giovedì 11 dicembre 2008

Bellissimo articolo

Una sinistra come io la penso e la fatico

di Ivan Della Mea

su Il Manifesto del 10/12/2008

Una sinistra come io la penso e la spero e la fatico può fare a meno di Vladimir Luxuria e di Domenici sindaco fiorentino autoincatenato e di Cioni fiorentino assessore e di Chiamparino sindaco di Torino e di ben due massimi: il Cacciari e il D'Alema e perfino del Grande Veltro.
Una sinistra come io la penso e la spero e la fatico può fare a meno di tutti i dirigenti presenzialisti multimediatici che la bazzicano.
Ci fu un tempo, nel triassico del Pci che, con la pratica del passaparola, ci si comunicava la comparsa di Palmiro Togliatti in tv: la qual cosa accadeva sì e no una volta all'anno perché noi comunisti eravamo discriminati dalla tv di stato e, sì, certo, su cotanto sopruso ci si ritrovava mezzi: mezzo infuribonditi per l'emarginazione e mezzo orgogliosi, orgogliosi poiché la discriminazione era per noi patente di alterità, di diversità, di opposizione al potere di lor signori; insomma, per più di un verso si leggeva e si interpretava quel nostro essere costretti fuori da ogni pollice monoscopico siccome giustezza del nostro essere altro e contro. Oggi, per dire da qualche tempo a questa parte, si corre più che disposti, anelanti spesso, per partecipare a qualsisia talk show, a qualsivoglia trasmissione, qualunque sia il palinsesto... anno zero, ballarò, maurizio costanzo show, quelli che, porta a porta, le invasioni barbariche, per dire dei più frequentati: in siffatta pratica, al più e al peggio, risolve il fare politica di gran parte dell'attuale sinistra. Essere in tv vuol dire essere. Non essere in tv vuol dire non essere. Ci fu chi un tempo disse la televisiün la g'ha paura de nissun. Ho memoria del fastidio, della stizza che provavo per l'eccessivo presenzialismo bertinottiano: elegante, arrotato, compiaciuto, ironico e io godevo alla grande allorché il nostro dialetticamente faceva strame del loro; ma il troppo stroppia e appiattisce e taglia tutte le punte sopra e sotto la banda di compressione: l'impressione, dico della mia, fu e ancora è quella di assistere a un gioco delle parti gestito da un animatore e vivacizzato da qualche comico di passo: cheppalle. Tutto questo sancisce la fine della politica intesa come rapporto vivo e vissuto tra persone fisicamente e mentalmente presenti: questa la vera invasione barbarica nella quale il mezzo la fa da padrone assoluto e stimola surrettiziamente la delega all'ascolto del teleutente poltronato.
Rimpiango l'uscita doverosa di casa, i dopocena consacrati alla sezione di partito, ai circoli comunisti, il dovere di assolvere a un dovere in cui trovava senso e sostanza un fare politica che, in prima battuta, costruiva la conoscenza tra i compagni e con quella il sentirsi e il viversi parte del partito. Non so se e quanto sia ancora possibile ritrovare questo tipo di rapporto; so che alle dirigenze nazionali di qualsisia sinistra non potrebbe fregargliene di meno perché in questo nostro presente e temo in non so quanti futuri a venire, un dirigente è dirigente e come tale riconosciuto, nella misura in cui, detto in buon palmirese togliattiano, compare multimediaticamente come tale. Credo sia per questa ragione che, sempre più spesso, mi dico e dico che nel mio passato ho vissuto il meglio del mio futuro.

sabato 6 dicembre 2008

La carriera di Holbrooke

Holbrooke, già famoso per essere uno dei fautori degli "accordi di Dayton" in Bosnia e per dichiarazioni nelle quali, da americano, ha affermato "La Serbia non dovrà mai entrare a far parte dell'UE fino a quando non riconoscerà l'indipendenza del Kosovo", viene reclutato da Obama per risolvere le questioni afgane... Stiamo in buone mani...

(fonte: The Economist)

Afghanistan and the Obama administration

No dream team for Karzai
Dec 4th 2008 | KABUL
From The Economist print edition


Cynicism on the streets and a certain nervousness in the presidential palace

BARACK OBAMA has promised to make Afghanistan his foreign-policy priority. But on the streets of Kabul his electoral triumph has been greeted with jaded pessimism. A typical view is that he will make little difference. The president, Hamid Karzai, however, may fear that from his point of view, things may actually get worse.

As a first earnest of a new American resolve perhaps 20,000 extra American soldiers are to arrive in Afghanistan next year: not quite an Iraq-style surge, but much more than a trickle. And the new administration is collecting champions of the Afghan problem. The vice-president-elect, Joe Biden, is a veteran of many visits to the region. The next secretary of state, Hillary Clinton, has called Afghanistan and Pakistan the “forgotten front-line” in the war on terror, and has advocated the appointment of a special envoy to the two countries.

If she gets her way, a probable candidate for the job is her old ally, Richard Holbrooke, a former American ambassador to the UN. He is also the chairman of the New York-based Asia Society and sits on its task-force on Afghanistan with Barnett Rubin, an expert on the country. In October Mr Rubin and Ahmed Rashid, a Pakistan-based author of several books on the region, produced a paper advocating a wider regional approach to the problem—“a grand bargain”, drawing in India, China, Russia and Iran, and tackling the issue of Kashmir as well as that of the Durand Line between Afghanistan and Pakistan.

A dream team of Afghanistan-watchers, however, may be a nightmare for Mr Karzai, who enjoys a hearty, backslapping friendship with the loyal Mr Bush. Mr Obama has been sharply critical of him for not having “gotten out of the bunker” to organise the country in a way that would build confidence. Mr Biden, meanwhile, was so angered by Mr Karzai at their last meeting that he stalked out. Mr Holbrooke has also criticised Mr Karzai. Last year, he challenged him for not arresting a warlord, Rashid Dostum, accused of assaulting a rival with a beer-bottle. He asked how the president could “let the thugs back you down over a murderous warlord”. Mr Holbrooke claims Mr Karzai, facing re-election next September, responded with a shrug. He may be rueing that now.

giovedì 4 dicembre 2008

Interessante

Apc-Iraq/ Casa Bianca ritocca elenco alleati e "riscrive storia"
Osservatorio: Documenti su sito governo rivisti o rimossi

New York, 4 dic. (Apcom) - La Casa Bianca ha diffuso sul sito
internet governativo cinque differenti versioni di un documento
che riguarda la guerra in Iraq, con passaggi modificati o
interamente rimossi. Secondo il Cline Center for Democracy,
dell'università dell'Illinois, lo staff del presidente americano
George W. Bush starebbe cercando di riscrivere la storia della
guerra.

Le modifiche al testo riguardano l'elenco dei 45 Paesi che hanno
appoggiato la decisione di invadere l'Iraq del dittatore Saddam
Hussein. Sul sito della Casa Bianca, tuttavia, dopo riscritture e
cancellazioni, i Paesi al fianco di Washington nella guerra sono
diventati 49.

Il centro ammette che l'episodio potrebbe spiegarsi con un
banale errore di archiviazione, ma denuncia comunque la pratica:
"Se è lecito aggiornare documenti per essere al passo con gli
eventi - si legge in un rapporto che affronta l'argomento - non
lo è cancellare testi dagli archivi della Casa Bianca o
sostituirli con testi interamente nuovi retrodatati. In questo
caso non si tratta semplicemente di comportamento irresponsabile,
si sta riscrivendo la storia".

martedì 2 dicembre 2008

L'eutanasia in Lussemburgo

Questo articolo (pubblicato su LE SOIR - quotidiano Belga) andrebbe letto alla luce di quanto sta accadendo in Italia riguardo alla opposizione della Chiesa Cattolica Apostolica Romana alla depenalizzazione dell'omosessualità.


Euthanasie : le grand duc joue sa couronne

Rédaction en ligne

mardi 02 décembre 2008, 16:33

Comme Baudouin Ier face à l’avortement en 1990, le souverain luxembourgeois a invoqué mardi des valeurs morales pour refuser de signer une loi légalisant l’euthanasie, menaçant de plonger son pays dans une crise constitutionnelle sans précédent depuis près d’un siècle.

Euthanasie : le grand duc joue sa couronne

EPA

A 53 ans, le grand-duc Henri, qui règne sur le Luxembourg depuis 2000, est sorti de sa neutralité en informant lundi les leaders parlementaires qu’il ne signerait pas la loi sur l’euthanasie pour des raisons « de conscience ».

Révélée mardi, l’information a déclenché une tempête dans ce micro-Etat de 470.000 habitants, dont la très catholique famille régnante fait rarement l’objet de polémiques.

« Je comprends les problèmes de conscience du grand-duc.

Avec des nuances, j’ai les mêmes problèmes. Mais je suis d’avis que si la Chambre des députés vote une loi, elle doit pouvoir entrer en vigueur », a réagi à la radio le Premier ministre, le chrétien-social Jean-Claude Juncker, qui devait faire une déclaration à 18H00 (17h00 GMT).

Le texte, qui dépénalise l’euthanasie sous certaines conditions, avait été adopté en février en première lecture par les députés.

Il n’avait recueilli qu’une courte majorité, grâce au soutien des députés socialistes de la majorité gouvernementale et des membres de l’opposition libérale et des Verts et malgré l’opposition massive des chrétiens-sociaux de Jean-Claude Juncker. Ces derniers avaient exprimé la crainte d’une « banalisation de l’acte d’euthanasie ».

Pour entrer en vigueur, le texte doit cependant encore être adopté en deuxième et dernière lecture par les députés lors d’un vote prévu ce mois-ci, puis être « sanctionné » et « promulgué » dans les trois mois par le grand-duc, chef de l’Etat.

« Nous devons trouver une solution pour nous en sortir sans déclencher une crise constitutionnelle », a déclaré M. Juncker, jugeant la situation potentiellement « très grave ».

« Le grand-duc doit être politiquement neutre. Sinon, cela mènera à un débat sérieux sur la Constitution », a abondé le chef du groupe des Verts au Parlement, François Bausch.

La question d’une évolution vers une monarchie purement protocolaire, de type scandinave, est désormais ouverte au Luxembourg, confronté à sa première crise constitutionnelle depuis 90 ans : en 1919, la grande-duchesse Marie-Adélaïde était sortie de sa neutralité politique pour prendre le parti des catholiques sur une loi limitant l’influence de l’église dans l’enseignement.

La grande-duchesse avait abdiqué mais la monarchie constitutionnelle avait été confirmée par référendum. Depuis, aucun souverain grand-ducal ne s’était opposé à une décision du Parlement.

Dans un cas similaire, l’oncle du grand-duc Henri, le roi des Belges Baudouin Ier, avait estimé en 1990 que sa « conscience lui interdisait de sanctionner » une loi belge libéralisant l’avortement.

Le gouvernement et le parlement belges s’en étaient tirés par une pirouette : ils avaient « constaté que le roi se trouvait dans l’impossibilité de régner » durant quelques jours, et promulgué la loi sans signature royale.

L’utilisation d’une procédure prévue par la Constitution pour pallier une démence ou un emprisonnement du souverain avait été très critiquée en Belgique.

Depuis, et malgré l’accession au trône du roi Albert II, au catholicisme plus discret, les prérogatives royales sont régulièrement remises en cause en Belgique, sans que cela ait toutefois débouché sur une réforme constitutionnelle.

