' Aspen Institute, del quale sono il presidente e il vice. Ma certo chi si aspettava un duello è andato deluso e ha assistito a uno scambio di opinioni al ritmo di «caro Enrico», «caro Giulio». Non erano prove tecniche di quella «grande coalizione» che Tremonti ha rivendicato ieri di aver evocato per primo nel 2003 in Germania. Quella, ovviamente, anche Letta la esclude. Ma quando i due esponenti degli opposti schieramenti si presentano per una conferenza stampa congiunta si capisce che quel «minuetto» ha della sostanza. «Ho fatto a Tremonti una proposta - dice subito Letta -: un patto fra le tre principali forze politiche su quattro grandi temi da affrontare dopo le elezioni, chiunque vinca». La lista non è nuova: legge elettorale, superamento del bicameralismo perfetto, riordino e rafforzamento delle authority, riassetto delle competenze per riportare al centro i poteri su energia e infrastrutture che nel 2001 passarono alle Regioni. Dossier sui quali Tremonti lancia le sue frecciate, ma non chiude la porta: «Ci avete fatto perdere otto anni, almeno chiedeteci scusa. Ma queste sono cose giuste, le faremo insieme comunque». Perché, aggiunge, quando si tratta di cambiare la Costituzione «più si è, meglio è». Sulla legge elettorale l' ex ministro apre uno spiraglio. «Può essere cambiata ma non demonizziamola: senza il potere di lista nelle mani del leader, neanche il Pd sarebbe stato così nuovo». La sintonia Letta-Tremonti sembra andare oltre le riforme. Letta chiede che la prossima legislatura sia «costituente di una nuova cornice salariale»: «Leghiamo le retribuzioni alla produttività e al costo della vita dei diversi territori». E neanche su questo Tremonti si sfila. «Abbiamo già nel programma incentivi fiscali per la produttività a livello aziendale», per esempio sugli straordinari. La catena delle convergenze in stile Aspen non si spezza sul caso Alitalia. Tremonti e Letta si punzecchiano solo un po' . «La concentrazione di Alitalia in un grande gruppo pubblico europeo va bene ma a condizione che questa conservi identità e valore» e che non comporti «un esproprio» osserva Tremonti. Letta lo interrompe: «Trovo ragionevoli queste parole, peccato che siano diverse da quelle di Berlusconi». Tremonti sorride dichiarandosi invece «fedele interprete» del pensiero del Cavaliere ma avverte: «Quando l' accordo sarà pubblico, lo valuteremo». Nel dibattito a porte chiuse il centrista Udc Bruno Tabacci si era visto costretto a reagire. «Prendo atto del fair play - dice agli imprenditori - ma è una finta: i veri volti dei Poli sono quelli di Berlusconi e della coalizione dell' antiberlusconismo».

sabato 5 aprile 2008

Quale avvenire per il PdCI

In fuga dalla Cosa Rossa

di FABIO MARTINI

su La Stampa del 04/04/2008

Nuova sede e giornale per Diliberto, pronto a ripartire con falce e martello.

