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sabato 28 marzo 2009


Ecco il simbolo della lista comunista e anticapitalista che verrà presentato alle elezioni europee.

venerdì 13 marzo 2009

Pubblicato sul Financial Times (comment)

Flexibility gives way to rigidity’s virtues

By Paul De Grauwe

Published: February 22 2009 20:23 | Last updated: February 22 2009 20:23

The economic paradigm developed during the boom years was based on the idea of flexibility. The economically successful countries were those that allowed flexibility in goods and labour markets. Rapid growth lay ahead of them if they permitted companies to hire and fire without restrictions; if wage contracts made it possible for companies to adjust wages up and down quickly to changing economic conditions.

New growth models were developed by academic economists stressing the need for flexibility. International organisations chastised those countries with rigid labour and goods markets and urged them to introduce “structural reforms”. The European Commission was mesmerised by the idea of flexibility and cooked up the Lisbon Agenda with the ambition of transforming the European Union into a flexible economy.

The great role model was the US, which was seen to have a superior economic model thanks to its flexibility.

Today it is becoming increasingly clear that flexibility may not be a quality at all, but a serious handicap. Let us analyse why that is.

Since the outbreak of the financial crisis the world economy has been increasingly gripped by debt deflation. The dynamics of debt deflation are well-known and was described by Irving Fisher 80 years ago. Households and companies (including banks) faced with excessive debt have to sell assets. Asset prices decline, leading to more intense solvency problems elsewhere in the system. Companies are forced to fire workers and/or to reduce their wages. As a result, more households find it impossible to service their debt. Thus, in a debt deflation, the attempts of some to service their debts makes it more difficult for others to service their debts.

The source of the problem is the fact that the level of debt is a fixed nominal variable. The consumer who has to pay back a mortgage of $400,000 faces this rigid payback threat whatever the value of his assets or the value of his wage. Thus the problem of debt deflation is that there is one rigid variable (the value of the debt) while so much of the rest (asset values, wages, employment) is flexible. The more flexible these variables are, the more hellish are the dynamics of debt deflation and the more difficult it is to pull the economy out of it.

It follows that the most flexible economies will suffer most from this. In countries where companies can easily fire workers, or where they can cut their wages on a whim, these same workers will be hit harder by the debt deflation dynamics. They will have to sell their houses and their other assets more quickly, thereby threatening others (including banks) with bankruptcy.

When economies are hit by debt deflation they need circuit breakers. You guessed it: rigidities in wages, prices and employment contracts are such circuit breakers. They slow down the debt deflation dynamics, allowing for a more orderly retreat. Workers do not immediately lose their jobs; their wages are not cut instantaneously, giving some respite in the orderly winding down of debt levels.

Of course, these circuit breakers do not eliminate the debt deflation dynamics; they slow them down. There is one ultimate circuit breaker, however, that has the capacity to stop the dynamics. This is the social security system. “Rigid economies” have been chastised for having too generous social security systems. They pay their unemployed too much for too long. It now turns out that this ultimate source of rigidity is a great advantage. The workers that are made redundant in the rigid countries will have higher unemployment benefits that will sustain consumption and reduce the fall in prices. The debt deflation dynamics hit a floor.

One may argue that since the unemployed in the rigid countries get paid better, the budget deficits in these countries will increase more than in the flexible countries. This is far from certain though. For sure, the governments of flexible countries will spend less on unemployment benefits, but to the extent that the debt deflation leads to a stronger decline in economic activity in these countries, government revenues will decline more. As a result, budget deficits may actually increase more in the flexible countries.

The idea that flexibility is good and rigidity is bad continues to influence the minds of policymakers and analysts. Rating agencies, for example, continue to give a more favourable rating to US and UK sovereign debt based on the notion that the greater flexibility of these countries gives them a better capacity to adjust to the crisis than rigid countries such as Spain, Italy and Ireland.

The opposite is true. Today, rigidities in wages, employment and social security allow countries to deal better with the great rigidity that the fixed levels of debt impose on households and companies. We should cherish these rigidities.

The writer is professor of economics at the university of Leuven and the Centre for European Policy Studies

(trad in ITA)

La flessibilità ceda il passo alle virtù della rigidità Stampa E-mail
Scritto da Paul De Grauwe*, "Financial Times" ( trad. Francesco Fumarola per MdV)
venerdì 13 marzo 2009
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Clicca qui per la versione in inglese apparsa sul "Financial Times"
Il paradigma economico sviluppato durante gli anni del boom era basato sull’idea di flessibilità. Il successo economico fu di quei paesi che avevano introdotto la flessibilità nel commercio e nel mercato del lavoro. Una rapida crescita veniva garantita loro se si permetteva alle aziende di affittare e licenziare senza restrizioni; se gli accordi su salario facevano in modo che fosse possibile per le aziende, al mutare delle condizioni economiche, adeguare i salari al rialzo o al ribasso velocemente.