En Europe, les Pays-Bas ont en 2002 été les premiers à légaliser l’euthanasie, suivis la même année par la Belgique où le roi Albert II n’a pas fait d’obstruction.

Dans la plupart des autres pays européens, l’aide apportée aux malades incurables désireux de mettre fin à leurs jours reste un homicide.

Ferrero e Luxuria

Isola Dei Famosi: Luxuria non tornerà in politica
Lo aveva detto dopo la sconfitta elettorale che per un po' sarebbe stata lontana dalla politica e Vladimir Luxuria ha ribadito che non si candiderà per le Europee
Isola Dei Famosi: Luxuria non tornerà in politica Prima sono arrivate le critiche dei compagni di partito - nelle file di Rifondazione Vladimir Luxuria era stata eletta deputato alla Camera - che alla notizia della partecipazione di Luxuria al reality show di Rai due avevano bocciato la scelta di diventare una "naufraga", poi dopo la vittoria tutti ad applaudire e a sottolineare che la partecipazione ad una trasmissione "leggera" può servire a portare avanti le battaglie per i diritti. Il segretario del Prc Paolo Ferrero apre all'ipotesi che Luxuria possa approdare ora al Parlamento europeo. "La decisione spetta a Vladimir - precisa - ma se vorrà saremmo felici di candidarla". Una possibilità che viene però bocciata dalla diretta interessata: "Già dopo la sconfitta elettorale avevo dichiarato che non vedevo le Europee nel mio futuro immediato. Confermo questa idea". Quanto alla vittoria, l'ex parlamentare del Prc non ha dubbi: "Gli italiani - dice Luxuria - dimostrano di essere più avanti dei politici". E che il suo successo rappresenti una sconfitta del conformismo è il giudizio anche dei suoi ex compagni di partito.

Berlusconi invita Berisha

Apc-Berlusconi:Berisha vince elezioni,poi docente Universita'Liberta'
Imprenditori hanno in governo albanese un grande supporto

Roma, 2 dic. (Apcom-Nuova Europa) - Il presidente del Consiglio,
Silvio Berlusconi, durante il vertice italo-albanese, ha rivolto
un "invito pubblico" al Premier Sali Berisha "quando l'anno
prossimo vincerà le elezioni" a tenere delle lezioni
all'Università della Libertà che aprirà a marzo.

"Rivolgo - ha detto - un invito pubblico a Berisha a venire il
prossimo anno, dopo che avrà vinto le elezioni in Albania, a
tenere un corso di lezioni all'Università della Libertà che si
aprirà a marzo. Credo sarà interessante ascoltarlo per sentire
come una nazione sia riuscita a passare dal totalitarismo a una
compiuta democrazia".

Berlusconi ha poi ricordato che lui e Berisha sono "vecchi amici
e tra l'altro partecipi della grande famiglia della libertà e
della democrazia del Ppe". "La nostra collaborazione - ha
sottolineato - viene da lontano e si fonda anche sull'identità di
valori e principi ed è fatta di tanti contatti di lavoro tra i
nostri collaboratori".

Poi il premier ha osservato che "le imprese che oggi sono qui e
hanno firmato contratti per opere in Albania, sanno che avranno
in questo governo un supporto contro eccessiva burocrazia e io
posso garantire che in questo paese troveranno qualcuno che vorrà
aiutare il lavoro".

venerdì 28 novembre 2008

La Georgia potrebbe avere messo in scena la sparatoria su Kaczynski

Fonte: Euobserver.com

Georgia 'may have staged' Kaczynski shooting

PHILIPPA RUNNER

Today @ 09:59 CET

EUOBSERVER / BRUSSELS - Georgia may have staged the shooting of a convoy carrying the Polish and Georgian presidents, say leaked Polish security service reports.

South Ossetian paramilitaries fired shots near a motorcade carrying Polish President Lech Kaczynski and Georgian President Mikhail Saakashvili to the border of the disputed Akhalgori district last weekend.

The incident in Akhalgori originally discredited Russia (Photo: president.pl)

The incident highlighted the continuing presence of Russian-backed forces deep inside Georgia in violation of earlier peace treaties, but its impact has been dulled by suspicions that Tbilisi set up the events.

"At the current time and on the basis of the information obtained, the most likely scenario is that the situation may have been created by the Georgian side," a leaked Situation Report by the Polish Internal Security Agency, the ABW, published in the Dziennik daily on Thursday (27 November), says.

The report points out that the Akhalgori visit was not consulted with Polish security services, that Mr Saakashvili stopped the convoy and asked Mr Kaczysnki to step outside the car near the checkpoint and that the Georgian president and his men showed no signs of distress when the shots rang out.

The ABW cites the "difficult situation of the Georgian president with the strengthening internal opposition in the country," as a potential motive for any stunt.

The ABW report could further damage Tbilisi's reputation among EU decision makers, amid a growing consensus in Brussels that Mr Saakashvili's government was partly-responsible for the August war and has eroded its own democratic legitimacy by quashing opposition in the run up to the conflict.

Meanwhile, Polish President Lech Kaczynski has in an open letter urged the European Commission to take a tougher line on Russia.

"It is evident today that Russia is ignoring its earlier commitments, which has sadly met with an inadequately firm reaction from our side," Mr Kazcynski wrote to European Commission head Jose Manuel Barroso on Thursday (27 November).

"This is a test to see if we can contain resurgent imperialism ...it is a test of the Western world's readiness to take a firm stance, when peace, democratic values and the respect for a people's right to self-determination are under threat."

Mr Kaczynski's statement comes after the commission earlier this month pushed to restart talks on a new partnership treaty with Russia, despite Russia's violation of commitments on withdrawing forces from the EU's little neighbour.

The EU-Russia talks - focusing on trade and energy - will formally restart on Tuesday, but a series of low-level preparatory meetings is already under way.

Saakashvili ammette

Apc-* Georgia/ Saakashvili ammette di avere attaccato per primo
Il presidente georgiano davanti a commissione parlamentare

Roma, 28 nov. (Apcom - Nuova Europa) - Il presidente georgiano
Mikheil Saakashvili ha ammesso per la prima volta di avere fatto
fatto il primo passo nel conflitto caucasico della scorsa estate.
L'ammissione de facto, pubblica, è avvenuta davanti alla
commissione parlamentare georgiana che indaga sulla guerra
russo-georgiana di agosto.

"La questione non è se la Georgia ha iniziato le azioni
militari. Ammettiamo di avere lanciato quelle azioni, ma avevamo
forse un'altra scelta mentre i nostri cittadini venivano
uccisi?", ha detto Saakashvili, sostenendo che non si può parlare
dell'intervento in Ossezia del Sud come guerra, perchè "abbiamo
tentato di piegare l'intervento (russo, ndr.) e stavamo
combattendo sul nostro stesso territorio. Non un singolo soldato
georgiano ha messo piede su suolo straniero". Le parole del capo
di stato georgiano sono riferite dalle agenzie di stampa russe,
che seguono in diretta la deposizione.

Il ragionamento di Saakashvili si basa sul considerare l'Ossezia
del Sud una regione autonoma, ma parte integrante della Georgia.
Tuttavia il presidente in precedenza ha sostenuto che le truppe
russe erano già in Ossezia del Sud quando lui ha dato l'ordine di
attaccare la regione separatista. Oggi, invece, Saakashvili ha
detto che "centinaia di carri (russi) e veicoli pesanti" si
trovavano il 7 agosto alla frontiera con la Georgia, quindi si
trattato di un attacco 'preventivo'. "In tali condizioni, se mi
chiedete se la Georgia doveva lanciare azioni militari contro
tali posizioni di tiro, la risposta è sì".

venerdì 7 novembre 2008

Guerra in Caucaso, rapporto Ocse avvalora versione russa: fu la Georgia ad attaccare

Guerra in Caucaso, rapporto Ocse avvalora versione russa: fu la Georgia ad attaccare
Ossezia del sud, un tank russo
Ossezia del sud, un tank russo

Il Cremlino aveva ragione. A tre mesi esatti dall'inizio della guerra nel Caucaso, "nuovi resoconti dai osservatori militari indipendenti sullo scoppio del conflitto tra Georgia e Russia mettono in dubbio le asserzioni di Tbilisi, che sostiene di avere agito per difendersi da un'aggressione dei separatisti e della Russia". Lo scrive il New York Times.

In un lungo e dettagliato articolo in prima pagina, il quotidiano americano agomenta che "i resoconti suggeriscono che l'inesperto esercito georgiano attaccò la capitale separatista
Tskhinvali, isolata, il 7 agosto, aprendo indiscriminatamente il fuoco con artiglieria e missili, mettendo a repentaglio la vita di civili, dei peacekeepers russi e di osservatori indifesi".

Letti gli sviluppi dell'indagine - non ancora conclusa - di un team internazionale all'opera con mandato Osce (Organizzazione per la Cooperazione e la Sicurezza in Europa), il NYT, in
pratica, avalla la versione russa dei fatti sull'inizio della guerra. Il quotidiano riporta anche i commenti dubbiosi del governo georgiano, che lascia intendere di non trovare affidabile
la ricostruzione. "Chi stava contando le esplosioni? Suona un po' strano", dice il viceministro degli Esteri Giga Bokeria, poco convinto dai numeri: colpi di artiglieria e razzi a intervalli di
15-20 secondi e almeno 48 finiti nel giro della prima ora di bombardamenti in zone abitate da civili.

Ma un'accurata cronologia tratta dai documenti stilati nel corso dell'indagine lascia effettivamente pochi dubbi su chi abbia lanciato la prima operazione militare.

Sull'intricata vicenda, che ha visto Mosca e Tbilisi lanciarsi accuse reciproche per mesi, l'Osce preferisce per ora restare cauta e non commentare, anche perché il rislutato dell'inchiesta non è stata ancora ufficializzata. Il New York Times fa notare che la squadra al lavoro comprende un finlandese, un bielorusso e anche un polaccco, non facilmente sospettabile di posizioni filorusse.

mercoledì 5 novembre 2008

Scissione??

SINISTRA. DILIBERTO: PUNTIAMO A NUOVO PARTICO COMUNISTA CON PRC


(DIRE) Roma, 5 nov. - "Un partito riunificato sotto le insegne
comuniste", con queste parole Oliviero Diliberto si riferisce al
rapporto con il Prc nell'anticipazione su "Rinascita on line"
dell'intervista che sara' domani in edicola su "rinascita",
settimanale del Pdci.
Questa riunificazione, dice Diliberto, "puo' rappresentare un
punto di riferimento per le nuove generazioni che positivamente
stanno tornando in piazza a lottare, penso al movimento degli
studenti e alle occupazioni. D'altro canto vi e' un'urgenza
dettata dalle cose. In Italia si sta verificando un processo di
involuzione autoritaria che e' molto preoccupante. Le voci
dissonanti sono davvero poche. E allora quelle poche devono
riunificarsi".

Apc-Prc/ Giordano: Se Ferrero si allea con Diliberto e' scissione
All'Unità: "Unire a sinistra chi ci sta. Primarie per le liste"

Roma, 5 nov. (Apcom) - La scissione di Rifondazione non è più un
tabù, e Franco Giordano ne parla apertamente in una intervista
all'Unità: "Non possiamo coltivare micro intese - dice l'ex
segretario del Prc - se Ferrero cerca di allearsi con Diliberto,
chiudendo il recinto e così la partita, significa che vuole la
scissione dentro Rifondazione".

