mercoledì 30 luglio 2008

Vendola su esito congresso

Caro Vendola, sono veramente contento che hai perso il congresso...


Fonte: Manifesto



MANIFESTO
RIFONDAZIONE
«Una bellissima sconfitta, lavoreremo per la sinistra»
Dopo il congresso, Vendola guarda alle elezioni locali e alle europee. «Il partito è irriconscibile. Ma non lavoreremo a far cadere Ferrero, rilanceremo il nostro progetto politico» lavoreremo per la sinistra» Di scissione non si parla. Perché «dobbiamo salvare il partito»
Micaela Bongi

Sconfitto al congresso del Prc da una maggioranza costruita con tre mozioni intorno alla candidatura del nuovo segretario Paolo Ferrero, annunciando il ritiro dalla corsa per la segreteria domenica Nichi Vendola era stato definitivo: «Considero questo congresso come la fine della storia di Rifondazione come l'ho conosciuta in 38 anni di militanza». Chiuse le assise, il presidente della Puglia non cambia idea.
Hai detto che non esiste più il Prc di prima. Ora ce ne sono due?
Intanto è molto importante rendere comprensibile questa mutazione genetica. La fine di quella vicenda che ha avuto nella fase della coabitazione tra Cossutta e Bertinotti una sua rappresentazione particolarmente simbolica. La convivenza di culture diverse che convergevano su un punto fondamentale: Rifondazione intesa come la ricostruzione di un partito di massa, fuori da qualunque tentazione minoritaria. Rifondazione come soggetto capace di connettere pratica sociale e iniziativa politica. Rifondazione come cantiere dell'innovazione. Non solo un partito, ma una traccia di lavoro. Rottura con lo stalinismo e assunzione della nonviolenza come nuova grammatica dell'agire politico. Questa storia è stata Rifondazione. Oggi Fausto Bertinotti, io o Franco Giordano siamo all'opposizione; al governo del partito c'è Falce e Martello. Si muovono verso una linea politica che oggettivamente è l'unità dei comunisti, la regressione identitaria è palese.
Tu sei andato oltre. Hai accusato chi ha vinto il congresso di giustizialismo e plebeismo.
Nel corso degli interventi ho sentito espressioni paradossali benché emblematiche, si è parlato di costruire il nuovo Cln con Di Pietro. Come se esistesse una domanda di legalità sganciata dalla questione sociale. L'antipolitica non è una sacrosanta manifestazione indignata. L'epicità di una piazza scandalizzata è quello che sta in superficie. Antipolitica è diffondere una cultura del potere mistificante. Noi rubavamo a Pasolini la metafora del Palazzo. Ma lì non c'erano solo i ministri, anche altri poteri, i petrolieri.... Oggi si identifica il potere con la Casta. Al congresso ho sentito anche un'analisi della sconfitta disarmante, teorizzare che non è tanto la destra che ha vinto ma è la sinistra che ha perso per me è sconvolgente. La destra si è insediata dentro ogni interstizio della società, dentro ogni transistor del sistema delle comunicazioni, nella produzione di simboli, di immaginario.
Dunque le polemiche sul giustizialismo non riguardavano solo la presenza di Ferrero a piazza Navona con Di Pietro? Lui ha risposto che in quella stessa piazza c'erano Claudio Fava e Fabio Mussi, di Sd, e i Verdi, con cui volevate fare la costituente di sinistra.
Mussi e Fava sono stati lo spauracchio del congresso, non puoi recuperarli in corner perché ti sono utili. Io non parlo di piazza Navona, ma della nostra cultura. Del fatto che siamo stati accusati di violazioni al sud come se quello fosse il nostro costume per fare la battaglia congressuale, senza alcun garantismo. E poi sono state proposte analisi minimaliste e ricette massimaliste, come se bastasse la vecchia formuletta «in basso a sinistra». Una riedizione un po' volontaristica dell'autonomia del sociale. Non c'è un sociale immacolato, c'è un sociale complicato. Non è che siccome siamo stati inefficaci quando eravamo nelle istituzioni ora, duri e puri e capaci di presenza, riusciremo a riguadagnare l'operaio della Fiom che ha votato Lega. C'è una tale livello di astrattezza... Tutto un dover essere, una deontologia dei piccoli gruppi che rimuove il tema del mondo dei lavori per come essi si sono plasmati. Parliamo di una precarietà che non ascoltiamo. Come si può pensare che la riduzione alla sloganistica possa consentirci di intercettare un mondo giovanile capace di esprimere domande di cambiamento... E se nel mio congresso si dice che non è importante che un leader sappia usare i congiuntivi? La storia dei comunisti è stata storia di impegno per l'alfabetizzazione contro qualunque rappresentazione della classe come una plebe. E poi la questione del mezzogiorno. Certo, una contesa così aspra come quella del congresso porta all'esposizione delle proprie viscere. Ma qui nell'immaginario del partito del nord si è radicato un pregiudizio sul partito del sud. Si è costruito un preconcetto molto brutto. L'insieme delle cose che ho descritto è esplicativo di come sia potuto accadere che si sia formata una maggioranza eterogenea, raccogliticcia e improbabile tra ex Dp, Ernesto, Falce e Martello.
Collante di quella maggioranza non è stata la volontà di chiudere con la passata gestione del partito?
A dirigere il partito c'era Ferrero, c'era Russo Spena, non c'ero io. Io ero nella trincea pugliese.
Non pensi che anche il tuo chiamarti fuori dalle responsabilità, tra l'altro essendo il «delfino» di Bertinotti, ti abbia danneggiato?