La nuova casa è già pronta. Telefoni allacciati, fax fruscianti, maniglie lucidate, stanze assegnate. Si tratta soltanto di far passare le elezioni e poi ai primi di maggio il Pdci di Oliviero Diliberto inaugurerà la sua nuova sede in via Tevere, a due passi dalla breccia di porta Pia. Per anni i comunisti dilibertiani hanno vissuto in affitto, ma ora hanno deciso di metter su casa e, per acquistare questo appartamento di mille metri quadrati nel borghese quartiere Salario, hanno messo in cantiere un investimento corposissimo. E sono pronti a farne un altro, altrettanto oneroso, per metter su un quotidiano di partito, destinato ad andare in edicola a partire dall'autunno. C'è già un'idea di titolo («Pietre»), che però potrebbe cambiare. Progetti eloquenti: il Pdci di Diliberto si pensa come se avesse davanti a sé un lungo avvenire da vivere per conto suo, anziché assieme ai tre partiti (Rifondazione, Verdi, Sinistra
democratica) con i quali si è unito nel cartello elettorale meglio noto come Sinistra Arcobaleno.
Curiosa discrepanza con quel che da settimane sostiene Fausto Bertinotti candidato premier dell'Arcobaleno: «Finita questa campagna, vogliamo andare oltre il cartello elettorale, nella costruzione di una nuova sinistra unitaria». Da quattro anni, con un passo alla volta (la rottura con lo stalinismo, la scelta nonviolenta, la partecipazione al governo), Bertinotti punta a metter su un nuovo Partito della Sinistra, liberato da connotati comunisti, da simboli antichi. Per concretizzare il suo progetto, Bertinotti sa che il 14 aprile l'Arcobaleno dovrà conseguire un risultato non molto distante da quel 10,2%, che equivale alla somma ottenuta nel 2006 da Prc, Pdci, Verdi. Ma se la Sinistra Arcobaleno faticasse ad attestarsi attorno a quel 7,5% segnalato dagli ultimi sondaggi pubblicabili, a quel punto il progetto rischierebbe di andare in fumo e riprenderebbero fiato i tanti nemici , del progetto bertinottiano. Primo fra tutti, Oliviero Diliberto che però - dai comunista togliattiano - sta conducendo una campagna elettorale unitaria. Lui, «Diliberija», ovviamente spiega cine è «impegnato ventre a terra per l'Arcobaleno -alcuni sono col doppio simbolo, come due giorni fa ad Asti, dove gli operai della Way Assauto avevano espressamente chiesto la presenza del leader del Pdci e non quella di «altri». Le «voci di dentro» raccontano di un progetto inconfessabile a 10 giorni dalle elezioni: una Costituente di tutti i comunisti, un nuovo contenitore più largo del Pdci e aperto a tutti quei gruppi - soprattutto dentro il Prc - interessati a ridare vita ad un Pei del Duemila. E oltretutto, col beau geste di un mese fa (casuale?) di lasciare il suo posto in Parlamento all'operaio della Thys-sen, di tempo a disposizione Diliberto ne avrà parecchio.
Per metter su un nuovo partito comunista? «È vero - dice Rina Gagliardi, intellettuale e senatrice Prc vicina a Berti-notti - ho sentito fare questi discorsi, ma ci vedo un rischio di americanizzazione, quello di una sinistra di nicchia, con tante piccole sigle politicamente insignificanti.
No, dopo il 14 aprile, con un risultata to soddisfacente e tanto più se l'esito non fosse buono, c'è una sola strada: quella di una sinistra plurale che eviti la dispersione e la frantumazione». Ma dentro Rifondazione - ecco la sorpresa - persino in piena campagna elettorale
uno dei big esce allo scoperto e dissente: «Considero le ipotesi del partito unico sbagliate», dice il ministro Paolo Ferrero in un'intervista a «Liberazione» e si tratta invece di costruire «un soggetto
plurale», «in cui ognuno stia comodamente nella casa della sinistra per quello che è, non perché costretto». Un annuncio di candidatura alla segreteria in vista del congresso autunnale del Prc, in contrapposizione a Gennaro Migliore, il candidato preferito da Bertinotti? Un analogo conflitto sta per aprirsi anche dentro i Verdi. Il loro leader, Alfonso Pecoraro Scanio (che ha evitato di fare il capolista nella sua Campania e ora risulta indagato) non si è mai eccitato per il progetto bertinottiano, ma Paolo Cento, animatore dell'ala movimentista, ha un'altra idea: «Se non avessimo avuto l'Arcobaleno come potevamo resistere ad una campagna così bipartitica? Anche un esito elettorale non soddisfacente non deve farci arretrare, la base è più avanti dei gruppi dirigenti». E' ancora presto per capire se Diliberto e Pecoraro pensino davvero alla doppietta (iscrizione dei rispettivi parlamentari al gruppo misto e poi presentazione dei simboli alle Europee), ma intanto alla chiusura nazionale della Sinistra Arcobaleno loro non ci saranno: sul palco allestito giovedì 10 in piazza Navona a Roma campeggerà Fausto Bertinotti. Intervistato da due comici, Dario Vergassola e Andrea Rivera.