Alla vigilia del lancio dell'associazione unitaria che dovrebbe
fare da incubatrice al nuovo partito di sinistra, Giordano
rilancia la questione dell'unità a sinistra
"in-di-pen-den-te-men-te", scandisce, "dalla legge elettorale.
Proponiamo la densità maggiore possibile a sinistra del Pd. Chi
ci sta".

Quanto alle ricadute sulle liste per le elezioni europee, le
scelte vanno fatte "nel modo più democratico che conosco: con le
primarie", spiega Giordano.

Scissione??

SINISTRA. DILIBERTO: PUNTIAMO A NUOVO PARTICO COMUNISTA CON PRC


(DIRE) Roma, 5 nov. - "Un partito riunificato sotto le insegne
comuniste", con queste parole Oliviero Diliberto si riferisce al
rapporto con il Prc nell'anticipazione su "Rinascita on line"
dell'intervista che sara' domani in edicola su "rinascita",
settimanale del Pdci.
Questa riunificazione, dice Diliberto, "puo' rappresentare un
punto di riferimento per le nuove generazioni che positivamente
stanno tornando in piazza a lottare, penso al movimento degli
studenti e alle occupazioni. D'altro canto vi e' un'urgenza
dettata dalle cose. In Italia si sta verificando un processo di
involuzione autoritaria che e' molto preoccupante. Le voci
dissonanti sono davvero poche. E allora quelle poche devono
riunificarsi".

Apc-Prc/ Giordano: Se Ferrero si allea con Diliberto e' scissione
All'Unità: "Unire a sinistra chi ci sta. Primarie per le liste"

Roma, 5 nov. (Apcom) - La scissione di Rifondazione non è più un
tabù, e Franco Giordano ne parla apertamente in una intervista
all'Unità: "Non possiamo coltivare micro intese - dice l'ex
segretario del Prc - se Ferrero cerca di allearsi con Diliberto,
chiudendo il recinto e così la partita, significa che vuole la
scissione dentro Rifondazione".

Alla vigilia del lancio dell'associazione unitaria che dovrebbe
fare da incubatrice al nuovo partito di sinistra, Giordano
rilancia la questione dell'unità a sinistra
"in-di-pen-den-te-men-te", scandisce, "dalla legge elettorale.
Proponiamo la densità maggiore possibile a sinistra del Pd. Chi
ci sta".

Quanto alle ricadute sulle liste per le elezioni europee, le
scelte vanno fatte "nel modo più democratico che conosco: con le
primarie", spiega Giordano.

venerdì 31 ottobre 2008

Berlusconi l'unico che può proseguire l'opra di Gelli. Parola di Licio Gelli.

Apc-*P2/ Gelli: Piano Rinascita, solo Berlusconi puo' andare avanti
"Ha la tempra del grande uomo che ha saputo fare"

Firenze, 31 ott. (Apcom) - Per l'attuazione del Piano di Rinascita democratica della P2, oggi, "l'unico che può andare avanti è Berlusconi": lo ha detto Licio Gelli, gran maestro della
loggia, rispondendo alle domande dei cronisti alla conferenza stampa di presentazione di 'Venerabile Italia', trasmissione di Odeon Tv dedicata alla sua vita. "Avevo molta fiducia in Fini - ha spiegato - perché aveva avuto un grande maestro, Giorgio Almirante: oggi non sono più dello stesso avviso, perché ha cambiato. L'unico che può andare avanti è Berlusconi: non perché era iscritto alla P2, ma perché ha la tempra del grande uomo che ha saputo fare, anche se ora mostra un po' di debolezza perché non si avvale della maggioranza parlamentare che ha".
Apc-P2/ Gelli: Piano Rinascita, solo Berlusconi puo' andare... -2-
"Forza Italia, dovesse morire lui, non potrebbe sopravvivere"

Firenze, 31 ott. (Apcom) - Il gran maestro della P2 vede influenze del suo Piano nella politica attuale: "Tutti si sono abbeverati, tutti ne hanno preso spunto. Mi dovrebbero pagare i diritti ma non fu possibile depositarli alla Siae...". Gelli ha però espresso un giudizio negativo sull'esecutivo in carica: "Non condivido il Governo Berlusconi - ha detto - perché se uno ha la maggioranza deve usarla, senza interessarsi della minoranza. Non mi interessa la minoranza, che non deve scendere in piazza, non deve fare assenteismo, e non ci devono essere offese. Ci sono provvedimenti che non vengono presi perché sono impopolari, e invece andrebbero presi: bisogna affondare il bisturi o non si può guarire il malato".

Il gran maestro della P2 si è anche detto perplesso sul Lodo Alfano: "L'immunità per i grandi dovrebbe essere esclusa, perché al Governo dovrebbero andare persone senza macchia, e che non si macchiano mai". Gelli ha concluso affermando che "i partiti veri non esistono più, non c'è più destra o sinistra. A sinistra ci sono 15 frange, e la destra non esiste. Se dovesse morire Berlusconi, cosa che non gli auguro perché la morte non si augura
a nessuno, Forza Italia non potrebbe andare avanti, perché non ha una struttura partitica".

Apc-Scuola/ Gelli: Bene riforma Gelmini, ripristina un po' d'ordine
"Gli studenti non dovrebbero andare in piazza, ma in aula"

Firenze, 31 ott. (Apcom) - La riforma Gelmini è positiva perché riporta ordine: lo ha affermato Licio Gelli, gran maestro della loggia P2, rispondendo alle domande dei cronisti alla conferenza
stampa di presentazione di 'Venerabile Italia', trasmissione di Odeon Tv dedicata alla sua vita. "In linea di massima sono d'accordo con la riforma Gelmini - ha spiegato -perché ripristina
un po' di ordine. Il maestro unico è molto importante perché, quando c'era, conosceva l'alunno. Poi il tema dell'abbigliamento è importante perché l'ombelico di fuori non dovrebbe essere consentito, e poi la confidenza tra alunno e professore dovrebbe essere limitata". Secondo Gelli, soprattutto, "bisognerebbe ripristinare la personalità del professore: ho quasi pianto quando a Roma quel professore è stato malmenato e ha dovuto abbandonare la cattedra".

Il gran maestro della P2 ha quindi espresso un giudizio duro sulla protesta di piazza che in questi giorni sta attraversando l'Italia: "Le manifestazioni non ci dovrebbero essere - ha affermato - gli studenti dovrebbero essere in aula a studiare, bisognerebbe proteggere chi vuole studiare, e nelle piazze non si studia. Se viene garantita la libertà di scioperare dovrebbe essere tutelato anche chi vuole studiare, e molti in piazza non ne hanno voglia. Dovrebbe essere proibito di portare i bambini in piazza - ha concluso Gelli - perché così non crescono educati".

giovedì 30 ottobre 2008

I vendoliani

(ER) PRC. VENDOLIANI: COSTRUIAMO ALLEANZE STABILI CON IL PD
E LANCIANO ASSOCIAZIONE 'PER LA SINISTRA' CON TESSERE E SIMBOLO

(DIRE) Bologna, 30 ott. - Da Massimo D'Alema a Nichi Vendola.
C'e' un filo rosso lega l'ex ministro degli esteri al governatore
della Puglia: le associazioni. E se Red ha aperto la strada, Per
la sinistra (il nome e' ancora provvisiorio) la seguira'. Con
tanto di tessere e simbolo separato. Ma non e' l'unica via
indicata dai vendoliani in Emilia-Romagna: i seguaci del
governatore della Puglia, finiti in minoranza nell'ultimo
congresso regionale rivendicano con forza le esperienze di
governo con il Partito Democratico negli enti locali, e
propongono di ripeterle un po' ovunque nel 2009, anche per
facilitare un accordo per le regionali del 2010. Non solo:
rilanciano le liste uniche a sinistra e le primarie di
coalizione. Insomma tra meggioranza e minoranza del Prc il gap e'
evidente.
"Al dibattito bolognese e nei territori sfugge un dato di
fatto- fa notare l'ex senatore e capofila dei vendoliani in
Emilia-Romagna Martino Albonetti- il Prc da cinque anni, e in
alcuni casi da due lustri, governa in quasi tutti i capoluoghi e
in Regione Emilia-Romagna". Dunque, ora bisogna "costruire
alleanze stabili con il Pd in questa regione- prosegue Albonetti-
e vorremo arrivare al confronto sulle amministrative con liste
comuni della sinistra". Intanto, l'area Vendola avra' una sua
associazione (che sara' costituita a tutti gli effetti il 13
dicembre), con simbolo e tesseramento separati dal partito. E
aperta a tutti: dirigenti, eletti, cittadini. Proprio come Red.
Anzi: "Vogliamo essere sani concorrenti di Red", dice
Albonetti.
(ER) PRC. VENDOLIANI: COSTRUIAMO ALLEANZE STABILI CON IL PD -2-


(DIRE) Bologna, 30 ott. - Alleanze con il Pd e liste comuni a
sinistra, dunque. Ma non basta. "Le primarie di coalizione- dice
Albonetti- sono un passaggio necessario per stabilire chi la
guidera'. Mi aspetto che la sinistra possa concorrere".
Per quanto riguarda gli assetti di viale Aldo Moro, l'ex
senatore ha le idee piu' che chiare. "Abbiamo lavorato bene: il
giudizio e' positivo". Ad oggi "ci sono le condizioni per
proseguire- sottolinea l'esponente del Prc- ma se Rifondazione si
trovasse all'opposizione in tantissime realta' locali sara' piu'
difficile fare la coalizione in Regione". Tradotto: e' il momento
di "confermare il piu' possibile l'attuale assetto regionale di
governo con il Pd". Anche perche' il rischio che il partito
(assieme a Verdi, Pdci e Sd) corre e' molto alto. "La sinistra-
conclude Francesco Frieri, assessore al Bilancio del Comune di
Modena- si prepara a coltivare orticelli che non hanno nessuna
possibilita' di superare le soglie di sbarramento".

Cossiga

«Maroni dovrebbe fare quel che feci io quand`ero ministro dell`Interno (...) ritirare le forze di polizia dalle strade e dalle università, infiltrare il movimento con agenti provocatori pronti a tutto, e lasciare che per una decina di giorni i manifestanti devastino i negozi, diano fuoco alle macchine e mettano a ferro e fuoco le città (...)dopo di che, forti del consenso popolare (...) le forze dell`ordine non dovrebbero avere pietà e mandarli tutti in ospedale. Non arrestarli, che tanto poi i magistrati li rimetterebbero subito in libertà, ma picchiarli e picchiare anche quei docenti che li fomentano. » (Francesco Cossiga)

Di seguito l'intervista completa pubblicata su Nazione – Carlino – Giorno del 23 Ottobre 2008

di Andrea Cangini

PRESIDENTE Cossiga, pensa che minacciando l`uso della forza pubblica contro gli studenti Berlusconi abbia esagerato? «Dipende, se ritiene d`essere il presidente del Consiglio di uno Stato forte, no, ha fatto benissimo. Ma poiché l`Italia è uno Stato debole, e all`opposizione non c`è il granitico Pci ma l`evanescente Pd, temo che alle parole non seguiranno i fatti e che quindi Berlusconi farà una figuraccia».