I nuovi modelli di crescita furono sviluppati da insigni economisti che estremizzavano il bisogno di flessibilità. Le organizzazioni internazionali criticavano aspramente quei paesi che avevano commercio e mercato del lavoro rigidi e li esortavano ad introdurre con urgenza “riforme strutturali”.

La Commissione Europea fu ipnotizzata dall’idea della flessibilità e si inventò l’Agenda di Lisbona con l’ambizione di trasformare l’Unione Europea in un’economia flessibile. L'esempio da seguire fu quello degli Stati Uniti, che sembravano avere un modello economico superiore grazie alla loro flessibilità. Oggi sta diventando sempre più chiaro che la flessibilità non può essere affatto una qualità, ma un handicap serio. E vediamo perché. Da quando è scoppiata la crisi finanziaria l’economia mondiale è stata sempre più stretta nella morsa della deflazione da debito .

La dinamica della deflazione da debito è ben conosciuta e fu descritta da Irving Fischer ottant’anni fa. Famiglie ed aziende (comprese le banche) per affrontare l’eccessivo debito hanno dovuto vendere i loro beni. I prezzi delle merci si sono ribassati, conducendo a problemi di solvibilità più intensa da qualche altra parte nel sistema. Le aziende hanno iniziato a prendere di mira i lavoratori e/o a ridurre i salari. Come risultato, un numero maggiore di famiglie s’è trovato nell’impossibilità di estinguere i debiti.

Così, nella deflazione da debito, i tentativi di qualcuno di pagare i debiti ha reso più complicato ad altri di coprire i propri. L’origine del problema sta nel fatto che il livello di debito è una variabile nominale fissa. Il consumatore che deve rimettere un prestito di 400 mila dollari affronta questa restituzione obbligata qualunque sia il valore dei suoi beni o il valore del suo salario. Così il problema della deflazione da debito è che c’è una variabile rigida (il valore del debito) mentre gran parte del resto (valore dei beni, salari, impiego) è flessibile.

Più le variabili sono flessibili, più infernale è la dinamica della deflazione da debito e più difficile è salvare l’economia. Ne consegue che le economie più flessibili soffriranno di più. Nelle nazioni dove le aziende possono facilmente licenziare i lavoratori, o dove esse possono tagliare i salari a capriccio, questi stessi lavoratori saranno colpiti più duramente dalla dinamica della deflazione da debito. Si dovranno vendere le case e gli altri beni più velocemente, minacciando di fallimento gli altri (banche comprese).

Quando le economie sono colpite dalla deflazione da debito essi hanno la necessità di un salvavita. Vediamo di indovinare: proprio rigidità nei salari, nei prezzi e nei contratti di impiego rispondono a questo bisogno. Frenano la dinamica della deflazione da debito permettendo una difesa più sistematica. I lavoratori non perdono immediatamente il lavoro; i salari non vengono tagliati all’istante, consentendo un po’ di tregua attraverso una riduzione regolare dei livelli di debito. Naturalmente, questi salvavita non eliminano la dinamica della deflazione da debito: la rallentano. C’è un salvavita definitivo , che possiede la capacità di fermarla. Si chiama sistema di sicurezza sociale. “Le economie rigide” sono state duramente criticate per avere avuto sistemi di sicurezza sociale troppo generosi. Sovvenzionano la disoccupazione troppo a lungo. Ma si dimentica che questa dirimente risorsa di rigidità è un grande vantaggio. I lavoratori in sovrappiù nelle nazioni rigide avranno più alti benefits di disoccupazione [ammortizzatori, ndr] che sosterranno il consumo e ridurranno la caduta dei prezzi. La dinamica della deflazione da debito si azzera.

Qualcuno può obiettare che poiché il disoccupato nelle nazioni rigide è meglio pagato, il deficit pubblico di queste nazioni crescerà più che nelle nazioni flessibili. Non è per niente certo. Di sicuro, i governi delle nazioni flessibili spenderanno meno per i benefits ai disoccupati, ma nella misura in cui la deflazione da debito produce un rallentamento più accentuato nell’attività economica di questi paesi, le entrate pubbliche diminuiranno in misura maggiore.

Come risultato, il deficit può crescere di più nei paesi flessibili. L’idea che la flessibilità è un bene e la rigidità è un male continua ad influenzare le menti di uomini politici e analisti. Le agenzie di rating, per esempio, continuano a dare rating più favorevoli al debito statale di Stati Uniti e Gran Bretagna, per via della nozione che la maggiore flessibilità di questi paesi dà loro una maggiore capacità di adattarsi alla crisi rispetto a paesi rigidi come Spagna, Italia ed Irlanda.

E’ vero il contrario. Oggi, le rigidità nei salari, nell’impiego e nella sicurezza sociale permette ai paesi di gestire meglio l’estrema severità che i livelli fissi di debito impongono a famiglie e aziende. Non dovremmo essere critici di queste rigidità.

*L’autore è professore di Economia all’Università di Leuven e al Centro per gli Studi Politici Europei
(tradotto dall'Inglese da Francesco Fumarola per MdV)