Al congresso ho sentito anche che il più grande dissenso da Bertinotti l'ho esercitato io, all'epoca del governo Dini. Ho praticato autonomia di pensiero e anche il diritto a sbagliare. Diciamo che mi è stata rimproverata una tendenza al leaderismo per una proposta di candidatura esplicita votata da 21.000 iscritti a fronte di una candidatura «in sonno», quella di Ferrero. La mia candidatura è stata rappresentata come proposta di scioglimento del partito, una falsificazione. Questo elemento fa parte del degrado della vita interna. E' indicativo di come il Prc sia parte del problema che si chiama «crisi della sinistra»: il dileggio, la pulsione belluina nella contesa denigratoria, la perdita dei vincoli solidaristici. Tutto questo è entrato nel Prc. Sono stati commessi danni molto gravi, è stato inquinato tutto il campo.
A proposito di leaderismo, non hai pagato anche il fatto di essere stato l'uomo delle primarie e il «governatore» della Puglia?
Bisognerebbe avere un atteggiamento laico. Le primarie in Puglia sono state un fatto dirompente, di partecipazione, di innovazione, non è che hanno portato all'emersione del fenomeno televisivo Nichi Vendola, dietro c'erano anni di battaglia nel territorio.
Ma non è detto che quel sistema sia stato digerito da tutto il partito.
La capacità di presa di parola nel partito è stata limitata con la limitazione del tesseramento, considerato come una minaccia o frutto di possibile falsificazione e non come una domanda. Io credo che fosse corretto rendere esplicite le candidature. Abbiamo semmai assistito a un episodio di leaderismo costruito sul primato della tattica. La non candidatura di Paolo pesava come la mia candidatura. E in quella non candidatura c'era la libertà dell'aggressione personalizzata. Poco male. Ma dover ascoltare anche la mitologia per cui Ferrero era diventato l'interprete della base quando era stato ministro del governo Prodi...
Ha detto di aver sbagliato.
Una parte di quelli che hanno sbagliato deve essere processata e un'altra promossa?
E ora, come si qualificherà nell'azione politica dei prossimi mesi la differenza tra queste due parti?
La nostra area resterà nel Prc, e sarà protagonista concretamente nei territori della ricostruzione della sinistra. Non lavoreremo perché inciampi la segreteria di Ferrero, lavoreremo per preservare una prospettiva che quella segreteria non garantisce. I nodi verranno presto al pettine, ci sono le amministrative - e già nella nuova maggioranza si discute sulla permanenza nelle giunte - e le europee, già vedo una bella rimpatriata comunista e anticapitalista. Ci possono essere conseguenze sul piano europeo e nazionale, io lavoro per evitare queste conseguenze.
Intanto la tua area, Rifondazione per la sinistra, continuerà a dialogare con Sd e i verdi?
La mia area nasce con questo Dna, va verso la riaggregazione a sinistra.
Fino a quando sarà possibile evitare la scissione? Alle europee come arriverete?
La scissione è stata un'altra invenzione propagandistica. Ho subito una bellissima sconfitta che mi consegna una grande forza maturata nella durezza di questo scontro. E mi sento di poter agire dentro questo spazio che è Rifondazione nella prospettiva che venga sconfitta sul campo la tendenza al minoritarismo senza politica. Ho sempre detto che il Prc è il luogo del mio senso e del mio dissenso. Qui resto, anche per responsabilità. Oggi ci sono una piattaforma e un gruppo dirigente col fiato corto. Non c'è risentimento, ma la necessità di essere impegnati a salvare il partito, un pezzo indispensabile per il futuro della sinistra.
E il rapporto col Pd, che nello scontro feroce è sembrato il principale oggetto del contendere?
Per una maggioranza di questo partito che ogni tre parole dice «comunista» bisognerebbe ricordare i classici. La necessità di alleanze con i borghesi di pagine marxiane e quel richiamo metodologico di Togliatti all'analisi differenziata. Noi quando facciamo politica non siamo dentro a una chiesa, né valdese né cattolica, siamo in un luogo nel quale le cose attorno a noi si muovono. Il Pd significa o esorcismo o ingresso in prigione? Mai col Pd o prigionieri del Pd? Autonomia non è autismo, un di meno di interlocuzione. Bisogna aprire un terreno di sfida, una contesa delle idee, fare l'analisi di come va quel progetto, di come si argina la deriva moderata.
Nel Pd, il vostro congresso lo ha vinto Veltroni e perso D'Alema?
Alla fine il «mai con la sinistra radicale» si sposa bene col «mai con il Pd». Vince chi non fa politica, l'autoconsolazione rispetto a una tempesta che ci sta radendo al suolo.
Non sarebbe stato meglio un congresso per tesi?
Non si può cominciare una discussione con un atto violento e fraudolento come quello che si è consumato nel primo comitato politico nazionale dopo le elezioni. Non si può intervenire violentemente sul gruppo dirigente, caricarne un pezzo di qualunque colpa, fare una drammatica conta interna all'indomani di una brutale conta esterna. Quel Cpn ha segnato profondamente le nostre vicende portando a questo esito sciagurato. La defenestrazione di Franco Giordano e quella simbolica di Bertinotti sono l'atto costitutivo del nuovo gruppo dirigente. Per quanto mi riguarda non sono pentito, non tornerei indietro.

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