Quali fatti dovrebbero seguire? «Maroni dovrebbe fare quel che feci io quand`ero ministro dell`Interno».

Ossia? «In primo luogo, lasciare perdere gli studenti dei licei, perché pensi a cosa succederebbe se un ragazzino rimanesse ucciso o gravemente ferito...».

Gli universitari, invece? «Lasciarli fare. Ritirare le forze di polizia dalle strade e dalle università, infiltrare il movimento con agenti provocatori pronti a tutto, e lasciare che per una decina di giorni i manifestanti devastino i negozi, diano fuoco alle macchine e mettano a ferro e fuoco le città».

Dopo di che? «Dopo di che, forti del consenso popolare, il suono delle sirene delle ambulanze dovrà sovrastare quello delle auto di polizia e carabinieri».

Nel senso che... «Nel senso che le forze dell`ordine non dovrebbero avere pietà e mandarli tutti in ospedale. Non arrestarli, che tanto poi i magistrati li rimetterebbero subito in libertà, ma picchiarli e picchiare anche quei docenti che li fomentano».

Anche i docenti? «Soprattutto i docenti».

Presidente, il suo è un paradosso, no? «Non dico quelli anziani, certo, ma le maestre ragazzine sì. Si rende conto della gravità di quello che sta succedendo? Ci sono insegnanti che indottrinano i bambini e li portano in piazza: un atteggiamento criminale!».

E lei si rende conto di quel che direbbero in Europa dopo una cura del genere? «In Italia torna il fascismo», direbbero. «Balle, questa è la ricetta democratica: spegnere la fiamma prima che divampi l`incendio».

Quale incendio? «Non esagero, credo davvero che il terrorismo tornerà a insanguinare le strade di questo Paese. E non vorrei che ci si dimenticasse che le Brigate rosse non sono nate nelle fabbriche ma nelle università. E che gli slogan che usavano li avevano usati prima di loro il Movimento studentesco e la sinistra sindacale».

E` dunque possibile che la storia si ripeta? «Non è possibile, è probabile. Per questo dico: non dimentichiamo che le Br nacquero perché il fuoco non fu spento per tempo».

Il Pd di Veltroni è dalla parte dei manifestanti. «Mah, guardi, francamente io Veltroni che va in piazza col rischio di prendersi le botte non ce lo vedo. Lo vedo meglio in un club esclusivo di Chicago ad applaudire Obama...».

Non andrà in piazza con un bastone, certo, ma politicamente... «Politicamente, sta facendo lo stesso errore che fece il Pci all`inizio del- la contestazione: fece da sponda al movimento illudendosi di controllarlo, ma quando, com`era logico, nel mirino finirono anche loro cambiarono radicalmente registro. La cosiddetta linea della fermezza applicata da Andreotti, da Zaccagnini e da me, era stato Berlinguer a volerla... Ma oggi c`è il Pd, un ectoplasma guidato da un ectoplasma. Ed è anche per questo che Berlusconi farebbe bene ad essere più prudente».

Una verità che fa male

Caschi, passamontagna e bastoni. E quando passa Cossiga un anziano docente urla: "Contento ora?"
Un camion carico di spranghe e in piazza Navona è stato il caos
La rabbia di una prof: quelli picchiavano e gli agenti zitti

di CURZIO MALTESE

Gli scontri di ieri a Roma AVEVA l'aria di una mattina tranquilla nel centro di Roma. Nulla a che vedere con gli anni Settanta. Negozi aperti, comitive di turisti, il mercatino di Campo dè Fiori colmo di gente. Certo, c'era la manifestazione degli studenti a bloccare il traffico. "Ma ormai siamo abituati, va avanti da due settimane" sospira un vigile.

Alle 11 si sentono le urla, in pochi minuti un'onda di ragazzini in fuga da Piazza Navona invade le bancarelle di Campo dè Fiori. Sono piccoli, quattordici anni al massimo, spaventati, paonazzi. Davanti al Senato è partita la prima carica degli studenti di destra. Sono arrivati con un camion carico di spranghe e bastoni, misteriosamente ignorato dai cordoni di polizia. Si sono messi alla testa del corteo, menando cinghiate e bastonate intorno. Circondano un ragazzino di tredici o quattordici anni e lo riempiono di mazzate. La polizia, a due passi, non si muove. Sono una sessantina, hanno caschi e passamontagna, lunghi e grossi bastoni, spesso manici di picconi, ricoperti di adesivo nero e avvolti nei tricolori. Urlano "Duce, duce".

"La scuola è bonificata". Dicono di essere studenti del Blocco Studentesco, un piccolo movimento di destra. Hanno fra i venti e i trent'anni, ma quello che ha l'aria di essere il capo è uno sulla quarantina, con un berretto da baseball. Sono ben organizzati, da gruppo paramilitare, attaccano a ondate. Un'altra carica colpisce un gruppo di liceali del Virgilio, del liceo artistico De Chirico e dell'università di Roma Tre. Un ragazzino di un istituto tecnico, Alessandro, viene colpito alla testa, cade e gli tirano calci. "Basta, basta, andiamo dalla polizia!" dicono le professoresse. Seguo il drappello che si dirige davanti al Senato e incontra il funzionario capo. "Non potete stare fermi mentre picchiano i miei studenti!" protesta una signora coi capelli bianchi. Una studentessa alza la voce: "E ditelo che li proteggete, che volete gli scontri!". Il funzionario urla: "Impara l'educazione, bambina!". La professoressa incalza: "Fate il vostro mestiere, fermate i violenti". Risposta del funzionario: "Ma quelli che fanno violenza sono quelli di sinistra". C'è un'insurrezione del drappello: "Di sinistra? Con le svastiche?".

La professoressa coi capelli bianchi esibisce un grande crocifisso che porta al collo: "Io sono cattolica. Insegno da 32 anni e non ho mai visto un'azione di violenza da parte dei miei studenti. C'è gente con le spranghe che picchia ragazzi indifesi. Che c'entra se sono di destra o di sinistra? È un reato e voi dovete intervenire". Il funzionario nel frattempo ha adocchiato una telecamera e il taccuino: "Io non ho mai detto: quelli sono di sinistra". Monica, studentessa di Roma Tre: "Ma l'hanno appena sentito tutti! Chi crede d'essere, Berlusconi?".

"Lo vede come rispondono?" mi dice Laura, di Economia. "Vogliono fare passare l'equazione studenti uguali facinorosi di sinistra". La professoressa si chiama Rosa Raciti, insegna al liceo artistico De Chirico, è angosciata: "Mi sento responsabile. Non volevo venire, poi gli studenti mi hanno chiesto di accompagnarli. Massì, ho detto scherzando, che voi non sapete nemmeno dov'è il Senato. Mi sembravano una buona cosa, finalmente parlano di problemi seri. Molti non erano mai stati in una manifestazione, mi sembrava un battesimo civile. Altro che civile! Era stato un corteo allegro, pacifico, finché non sono arrivati quelli con i caschi e i bastoni. Sotto gli occhi della polizia. Una cosa da far vomitare. Dovete scriverlo.

Anche se, dico la verità, se non l'avessi visto, ma soltanto letto sul giornale, non ci avrei mai creduto". Alle undici e tre quarti partono altre urla davanti al Senato. Sta uscendo Francesco Cossiga. "È contento, eh?" gli urla in faccia un anziano professore. Lunedì scorso, il presidente emerito aveva dato la linea, in un intervista al Quotidiano Nazionale: "Maroni dovrebbe fare quel che feci io quand'ero ministro dell'Interno (...) Infiltrare il movimento con agenti pronti a tutto, e lasciare che per una decina di giorni i manifestanti devastino le città. Dopo di che, forti del consenso popolare, il suono delle sirene delle ambulanze dovrà sovrastare quello delle auto della polizia. Le forze dell'ordine dovrebbero massacrare i manifestanti senza pietà e mandarli tutti all'ospedale. Picchiare a sangue, tutti, anche i docenti che li fomentano. Magari non gli anziani, ma le maestre ragazzine sì". È quasi mezzogiorno, una ventina di caschi neri rimane isolata dagli altri, negli scontri. Per riunirsi ai camerati compie un'azione singolare, esce dal lato di piazza Navona, attraversa bastoni alla mano il cordone di polizia, indisturbato, e rientra in piazza da via Agonale. Decido di seguirli ma vengo fermato da un poliziotto. "Lei dove va?". Realizzo di essere sprovvisto di spranga, quindi sospetto.

Mentre controlla il tesserino da giornalista, osservo che sono appena passati in venti. La battuta del poliziotto è memorabile: "Non li abbiamo notati". Dal gruppo dei funzionari parte un segnale. Un poliziotto fa a un altro: "Arrivano quei pezzi di merda di comunisti!". L'altro risponde: "Allora si va in piazza a proteggere i nostri?". "Sì, ma non subito". Passa il vice questore: "Poche chiacchiere, giù le visiere!". Calano le visiere e aspettano. Cinque minuti. Cinque minuti in cui in piazza accade il finimondo. Un gruppo di quattrocento di sinistra, misto di studenti della Sapienza e gente dei centri sociali, irrompe in piazza Navona e si dirige contro il manipolo di Blocco Studentesco, concentrato in fondo alla piazza. Nel percorso prendono le sedie e i tavolini dei bar, che abbassano le saracinesche, e li scagliano contro quelli di destra.

Soltanto a questo punto, dopo cinque minuti di botte, e cinque minuti di scontri non sono pochi, s'affaccia la polizia. Fa cordone intorno ai sessanta di Blocco Studentesco, respinge l'assalto degli studenti di sinistra. Alla fine ferma una quindicina di neofascisti, che stavano riprendendo a sprangare i ragazzi a tiro. Un gruppo di studenti s'avvicina ai poliziotti per chiedere ragione dello strano comportamento.

Hanno le braccia alzate, non hanno né caschi né bottiglie. Il primo studente, Stefano, uno dell'Onda di scienze politiche, viene colpito con una manganellata alla nuca (finirà in ospedale) e la pacifica protesta si ritrae. A mezzogiorno e mezzo sul campo di battaglia sono rimasti due ragazzini con la testa fra le mani, sporche di sangue, sedie sfasciate, un tavolino zoppo e un grande Pinocchio di legno senza più una gamba, preso dalla vetrina di un negozio di giocattoli e usato come arma. Duccio, uno studente di Fisica che ho conosciuto all'occupazione, s'aggira teso alla ricerca del fratello più piccolo. "Mi sa che è finita, oggi è finita.

