Una sinistra come io la penso e la fatico
di Ivan Della Mea
su Il Manifesto del 10/12/2008
Una sinistra come io la penso e la spero e la fatico può fare a meno di Vladimir Luxuria e di Domenici sindaco fiorentino autoincatenato e di Cioni fiorentino assessore e di Chiamparino sindaco di Torino e di ben due massimi: il Cacciari e il D'Alema e perfino del Grande Veltro.
Una sinistra come io la penso e la spero e la fatico può fare a meno di tutti i dirigenti presenzialisti multimediatici che la bazzicano.
Ci fu un tempo, nel triassico del Pci che, con la pratica del passaparola, ci si comunicava la comparsa di Palmiro Togliatti in tv: la qual cosa accadeva sì e no una volta all'anno perché noi comunisti eravamo discriminati dalla tv di stato e, sì, certo, su cotanto sopruso ci si ritrovava mezzi: mezzo infuribonditi per l'emarginazione e mezzo orgogliosi, orgogliosi poiché la discriminazione era per noi patente di alterità, di diversità, di opposizione al potere di lor signori; insomma, per più di un verso si leggeva e si interpretava quel nostro essere costretti fuori da ogni pollice monoscopico siccome giustezza del nostro essere altro e contro. Oggi, per dire da qualche tempo a questa parte, si corre più che disposti, anelanti spesso, per partecipare a qualsisia talk show, a qualsivoglia trasmissione, qualunque sia il palinsesto... anno zero, ballarò, maurizio costanzo show, quelli che, porta a porta, le invasioni barbariche, per dire dei più frequentati: in siffatta pratica, al più e al peggio, risolve il fare politica di gran parte dell'attuale sinistra. Essere in tv vuol dire essere. Non essere in tv vuol dire non essere. Ci fu chi un tempo disse la televisiün la g'ha paura de nissun. Ho memoria del fastidio, della stizza che provavo per l'eccessivo presenzialismo bertinottiano: elegante, arrotato, compiaciuto, ironico e io godevo alla grande allorché il nostro dialetticamente faceva strame del loro; ma il troppo stroppia e appiattisce e taglia tutte le punte sopra e sotto la banda di compressione: l'impressione, dico della mia, fu e ancora è quella di assistere a un gioco delle parti gestito da un animatore e vivacizzato da qualche comico di passo: cheppalle. Tutto questo sancisce la fine della politica intesa come rapporto vivo e vissuto tra persone fisicamente e mentalmente presenti: questa la vera invasione barbarica nella quale il mezzo la fa da padrone assoluto e stimola surrettiziamente la delega all'ascolto del teleutente poltronato.
Rimpiango l'uscita doverosa di casa, i dopocena consacrati alla sezione di partito, ai circoli comunisti, il dovere di assolvere a un dovere in cui trovava senso e sostanza un fare politica che, in prima battuta, costruiva la conoscenza tra i compagni e con quella il sentirsi e il viversi parte del partito. Non so se e quanto sia ancora possibile ritrovare questo tipo di rapporto; so che alle dirigenze nazionali di qualsisia sinistra non potrebbe fregargliene di meno perché in questo nostro presente e temo in non so quanti futuri a venire, un dirigente è dirigente e come tale riconosciuto, nella misura in cui, detto in buon palmirese togliattiano, compare multimediaticamente come tale. Credo sia per questa ragione che, sempre più spesso, mi dico e dico che nel mio passato ho vissuto il meglio del mio futuro.