giovedì 3 aprile 2008

Grassi su scioglimento PRC

== SA: BERTINOTTI,REALIZZARE UNITA' - FERRERO,NO PARTITO UNICO =

(AGI) - Roma, 3 apr. - L'Arcobaleno dopo il voto: nuovo soggetto o federazione? Viaggia in parallelo con la campagna elettorale il confronto a sinistra sul futuro dell'Arcobaleno.
Il candidato premier Fausto Bertinotti non ha dubbi: la Sinistra arcobaleno "e' una scelta di fondo, non un espediente tattico, un cartello elettorale che, passate le elezioni,
lascia le cose come erano prima".
Il movimento politico per la Sinistra arcobaleno di Pietro Folena, Antonello Falomi, Maria Luisa Boccia e Ersilia Salvato incalza: occorre raccogliere "il successo elettorale che la Sinistra arcobaleno merita e dopo le elezioni procedere senza indugi lungo la strada di una sinistra unita e rinnovata".
Bertinotti incoraggia questo percorso e sottolinea: "Serve l'apertura di un vero processo costituente del nuovo soggetto unitario e plurale della sinistra. Ognuno e' chiamato a
rapportarsi a esso senza tatticismi, calcoli di convenienza, rendite di posizione, ma dentro un percorso lungo di partecipazione e costruzione di una sinistra nuova".
Paolo Ferrero, ministro della solidarieta' sociale e esponente di primo piano di Rifondazione comunista, ammette: "C'e' una forte domanda di proseguire dopo il 13 e 14 aprile, di dare una prospettiva politica, ma c'e'e anche la domanda di poter stare in questa sinistra ognuno con la propria identita', i propri percorsi". Insomma, l'ipotesi federativa in alternativa a quella del partito unico, sostenuta con forza da un altro dei 'big' del Prc, il sottosegretario allo Sviluppo economico, Alfonso Gianni, gia' braccio destro di Bertinotti ai tempi della segreteria del Prc.
Ferrero a Liberazione dice: "Il problema e' se riusciamo a far diventare la Sinistra arcobaleno un soggetto politico effettivamente plurale, una vera casa della sinistra, in cui ognuno ci stia comodamente. Percio' considero l'ipotesi del partito unico sbagliata, perche' non
tiene conto della dialettica che ci caratterizza e che costituisce l'elemento innovativo e positivo di questo progetto".
Primo banco di prova, come segnala con forza Bertinotti, le elezioni: "Il risultato non sara' senza conseguenze nella capacita' di trasmettere la forza di un progetto convincente e coinvolgente", ma poi il confronto si trasferira' nelle forze politiche a partire dal VII congresso di Rifondazione
comunista, previsto per l'autunno.
E li' a dare battaglia ci sara' anche la piu' consistente delle aree di minoranza del Prc, Essere comunisti di Claudio Grassi e Alberto Burgio: "Si trattera' - affermano - di un'occasione importante, per il futuro del nostro partito.
Abbiamo percepito intorno a noi un forte sentimento di fiducia da parte delle compagne e dei compagni che hanno a cuore, sopra tutto, la difesa del partito, il suo rafforzamento strutturale, il suo radicamento territoriale, il rilancio di quel lavoro di ricerca e di riflessione che e' il cuore politico del progetto della rifondazione comunista. Non deluderemo queste attese. Continueremo a batterci con tutte le nostre forze contro qualsiasi spinta allo scioglimento di Rifondazione comunista, da chiunque essa provenga. Ma a nostra volta chiediamo alle compagne e ai compagni che condividono questa nostra battaglia di tenere duro, di non lasciarsi sopraffare dallo scoramento e
dalla rassegnazione. Di rimanere nel partito, dove questa battaglia va combattuta. Nessuna energia dev'essere sottratta a questo cimento". (AGI)