E se non oggi, domani. Hai voglia a organizzare proteste pacifiche, a farti venire idee, le lezioni in piazza, le fiaccolate, i sit in da figli dei fiori. Hai voglia a rifiutare le strumentalizzazioni politiche, a voler ragionare sulle cose concrete. Da stasera ai telegiornali si parlerà soltanto degli incidenti, giorno dopo giorno passerà l'idea che comunque gli studenti vogliono il casino. È il metodo Cossiga. Ci stanno fottendo".

martedì 21 ottobre 2008

Violante alla camera nel 2003

Da ascoltare e diffondere. Da notare la faccia di Fassino.

venerdì 3 ottobre 2008

Bertinotti e il comunismo

BERTINOTTI, COMUNISMO PAROLA INDICIBILE

(ANSA) - ROMA, 3 OTT - ''Comunismo e' una parola indicibile.
Se fermi qualcuno per strada e gli dici: io sono comunista,
quello non ti capisce''. La svolta di Fausto Bertinotti e' nel
libro di Bruno Vespa ''Viaggio in un Italia diversa uscito oggi
da Mondadori'' edito dalla Rai-Eri.
Di qui la necessita' di una nuova costituente di sinistra.
Di qui, secondo Bertinotti l'errore di Ferrero di guardare con
simpatia a Di Pietro ''perche' non ti fermi piu' se dal
comunismo precipiti nel populismo''.
Bertinotti riconosce che nessuno, a parte la Caritas ''ha
capito davvero per tempo quale tragedia sociale abbia prodotto
la perdita di potere d'acquisto dei salari. Perche' tutto questo
disastro rovinato addosso alla sinistra? Innanzitutto perche',
vista la nostra efficacia ci hanno considerato inutili. Il
governo dell' Unione ha colpito l'unica risorsa della sinistra
radicale: il suo deposito di coerenza e credibilita'''.
La conclusione: ''pur essendo stato fatto cadere da destra,
anche per la sinistra questo governo ha avuto un bilancio
impresentabile''. E Prodi, chiede Vespa? ''C'e' sempre stata una sua sordita'. Nelle rare occasioni in cui si sono fatte valere
un cambio di passo, mi e' sembrato impossibile averne un
riscontro''.

martedì 16 settembre 2008

Berlusconi ha "salvato" la Georgia

(fonte: rainews24.it)

Berlusconi a Parigi: io determinante per fermare i Russi
Il premier con Putin in una foto d'archivio
Il premier con Putin in una foto d'archivio

"Sono contento di avere avuto una funzione che credo si possa dire determinante nel fermare l'avanzata dell'esercito russo in Georgia". E' un passaggio dell'intervento del premier Silvio Berlusconi all'Associazione ebraica Keren Hayesod di Parigi che gli ha consegnato un premio.

Il presidente del Consiglio è a Parigi, per incontrare il presidente francese Nicolas Sarkozy e per ricevere al Pavillon Gabriel il premio 'Personalita' dell'anno' dall'associazione di found raising ebraica, una delle più importanti in Europa e negli Stati Uniti, ha scelto il premier italiano per la sua storia politica e personale. All'arrivo Silvio Berlusconi e' stato accolto da Avi Pazner, ex ambasciatore israeliano in Italia.

La crisi del Caucaso, ha detto Berlusconi, avrebbe potuto essere una miccia, il detonatore, per tornare ai tempi della guerra fredda. Per fortuna è rimasto solo un incidente che si è potuto superare grazie alla prudenza e alla saggezza messa in campo da tutti.

Berlusconi ha aggiunto: "Restero' di sicuro cinque anni a governare il mio Paese".

Davanti a una platea di militanti ebraici il premier ha esortato ad avere molta attenzione alle frasi del presidente iraniano quando parla di distruzione di Israele perche' gia' nel secolo scorso Hitler, che pure Berlusconi non cita mai per nome, non fu preso abbastanza sul serio quando all'inizio della sua carriera minacciava il popolo ebraico.

"Credo che dovremmo avere la massima e assoluta attenzione verso le follie di chi arriva a dire solo per ragioni di politica interna che bisogna cancellare Israele - ha detto a Parigi -. Sono cose che non crediamo che siano reali, dobbiamo dar loro il senso che hanno. Ma gia' una volta un signore che sembrava democratico poi ha fatto quel che ha fatto e sapete bene a chi mi riferisco".

lunedì 1 settembre 2008

Un interessante articolo sulla crisi Georgiana-Osseta

Stupisce più che per i contenuti, per l'autore e soprattutto per la fonte: EuObserver.

http://euobserver.com/7/26656

[Comment] The West must stop bullying Russia

JAN OBERG

29.08.2008 @ 19:03 CET

EUOBSERVER / COMMENT - I was part of a TFF fact-finding mission to Georgia, South Ossetia and Abkhasia in 1993. That the 7 August war would happen was predictable, albeit not the exact time.

One can see this easily if one begins to look at the wider time frame, going back some 20 years.

Let's have another look at just how successful the West was with the dissolution of the terrible Soviet Union, overseen by the visionary leadership of a man we should still all be deeply grateful to, namely Mikhail Sergeyevich Gorbachev.

Georgia currently has the highest average growth rate of military spending in the world. (Photo: KFOR, Helmut Vogl)

In 1989, Gorbachev withdraws from Afghanistan and set Sakharov free. There is no reaction in the West. His entire philosophy of change deprives the West of its beloved enemy.

Gorbachev then suggests an entirely new security structure, a 'European House' with the OSCE and the UN as centerpieces. The triumphalist West ignores it.

Gorbachev asks for economic support in the West for his perestroika and glasnost gambits, to create what would have been an open social democratic-inspired society. The G7 decides to ignores it and gambles on Yeltsin, a populist with no similar vision or charisma.

The West, understandably, wants to unite Germany, but this represents a great threat for historical reasons in the eyes of the Russians. Russia is however promised that NATO will not expand.

The Warsaw Pact is dissolved, but despite promises, NATO remains and expands rapidly. Moreover, it maintains its right to pre-emptive use of nuclear weapons.

The Clinton administration begins a huge US military expansion programme in 1992, building bases, positioning advisers and infiltrating ministries with 'advisors' and people from mercenary firms in Eastern Europe, including Yugoslavia, and all around Russia. Russia's protests about its 'near abroad' are ignored.

Serbs are cast in the role of the perennial and sole bad guys during the Yugoslav wars of the 90s - as the Russians of Yugoslavia - expansionist and dangerous vis-à-vis smaller allegedly freedom-loving democratic actors such as Croatia's Franjo Tudjman, Bosnia's Alija Izetbegovic, and Kosovo's Agim Ceku.

NATO's bombing of Serbia and Kosovo violates all international law, takes place without UN Security Council mandate and leaves a thoroughly destroyed country behind. Russian arguments for a negotiated solution are ignored.

And now we are seeing the imposition of Ballistic Missile Defence, BMD, which is not a defensive system at all, but instead allows US territory to be protected against retaliation if the US launches a nuclear attack on another country. Russia thinks it is a bad idea - as bad as a similar system set up by the Russians across the border in Mexico would appear to the Americans.

As a show of respect for democracy, the deal has been made with Poland despite a full 90 percent of the people against BMD being situated on their territory. Russian worries about the system are repeatedly ignored. The system is supposed to protect us against rogue actors such as Tehran, but when Moscow offered to site the BMD on its territory closer to Iran, the US declined the offer, confirming Russia's fears that BMD is in fact aimed at her instead.

Then this year, the US and most EU member states decide that Kosovo shall be an independent state. All substantial Russian arguments for a negotiated compromise and predictions of that secession stimulating secession elsewhere are ignored.

Russia­ is increasingly being seen as the great new threat from whom NATO will protect us, despite the country having military expenditure that is roughly five percent of that of NATO, seven percent of that of the United States, and 13 percent of that of the EU.

US strategy and interests

Where is Georgia in all this?

As early as 1993, while visiting US offices in Tblisi, I was told that this Caucasian state was a centerpiece of US strategy and interests in the region. Georgian officials meanwhile told me that they were just waiting for Georgia to be selected to host the huge oil and gas pipelines, and then it would become a regional power to be reckoned with.

The US has since conducted a series of comprehensive train-and-equip programmes organised by the Pentagon, US Special Forces and US Marines, with Georgia becoming a member of NATO's Partnership for Peace member in 2004. One might also mention in passing that often neglected in any discussion of Georgian defence, is Israel's considerable military support for Georgia and the fact that her defence minister, Davit Kezerashvili, is a former Israeli with close links to the country's defence industry.

Despite Georgia's deep poverty, the country's military spending is substantial. In late June, the Georgian government increased the defence ministry's budget of 513 million laris (US$315 million) by 442 million laris ($US260 million), according to the Institute for War and Peace Reporting.

According to the Stockholm International Peace Research Institute, Georgia currently has the highest average growth rate of military spending in the world. Some independent experts are worried that the spending is not fully accounted for, while others say that it could undermine the peace processes with the breakaway territories of Abkhazia and South Ossetia.

The military budget of Georgia increased 50 times over the period from 2002 (US$18 million) to 2008 (US$900 million), reaching almost nine percent of Georgia's GDP.

Georgia, a very loyal partner in the US war on terror, is also the third largest occupying force in Iraq, present also in Afghanistan and has been to Kosovo. It would be naive to think that Georgian President Mikheil Saakashvili had not obtained Washington's green light for his attack on South Ossetia.

Consideration of history

This region is as complex as the former Yugoslavia, with as much history of traumas, ethnic quarrels, minorities within minorities, economic and constitutional crises and corruption. The future is bleak for us all if wars similar to those in the Balkans in the 1990s were to break out in the Caucasus once more, dragging in Russia and Europe. Bleak­ that is, unless somebody stops to think instead of merely reacting and justifying their own participation in this sorry game of militarism and power politics.

To diffuse this crisis, there needs first to be at least a little consideration of history. Next, some little empathy with non-US and non-EU actors. There must also be recognition that Western actions are not always innocent in their consequences. We must understand the utter counter-productivity of militarisation and its psycho-political effects.

Additionally, it would be helpful if Western mainstream media would stop re-cycling the Cold War stereotypes of an ever-aggressive Russia and disseminating, Pravda-style, only what Western militarist elites say.

The art of reading and asking good questions should re-enter international journalism and foreign policy reporting, freeing the profession from complicity in any future war in the region - a war that would certainly be much larger than what we have seen thus far.

Above all, we must remember that negotiations are far superior to threats and fear-mongering.

The Russians have now said: This far, but no longer. It would be wise of the West to listen to the warning. It is not in its own best interest to continue bullying and humiliating Russia.

Jan Oberg is Director of the Transnational Foundation for Peace and Future Research in Lund, Sweden

mercoledì 30 luglio 2008

Vendola su esito congresso

Caro Vendola, sono veramente contento che hai perso il congresso...


Fonte: Manifesto



MANIFESTO
RIFONDAZIONE
«Una bellissima sconfitta, lavoreremo per la sinistra»
Dopo il congresso, Vendola guarda alle elezioni locali e alle europee. «Il partito è irriconscibile. Ma non lavoreremo a far cadere Ferrero, rilanceremo il nostro progetto politico» lavoreremo per la sinistra» Di scissione non si parla. Perché «dobbiamo salvare il partito»
Micaela Bongi

Sconfitto al congresso del Prc da una maggioranza costruita con tre mozioni intorno alla candidatura del nuovo segretario Paolo Ferrero, annunciando il ritiro dalla corsa per la segreteria domenica Nichi Vendola era stato definitivo: «Considero questo congresso come la fine della storia di Rifondazione come l'ho conosciuta in 38 anni di militanza». Chiuse le assise, il presidente della Puglia non cambia idea.
Hai detto che non esiste più il Prc di prima. Ora ce ne sono due?
Intanto è molto importante rendere comprensibile questa mutazione genetica. La fine di quella vicenda che ha avuto nella fase della coabitazione tra Cossutta e Bertinotti una sua rappresentazione particolarmente simbolica. La convivenza di culture diverse che convergevano su un punto fondamentale: Rifondazione intesa come la ricostruzione di un partito di massa, fuori da qualunque tentazione minoritaria. Rifondazione come soggetto capace di connettere pratica sociale e iniziativa politica. Rifondazione come cantiere dell'innovazione. Non solo un partito, ma una traccia di lavoro. Rottura con lo stalinismo e assunzione della nonviolenza come nuova grammatica dell'agire politico. Questa storia è stata Rifondazione. Oggi Fausto Bertinotti, io o Franco Giordano siamo all'opposizione; al governo del partito c'è Falce e Martello. Si muovono verso una linea politica che oggettivamente è l'unità dei comunisti, la regressione identitaria è palese.
Tu sei andato oltre. Hai accusato chi ha vinto il congresso di giustizialismo e plebeismo.
Nel corso degli interventi ho sentito espressioni paradossali benché emblematiche, si è parlato di costruire il nuovo Cln con Di Pietro. Come se esistesse una domanda di legalità sganciata dalla questione sociale. L'antipolitica non è una sacrosanta manifestazione indignata. L'epicità di una piazza scandalizzata è quello che sta in superficie. Antipolitica è diffondere una cultura del potere mistificante. Noi rubavamo a Pasolini la metafora del Palazzo. Ma lì non c'erano solo i ministri, anche altri poteri, i petrolieri.... Oggi si identifica il potere con la Casta. Al congresso ho sentito anche un'analisi della sconfitta disarmante, teorizzare che non è tanto la destra che ha vinto ma è la sinistra che ha perso per me è sconvolgente. La destra si è insediata dentro ogni interstizio della società, dentro ogni transistor del sistema delle comunicazioni, nella produzione di simboli, di immaginario.
Dunque le polemiche sul giustizialismo non riguardavano solo la presenza di Ferrero a piazza Navona con Di Pietro? Lui ha risposto che in quella stessa piazza c'erano Claudio Fava e Fabio Mussi, di Sd, e i Verdi, con cui volevate fare la costituente di sinistra.
Mussi e Fava sono stati lo spauracchio del congresso, non puoi recuperarli in corner perché ti sono utili. Io non parlo di piazza Navona, ma della nostra cultura. Del fatto che siamo stati accusati di violazioni al sud come se quello fosse il nostro costume per fare la battaglia congressuale, senza alcun garantismo. E poi sono state proposte analisi minimaliste e ricette massimaliste, come se bastasse la vecchia formuletta «in basso a sinistra». Una riedizione un po' volontaristica dell'autonomia del sociale. Non c'è un sociale immacolato, c'è un sociale complicato. Non è che siccome siamo stati inefficaci quando eravamo nelle istituzioni ora, duri e puri e capaci di presenza, riusciremo a riguadagnare l'operaio della Fiom che ha votato Lega. C'è una tale livello di astrattezza... Tutto un dover essere, una deontologia dei piccoli gruppi che rimuove il tema del mondo dei lavori per come essi si sono plasmati. Parliamo di una precarietà che non ascoltiamo. Come si può pensare che la riduzione alla sloganistica possa consentirci di intercettare un mondo giovanile capace di esprimere domande di cambiamento... E se nel mio congresso si dice che non è importante che un leader sappia usare i congiuntivi? La storia dei comunisti è stata storia di impegno per l'alfabetizzazione contro qualunque rappresentazione della classe come una plebe. E poi la questione del mezzogiorno. Certo, una contesa così aspra come quella del congresso porta all'esposizione delle proprie viscere. Ma qui nell'immaginario del partito del nord si è radicato un pregiudizio sul partito del sud. Si è costruito un preconcetto molto brutto. L'insieme delle cose che ho descritto è esplicativo di come sia potuto accadere che si sia formata una maggioranza eterogenea, raccogliticcia e improbabile tra ex Dp, Ernesto, Falce e Martello.
Collante di quella maggioranza non è stata la volontà di chiudere con la passata gestione del partito?
A dirigere il partito c'era Ferrero, c'era Russo Spena, non c'ero io. Io ero nella trincea pugliese.
Non pensi che anche il tuo chiamarti fuori dalle responsabilità, tra l'altro essendo il «delfino» di Bertinotti, ti abbia danneggiato?
Al congresso ho sentito anche che il più grande dissenso da Bertinotti l'ho esercitato io, all'epoca del governo Dini. Ho praticato autonomia di pensiero e anche il diritto a sbagliare. Diciamo che mi è stata rimproverata una tendenza al leaderismo per una proposta di candidatura esplicita votata da 21.000 iscritti a fronte di una candidatura «in sonno», quella di Ferrero. La mia candidatura è stata rappresentata come proposta di scioglimento del partito, una falsificazione. Questo elemento fa parte del degrado della vita interna. E' indicativo di come il Prc sia parte del problema che si chiama «crisi della sinistra»: il dileggio, la pulsione belluina nella contesa denigratoria, la perdita dei vincoli solidaristici. Tutto questo è entrato nel Prc. Sono stati commessi danni molto gravi, è stato inquinato tutto il campo.
A proposito di leaderismo, non hai pagato anche il fatto di essere stato l'uomo delle primarie e il «governatore» della Puglia?
Bisognerebbe avere un atteggiamento laico. Le primarie in Puglia sono state un fatto dirompente, di partecipazione, di innovazione, non è che hanno portato all'emersione del fenomeno televisivo Nichi Vendola, dietro c'erano anni di battaglia nel territorio.
Ma non è detto che quel sistema sia stato digerito da tutto il partito.
La capacità di presa di parola nel partito è stata limitata con la limitazione del tesseramento, considerato come una minaccia o frutto di possibile falsificazione e non come una domanda. Io credo che fosse corretto rendere esplicite le candidature. Abbiamo semmai assistito a un episodio di leaderismo costruito sul primato della tattica. La non candidatura di Paolo pesava come la mia candidatura. E in quella non candidatura c'era la libertà dell'aggressione personalizzata. Poco male. Ma dover ascoltare anche la mitologia per cui Ferrero era diventato l'interprete della base quando era stato ministro del governo Prodi...
Ha detto di aver sbagliato.
Una parte di quelli che hanno sbagliato deve essere processata e un'altra promossa?
E ora, come si qualificherà nell'azione politica dei prossimi mesi la differenza tra queste due parti?
La nostra area resterà nel Prc, e sarà protagonista concretamente nei territori della ricostruzione della sinistra. Non lavoreremo perché inciampi la segreteria di Ferrero, lavoreremo per preservare una prospettiva che quella segreteria non garantisce. I nodi verranno presto al pettine, ci sono le amministrative - e già nella nuova maggioranza si discute sulla permanenza nelle giunte - e le europee, già vedo una bella rimpatriata comunista e anticapitalista. Ci possono essere conseguenze sul piano europeo e nazionale, io lavoro per evitare queste conseguenze.
Intanto la tua area, Rifondazione per la sinistra, continuerà a dialogare con Sd e i verdi?
La mia area nasce con questo Dna, va verso la riaggregazione a sinistra.
Fino a quando sarà possibile evitare la scissione? Alle europee come arriverete?
La scissione è stata un'altra invenzione propagandistica. Ho subito una bellissima sconfitta che mi consegna una grande forza maturata nella durezza di questo scontro. E mi sento di poter agire dentro questo spazio che è Rifondazione nella prospettiva che venga sconfitta sul campo la tendenza al minoritarismo senza politica. Ho sempre detto che il Prc è il luogo del mio senso e del mio dissenso. Qui resto, anche per responsabilità. Oggi ci sono una piattaforma e un gruppo dirigente col fiato corto. Non c'è risentimento, ma la necessità di essere impegnati a salvare il partito, un pezzo indispensabile per il futuro della sinistra.
E il rapporto col Pd, che nello scontro feroce è sembrato il principale oggetto del contendere?
Per una maggioranza di questo partito che ogni tre parole dice «comunista» bisognerebbe ricordare i classici. La necessità di alleanze con i borghesi di pagine marxiane e quel richiamo metodologico di Togliatti all'analisi differenziata. Noi quando facciamo politica non siamo dentro a una chiesa, né valdese né cattolica, siamo in un luogo nel quale le cose attorno a noi si muovono. Il Pd significa o esorcismo o ingresso in prigione? Mai col Pd o prigionieri del Pd? Autonomia non è autismo, un di meno di interlocuzione. Bisogna aprire un terreno di sfida, una contesa delle idee, fare l'analisi di come va quel progetto, di come si argina la deriva moderata.
Nel Pd, il vostro congresso lo ha vinto Veltroni e perso D'Alema?
Alla fine il «mai con la sinistra radicale» si sposa bene col «mai con il Pd». Vince chi non fa politica, l'autoconsolazione rispetto a una tempesta che ci sta radendo al suolo.
Non sarebbe stato meglio un congresso per tesi?
Non si può cominciare una discussione con un atto violento e fraudolento come quello che si è consumato nel primo comitato politico nazionale dopo le elezioni. Non si può intervenire violentemente sul gruppo dirigente, caricarne un pezzo di qualunque colpa, fare una drammatica conta interna all'indomani di una brutale conta esterna. Quel Cpn ha segnato profondamente le nostre vicende portando a questo esito sciagurato. La defenestrazione di Franco Giordano e quella simbolica di Bertinotti sono l'atto costitutivo del nuovo gruppo dirigente. Per quanto mi riguarda non sono pentito, non tornerei indietro.

D'alema su congresso PRC

(corsivo mio)

==D'ALEMA: LA SINISTRA ERA ORIGINALE, ORA E' TORNATA NORMALE


(ANSA) - ROMA, 30 LUG - ''Speravo che si potesse arrivare a una coalizione di forze diverse, in grado di costruire una sinistra di tipo rosso-verde. La sensazione e' che invece ci sia un arroccamento che ricorda piu' certi gruppi della sinistra extraparlamentare di una volta, di matrice un po' stalinista''. Lo afferma Massimo D'Alema, esponente del Pd, al termine del congresso del Prc, in un'intervista su 'Liberazione'. Di Paolo Ferrero, nuova guida del Prc, D'Alema pensa che sia ''una persona assolutamente ragionevole. Non dico certo che lui sia un estremista. L'ho conosciuto bene durante l'esperienza di governo: qualche volta avrebbe potuto essere piu' combattivo''.
''Si e' chiusa l'era di Bertinotti. Bertinotti immaginava una forza di sinistra critica, che pero' non rinunciasse a misurarsi col tema del governo e della trasformazione''.
Sulle elezioni fallimentari del Prc l'ex ministro degli esteri ha una sua spiegazione: ''io credo che la sconfitta della sinistra radicale sia dovuta fondamentalmente al modo nel quale ha vissuto l'esperienza di governo. Il rapporto tra sinistra e Pd si e' consumato nell'esperienza di governo. La difficolta' di tenuta da parte del Prc e' stata evidentissima. E io credo - conclude D'Alema - che siano state evidentissime anche le rincorse estremiste tra Rifondazione e Diliberto, sia sulla
politica estera che sulle questioni sociali''. (ANSA)

lunedì 28 luglio 2008

Commenti congresso PRC

DA LEGGERE
http://www.appelloprc.org/Corsera.pdf
http://www.appelloprc.org/Unit%C3%A0.pdf

Commenti dal PD su congresso PRC

Apc-Prc/Latorre:ha vinto un rassemblement di un'altra epoca (Corsera)
Ora spetta al Pd allargare il suo raggio d'azione

Roma, 28 lug. (Apcom) - All'indomani della conclusione del
congresso di Rifondazione Nicola Latorre, vicecapogruppo del Pd
al Senato, ne commenta l'esito in un'intervista al Corriere della
Sera: "Avevamo ragione a dire che le due piattaforme congressuali
erano radicalmente alternative: una, quella di Vendola,
interpretava l'idea di un soggetto politico profondamente
innovativo nella forma, e orientato a portare in un'esperienza di
governo le istanze di una sinistra radicale. L'altra piattaforma
invece mette insieme di tutto, dalle case del popolo ai
trotzkisti, si espone a rischi, è un rassemblement di un'altra
epoca, tutto identitario, che si rifugia in accampamenti ormai
vuoti, vecchissimi, in cui non si danno risposte alla crisi
aperta dal voto di aprile e in cui si ripetono parole che non
significano più nulla".

"Certamente adesso - conclude Latorre - il Pd ha ancora più di
prima la responsabilità di mettere in risalto il carattere
riformista della nuova sinistra che rappresentiamo, e che deve
allargare il suo raggio d'azione. Perché è indubbio, c'è un'area
sempre più vasta dal punto di vista sociale che reclamerà la
rappresentanza sociale del Pd".

PRC: SORO, HA VINTO CHI RINUNCIA A GOVERNARE CRESCE LA DISTANZA DA PD =

Roma, 28 lug. (Adnkronos) - ''Vince la sinistra a vocazione
minoritaria, che rinuncia a governare le sfide del nostro tempo e si
limita a coltivare una nicchia autoreferenziale''. Antonello Soro,
intervistato da 'La Repubblica', spiega che con la vittoria di Paolo
Ferrero al congresso ''si amplia la distanza tra noi e il Prc''.

Secondo il capogruppo Pd alla Camera ''e' la prova che quello
che abbiamo fatto era indispensabile, che non era possibile mantenere
in vita il centrosinistra nella forma originaria''. Piu' facile adesso
scegliere l'alleanza con l'Udc? ''Con Casini -spiega Soro- dialoghiamo
perche' stiamo entrambi all'opposizione. Il tempo delle alleanze
verra' piu' avanti e le decideremo sulla base dei programmi. Per ora
constatiamo che Ferrero coltiva la vocazione minoritaria''.

Esito del congresso PRC

Ferrero nuovo leader di Rifondazione Comunista. Ma il partito è spaccato
Paolo Ferrero

Paolo Ferrero e' il nuovo segretario di Rifondazione Comunista e Nichi Vendola e' il leader della minoranza. Sulle note di Bella Ciao, l'Internazionale e Bandiera Rossa cantate dai delegati, il VII congresso si e' concluso come in pochi si aspettavano alla vigilia. A guidare un partito ai minimi storici dopo la batosta elettorale e la scomparsa dalle Aule parlamentari non sara' il governatore della Puglia, in pole per una leadership 'benedetta' anche da Fausto Bertinotti, ma l'ex alleato di maggioranza che ha saputo trovare un'intesa con tutte le correnti del partito riuscendo ad ottenere 142 voti di maggioranza.

Fallito ogni tentativo di trovare un accordo, Rifondazione e' andata alla conta, prima per la votazione dei due documenti politici, quello che raccoglieva le minoranze intorno all'ex ministro e il documento presentato dai Vendoliani e poi nella scelta del segretario. Ed il risultato consegna una maggioranza dal volto multiforme: Nella segreteria del partito che sara' eletta nel primo Comitato politico di settembre siederanno compagni dalle storie diverse. Per la prima volta ci saranno i trotzkisti di Claudio Bellotti mentre fara' ritorno Claudio Grassi, leader della corrente di Essere Comunisti che negli anni passati ha ricoperto l'incarico di tesoriere. Insieme a loro ci saranno poi i rappresentanti dell'Ernesto, la minoranza di Fosco Giannini. La 'rabbia' dei 'vendoliani' era difficile da nascondere, anzi, il ragionamento che si faceva a caldo era che l'accordo tra Ferrero e le altre mozioni era chiuso da mesi.

Sepolta l'ipotesi di una costituente di sinistra con il cambio di casacca della maggioranza interna, la nuova Rifondazione di Ferrero ripartira' "dal basso" costruendo "un'opposizione sociale al governo Berlusconi". Nessuna ipotesi di superamento del partito o scioglimento in altri soggetti della sinistra, anzi, ripartire il prima possibile con il rilancio del partito che dovra' presentarsi alle Europee con il suo simbolo. Ma soprattutto "autonomia" dal Partito Democratico.

Il neo segretario poi tende la mano alla minoranza guidata da Vendola ribadendo l'intenzione di procedere ad "una gestione unitaria del partito" e facendo intendere di considerare anche i 'vendoliani' parte della segreteria.

Gli sconfitti pero' non sembrano pensarla allo stesso modo. Nichi Vendola rinuncia alla corsa contro l'ex ministro della Soldarieta' Sociale, un passo indietro dalla 'conta' al comitato politico ma non dalla battaglia interna. La scelta di Ferrero e' "un errore" dice il governatore della Puglia che poi se la prende con la neo maggioranza, una plastica "dimostrazione di dove ha lavorato culturalmente il leaderismo" e cioe' "alla ricerca certosina di alleanze utili a disseppellire il leader".

Parole che non piacciono al neo segretario e che indicano subito il clima dentro Rifondazione. Il segretario del Prc bolla come "insulti" alcuni interventi e poi rivendica l'accordo trovato con gli esponenti delle altre mozioni. "A vincere il congresso e' una coalizione - sottolinea - che ha un accordo su una base politica".

A settembre dunque partira' ufficialmente la battaglia dentro il partito. L'ala vendoliana rivendica una maggioranza compatta contro una vittoria "striminzita" come la definisce Gennaro Migliore. La vittoria di Ferrero spariglia anche gli ex alleati dell'Arcobaleno. Se Claudio Fava di Sinistra Democratica parla di "un forte arretramento", il leader del Pdci Oliviero Diliberto si dice convinto che "possa iniziare un percorso comune".

venerdì 11 luglio 2008

confronto tra Grassi e Migliore

Interessante confronto tra l'estrema destra della mozione Vendola (Migliore) e l'estrema sinistra della mozione Ferrero (Grassi).

Ad una prima lettura sembrano divisi su tutto, ma leggendo attentamente si nota che c'è comunanza su tanti punti.

Migliore indegno nella sua celebrazione continua del bertinottismo.
Grassi ambiguo, tentennante, timido e troppo cerchiobottista.

http://www.esserecomunisti.it/index.aspx?m=77&f=get_filearticolo&IDArticolo=24077

giovedì 10 luglio 2008

Rifondazione Comunista è anche ciò.

Rifondazione in Calabria. Così si suicida un partito

di Francesco Paolillo

su Il Manifesto del 10/07/2008

C'è chi giura di aver visto votare gente che, fra il primo ed il secondo piatto, si allontanava da un matrimonio per partecipare al congresso di circolo. Chi, invece, è inorridito vedendo compagni portare alle urne infermi quasi barellati. E chi, poi, ammette di aver riconosciuto giovani di An o Udc partecipare alla scelte delle mozioni. Per molti sono semplici illazioni, per altri la prova provata che a Reggio Calabria Rifondazione va rifondata.
Dunque, l'annullamento del congresso di «Reggio centro» è probabilmente solo la punta di un iceberg. Sono tanti i lati oscuri del congresso di Rifondazione comunista nella città dello Stretto. Abbastanza da frantumare un partito già bloccato da anni di commissariamenti e provato da uno scontro che sta velocemente sbriciolando rapporti, amicizie, sentimenti costruiti in anni di militanza. Quello che sta accadendo nella provincia reggina non è soltanto un duro e serrato confronto sulle mozioni «Vendola» e «Grassi-Ferrero-Mantovani». E' di più. E' una vera e propria guerra fatta d'ingiurie, ricorsi e carte bollate che ha coinvolto fratelli, sorelle, persone che un tempo dividevano tutto e che adesso si gettano addosso infamie, incubi, fantasmi.
L'orlo del precipizio è vicino, almeno quanto il congresso nazionale di Chianciano, e vista la situazione tanto delicata, Nichi Vendola ha deciso di scendere in città per ben due volte nel giro di pochi giorni. Lo ha fatto qualche settima fa per incontrare la base e parlare del proprio progetto, lo farà fra poche ore partecipando alla festa del lavoro della Cgil Reggio-Locri. Sa bene, infatti, che la Calabria sarà una regione determinate per le sorti del partito. Che vada bene a lui o che la spuntino gli altri, rappresenta comunque un ago della bilancia.
Nel contestatissimo congresso di «Reggio centro», annullato senza possibilità di ripeterlo dalla commissione nazionale, Vendola ha vinto con 345 voti contro i 2 dell'altra area. Voti andati in fumo per la gioia di Grassi, Ferrero e Mantovani. Così, il caos è sovrano. Allora si contano tessere, numeri, sottoscrizioni. Si guarda in faccia il compagno senza riconoscerlo, si cercano infiltrati che con i comunisti non c'entrano nulla ma che votano per fare un favore ad un amico. Indisturbati. Così, si militarizzano intere sezioni per far svolgere i congressi in maniera corretta. Si tenta e basta. Visto che la realtà è già difficile e se si mettono pure le beghe di corrente le cose si complicano. Claudio Grassi parla dell'assemblea di «Reggio centro» come un momento dove «l'unica cosa che interessava era votare. Bisognava votare e farlo al più presto».
Presente, racconterà di trecento compagni «novelli» privi di tessera in una sezione che conta 460 iscritti: «Tutti quelli con cui ho parlato nel corso della votazione, anche dirigenti del circolo stesso, mi hanno confermato che non solo non avevano la tessera, ma non avevano nemmeno versato la quota per poterne venire in possesso». Semplice prassi, secondo il segretario provinciale Antonio La Rosa che dalle colonne di Liberazione spiega come, spesso, si voti anche senza tessera perché verrà sottoscritta in seguito. Lui stesso ricorda il giorno in cui votò per la prima volta in un congresso: «Nel mio circolo partecipai e votai senza avere la tessera in tasca e senza aver pagato alcuna quota d'iscrizione». Quelli sì che erano altri tempi, quelli sì che erano attimi in cui ci si poteva fidare l'uno dell'altro. Ed al buon La Rosa non resta che imprecare perché, oggi, «si è definitivamente rotto ogni vincolo di fiducia, ogni sentimento di solidarietà».
Tuttavia, l'evoluzione dei rifondaroli reggini resta un caso da manuale. Al tracollo delle comunali del 2007, infatti, non è coinciso un flop di adesioni. Se nel 2002 il Prc raccolse il 4,1%, perdendo quasi un punto e mezzo alle elezioni del 2007 (2,8%), dai primi mesi del 2008 il partito supera abbondantemente le tremila adesioni. Per essere più precisi, fra il 2006 ed il 2007, anni in cui il governo Prodi deludeva i militanti e gli elettori del partito, a Reggio ben mille persone decidevano di sottoscrivere la tessera di Rifondazione, facendo schizzare i numeri del tesseramento fino ad allora fermi a 2.756. Roba da antidoping.
I vendoliani si indignano nel sentir parlare di «tesseramento gonfiato», mentre i grassiani e ferreriani gridano allo scandalo. Ed altri casi limite spuntano a Seminara, piccolo centro della Piana di Gioia Tauro, dove alle ultime elezioni politiche tutta la Sinistra Arcobaleno ha raccolto 64 voti alla Camera a fronte di 87 iscritti al circolo del Prc. O a Melicuccà, comune dove i 26 tesserati rifondaroli hanno messo insieme 9 voti per il candidato premier Bertinotti. Oppure al circolo «25 Aprile» proprio a Reggio città dove, solo due anni fa, si contavano quasi 30 tesserati che nel 2008 sono diventati 161. Circolo senza segretario né sede. E da queste parti, i più cattivi già parlano di furbetti, «comunisti del quartierino».

Più chiari di così... Vendola hai sentito?

Veltroni a Idv e Prc: "o con me o coi girotondi" (Fonte: Rainews24)
Iln leader del Pd, Walter Veltroni
Iln leader del Pd, Walter Veltroni

Dopo la manifestazione a Piazza Navona, Walter Veltroni parte all'attacco e chiede chiarezza alle altre due principali forze politiche dell'opposizione, il Partito della Rifondazione Comunista e l'Italia dei Valori. Il partito di Antonio Di Pietro, in particolare, dopo gli attacchi al Capo dello Stato ed la Papa, deve "scegliere" se stare con il Pd o con i girotondi. "Ora Di Pietro deve scegliere - ha detto il segretario del Pd - Deve decidere con chi stare: se vuole stare con Grillo e Travaglio lo dica; altrimenti, se vuole
stare con una forza riformista".

Il leader dell'Idv, Antonio Di Pietro, ha replicato immediatamente: "Nessuno pensi di poter intimidire l'Italia dei Valori con aut aut di sorta. La nostra forza ci proviene direttamente dai cittadini che ci hanno votato e solo ad essi dobbiamo ubbidire, non ad altri".

Veltroni, ribadendo la correttezza della scelta di non andare alla manifestazione, che è stata "un piacere per Berlusconi", ha commentato la scelta di Arturo Parisi che, invece, ha preferito essere presente nella piazza romana: "Immagino si sia reso conto di avere fatto un errore clamoroso". Ma anche da Parisi è arrivata un'immediata risposta secca: "Non sono pentito di essere andato in piazza. E' lui (Veltroni) che ha lasciato i nostri elettori in mani altrui".

Un invito a fare chiarezza, infine, Veltroni l'ha rivolto al PRC, in vista del congresso di partito. Rifondazione comunista e la sinistra radicale in generale devono compiere "una scelta, devono decidere quale profilo vogliono avere perché non è più possibile essere partito di lotta e di governo", ha detto il segretario del Pd, "E' matura una scelta, partiti di lotta e di Governo non ci possono più essere. O si sta al Governo o si fanno le lotte".

mercoledì 2 luglio 2008

giovedì 26 giugno 2008

Diliberto e Unità dei Comunisti. Ultime dichiarazioni

ZCZC0349/SXA
YCZ15535
R POL S0A S41 QBXU
PDCI: DILIBERTO, PRONTI A RIUNIFICAZIONE CON RIFONDAZIONE

(ANSA) - COSENZA, 26 GIU - ''Il Pdci e' a disposizione e
pronto verso un progetto di riunificazione''. A sostenerlo e' il
segretario nazionale dei Comunisti italiani, Oliviero Diliberto.
''Siamo pronti - ha detto Diliberto parlando con i
giornalisti a Cosenza - alla riunificazione dei due principali
partiti. Il nostro intento e' l'unione con tutti, anche con
Rifondazione, ma il matrimonio deve avvenire con il consenso
delle parti altrimenti e' uno stupro''.
''L'Arcobaleno - ha aggiunto - non l'ho fatto fallire io, ma
i cittadini italiani non votandolo. Abbiamo perso le elezioni
perche' il nostro popolo non si e' riconosciuto nell'Arcobaleno.
L'unica alternativa e' l'unione. C'e' chi dice riuniamo la
sinistra, ma se non riusciamo ad unire i comunisti? Allora e' da
qui dobbiamo partire verso una grande riunificazione''.
''Da singolo comunista e da uomo di sinistra - ha sostenuto -
penso che la sera del 14 aprile ho provato una grande
responsabilita' e solo per un attimo ho pensato di tornare a
casa, ma subito e' scattata l'intenzione di dire a tutti i
nostri nemici, di destra e di sinistra, ci avete sconfitto ma
non arreso. La lotta continuera'''.
Parlando delle prossime Europee, Diliberto ha sostenuto che
''il nostro intento e' quello essere presenti tutti insieme. Noi
proporremo falce e martello insieme. E se Rifondazione dovesse
dire no, l'unica cosa certa e' che non faremo piu'
l'Arcobaleno''. (ANSA).

martedì 17 giugno 2008

Veltroni. A commento delle nuove leggi ad personam

Nel "decreto sicurezza" si inseriscono dei nuovi emendamenti ad personam salva-Berlusconi e il commento del leader dell'opposizione Veltroni è "dialogo a rischio". Wow, che paura.
Ecco alcune delle sue parole profondissime:
"... sono davvero stupito dalla protervia con cui si introducono cose del genere in modo del tutto surrettizio".

martedì 27 maggio 2008

Via Giorgio Almirante, terrorista


Via Giorgio Almirante, terrorista

Gennaro Carotenuto,
Domenica 25 Maggio 2008, 13:13


In molti hanno scritto dell’Almirante antisemita e dell’Almirante massacratore repubblichino e ci vuole un tir di Maalox (o lo stomaco di Veltroni, “nulla fermerà il dialogo con il PDL”) per mandarlo giù.

Ben pochi invece si sono soffermati sul fatto che Giorgio Almirante fu amnistiato solo perché ultrasettantenne dal reato di favoreggiamento aggravato agli autori della strage di Peteano, nella quale tre carabinieri furono fatti saltare in aria.


Giorgio Almirante, il grande statista al quale Gianfranco Fini rende omaggio e Gianni Alemanno vuol dedicare una strada romana, per la legge italiana è però un terrorista complice dell’assassinio di tre carabinieri. Ecco tutta la storia.


Il 31 maggio 1972, in Peteano di Sagrado, in provincia di Gorizia, mentre in televisione trasmettevano Inter-Ajax, morirono dilaniati in un attentato il brigadiere Antonio Ferraro di 31 anni e i carabinieri Donato Poveromo e Franco Bongiovanni di 33 e 23 anni. Rimasero gravemente feriti il tenente Francesco Speziale e il brigadiere Giuseppe Zazzaro.

Nonostante i morti fossero tre poveri carabinieri (nella foto), immediatamente una cortina di depistaggi fu elevata per coprire i responsabili. Come per Piazza Fontana si diede per anni la colpa ai rossi; la strategia della tensione serviva per quello e funzionava così.

Tra i principali depistatori vi fu il generale Dino Mingarelli, condanna confermata in Cassazione nel 1992 per falso materiale ed ideologico e per soppressione di prove, e il generale piduista Giovanbattista Palumbo, che all’epoca era comandante della divisione Pastrengo di Milano e che aveva competenza su tutto il Norditalia, che inventò la pista rossa di sana
pianta. Per difendere gli assassini di tre carabinieri due dei maggiori in grado dell’arma delle vittime, per anni ne fecero di tutti i colori, manomettendo e facendo sparire le prove, come si legge nelle sentenze e come racconta benissimo il giudice Felice Casson in un libro intervista che
uscirà in futuro.

La strage avvenne a 15 giorni dall’omicidio Calabresi e tre settimane dopo le elezioni politiche del 7 maggio nelle quali l’MSI era cresciuto fino all’8.67%, massimo storico e ad un passo dal PSI. I colpevoli materiali della strage, condannati all’ergastolo con sentenza definitiva, erano gli iscritti all’MSI friulano Carlo Cicuttini e Vincenzo Vinciguerra insieme ad Ivano Boccaccio, ucciso pochi mesi dopo i fatti in uno strano tentativo di dirottamento aereo all’aeroporto di Ronchi dei Legionari, in ottobre. Con Peteano c’entrano tutti, i vertici dei carabinieri, l’MSI (al quale erano iscritti tutti i terroristi) la P2, Gladio, i servizi italiani e la CIA nel pieno della strategia della tensione. Destabilizzare per stabilizzare.

Per trappolare la 500 di Peteano furono usati materiali di Gladio conservati ad Aurisina e tecniche che venivano insegnate alla Folgore a Pisa. Risoltosi il problema di Boccaccio, restavano Cicuttini e Vinciguerra. Abbiamo già detto che la strategia della tensione serviva a destabilizzare per stabilizzare e proprio l’MSI la stava capitalizzando, come il voto del 7 maggio aveva appena dimostrato. E quindi i camerati andavano salvati. E qui interviene il nostro. Dopo la morte di Boccaccio a Ronchi, Vinciguerra e Cicuttini, segretario dell’MSI a San Giovanni a Natisone, in provincia di Udine, che faceva i comizi con Giorgio Almirante, nonostante non fossero
ancora stati inquisiti per Peteano (le piste fasulle staranno in piedi per anni), si erano comunque resi latitanti. Latitanza dorata nella Spagna di Francisco Franco, dove il loro punto di riferimento era Stefano delle Chiaie e dove con questo si dedicavano al traffico d’armi. Cicuttini sposò perfino
la figlia di un generale. C’era un solo punto debole del piano: la voce di Cicuttini registrata sia nei comizi dell’MSI sia nella telefonata con la quale Cicuttini attira i carabinieri nella trappola a Peteano.

E fu proprio Giorgio Almirante, il fascista in doppio petto, quello
rispettabile, quello con il senso dello Stato, a proteggere l’autore della
strage di Peteano fino a mandargli 34.650 dollari statunitensi in Spagna
proprio per operarsi alle corde vocali. Ciò è processualmente provato.
Almirante consegnò personalmente i soldi all’avvocato goriziano Eno Pascoli che li fece avere a Cicuttini a Madrid, via Svizzera. Almirante e Pascoli,
incriminati per favoreggiamento dell’autore della strage di Peteano furono
rinviati a giudizio insieme. Ma mentre Pascoli sarà condannato, la condanna
di Almirante seguirà un corso diverso. Il capo dell’MSI godeva infatti
dell’immunità parlamentare dietro la quale si trincerò perfino per evitare
di essere interrogato. La tirò avanti per anni di battaglie nelle quali non
fu mai in dubbio la sua colpevolezza, finché non intervenne un’amnistia
praticamente ad personam, della quale beneficiava solo in quanto
ultrasettantenne. Giorgio Almirante, l’uomo d’ordine, dovette chiedere per
sé l’amnistia perché il dibattimento lo avrebbe condannato e ne beneficiò
(mentre il suo complice fu condannato) per il reato di favoreggiamento
aggravato degli autori (militanti e dirigenti del suo partito) di un
attentato terroristico nel quale vennero uccisi tre carabinieri. Non si
parla di violenza politica o di strada, di giovani di destra e sinistra che
si fronteggiavano e a volte si ammazzavano; stiamo parlando del peggiore
stragismo. Dedichiamogli una strada, lo merita: Via Giorgio Almirante,
terrorista.