mercoledì 16 dicembre 2009

Lega Nord su Euopean Voice


A chi si chiede qual è l'immagine dell'Italia all'estero.

martedì 8 dicembre 2009

Non sono una persona vera


CHIESA: CARD.BERTONE, LA PERSONA VERA NON E' SENZA DIO
IN DUOMO A MILANO IL RICORDO DEI 400 ANNI DELL'AMBROSIANA
(ANSA) - MILANO, 8 DIC - Il cardinale Tarcisio Bertone, che dopo l'incontro con il Presidente della repubblica Giorgio Napolitano alla Biblioteca Ambrosiana, ha celebrato la messa in duomo, nell'omelia ha ricordato che: ''La persona umana vera e pienamente realizzata e' quella che vive un rapporto positivo con Dio e non chi si pone contro Dio o senza Dio''.
Il segretario di Stato Vaticano ha quindi ricordato i quattrocento anni della fondazione della Biblioteca Ambrosiana, voluta dal cardinale Federico Borromeo e inaugurata giorno dell'Immacolata concezione del 1609. ''Il cardinale Borromeo -
ha ricordato Bertone - volle la biblioteca con grande lungimiranza. Rivolgo il saluto all'arcivescovo Tettamanzi, ai vescovi ausiliari, al prefetto della biblioteca e ai suoi dottori. Sono lieto, nella solennita' che e' propria di questa cattedrale, di poter incontrare cosi' numerosi fedeli e tra i quali in modo speciale i membri dell'Opus Dei. A tutti mi onoro di partecipare alla benedizione di sua santita' Benedetto XVI che ho incontrato ieri pomeriggio e che assicura a ciascuno la
sua preghiera, la sua vicinanza e il suo augurio''.
''Oggi - ha proseguito il cardinale Bertone - a 400 anni di distanza, commemoriamo l'inaugurazione dell'Ambrosiana anche con una solenne celebrazione liturgica. L'inaugurazione del 1609 fu un avvenimento culturale e da allora, infatti, le sale della biblioteca hanno visto passare migliaia e migliaia di studiosi.
Ma fu anche un fatto di grande rilevanza religiosa perche' l'Ambrosiana e' una istituzione ecclesiastica di cui la chiesa di Milano e italiana devono andare fieri. E' un' istituzione di autentica evangelizzazione''. (ANSA).

lunedì 7 dicembre 2009

Ha avuto ragione lui. Non sono incazzato ma definitivamente rassegnato

"E il futuro della Cosa nata a sinistra? È evidente che molto dipenderà dal risultato elettorale, ma il presidente della Camera lo vede comunque unitario: «Un soggetto unico, democratico e partecipato». Dentro il quale il comunismo sarà una «tendenza culturale». Al pari di quella «ecologista e femminista»"

Firmato: Fausto Bertinotti (aprile 2008)

"[...]A tal fine la Federazione riconosce e valorizza le diverse identità politico-culturali che sono maturate nell’ambito del movimento operaio, del movimento socialista e comunista, del movimento ambientalista, del movimento femminista, GLBTQ e dei diritti civili ed in generale nelle lotte per la libertà e giustizia che si sono espresse nel movimento altermondialista"

Dal manifesto politico della federazione della sinistra

venerdì 4 dicembre 2009

Boffo secondo Feltri

-Boffo/ Feltri: Fu una bagatella, non uno scandalo
"Ammirazione per direttore, potrebbe ancora stare al suo posto"

Roma, 4 dic. (Apcom) - In tutta la vicenda che lo ha riguardato
"Dino Boffo ha tenuto un atteggiamento sobrio e dignitoso che non
pu che suscitare ammirazione". Anche se il caso non sarebbe
scoppiato "se Boffo invece di secretare il fascicolo lo avesse
reso pubblico, consentendo di verificare attraverso le carte che
si trattava di una bagatella e non di uno scandalo". Lo scrive
oggi il direttore del Giornale, Vittorio Feltri, che sulla prima
pagina del suo quotidiano afferma che "il caso chiuso" e
riconosce che Boffo, "giornalista prestigioso e apprezzato", "da
quelle carte non risulta implicato in vicende omosessuali", e in
esse "tantomeno si parla di omosessuale attenzionato". Questa "
la verit, e oggi Boffo sarebbe ancora al vertice di Avvenire".

L'occasione per Feltri la richiesta di chiarimenti di una
lettrice alla quale il direttore del 'Giornale' spiega che il suo
'scoop' in realt non era tale in quanto un settimanale aveva gi
pubblicato la notizia e che la risonanza dipese dal "risvolto
politico: era un periodo di fuochi d'artificio sui presunti
eccessi amorosi di Berlusconi e il cosiddetto dibattito politico
aveva lasciato il posto al gossip usato contro il premier anche
in tv, oltre che sulla stampa nazionale e internazionale. Persino
l'Avvenire, di solito pacato e riflessivo, cedette alla
tentazione - scrive ancora Feltri - di lanciare un paio di
petardi: niente di eccezionale, per carit, ma quei petardi
produssero un effetto sonoro rilevante. Nonostante ci - assicura
il direttore del quotidiano milanese - non mi sarei occupato di
Dino Boffo se non mi fosse stata consegnata da un informatore
attendibile, direi insospettabile, la fotocopia del casellario giudiziario che recava la condanna del direttore a una contravvenzione per molestie telefoniche. Insieme con un secondo
documento (una nota) che riassumeva la motivazione della condanna. La ricostruzione dei fatti descritti nella nota oggi posso dire - ammette Feltri - non corrisponde al contenuto degli
atti processuali". Tuttavia, all'epoca dei fatti, "giudicammo
interessante il caso per cercare di dimostrare che tutti noi
faremmo meglio a non speculare sul privato degli altri, perch
anche il nostro, se scandagliato, non risulta mai perfetto".

martedì 17 novembre 2009

Acqua privatizzata

Sono queste le cose sulle quali bisognerebbe fare opposizione. Altro che menate di facebook e puttane e transessuali.

(fonte: Rainews24)


Acqua pubblica

Acqua pubblica

Roma, 17-11-2009

Il governo ha chiesto il ventiseiesimo voto di fiducia, 18 dei quali alla Camera, sul decreto obblighi comunitari che contiene, all'articolo 15, la privatizzazione dei servizi pubblici locali, acqua compresa.

Lo ha annunciato nell'Aula di Montecitorio il ministro per i Rapporti con il Parlamento Elio Vito, "data la ravvicinata della di scadenza del decreto" con "obblighi comunitari che non possiamo eludere". Vito ha aggiunto che la fiducia sara' votata su un "maxiemendamento" con un testo "identico" a quello approvato dalla commissione che "e' identico a quello arrivato dal Senato".

L'aula della Camera ha respinto le pregiudiziali di costituzionalita' - presentate da Pd e Udc - al 'decreto Ronchi', che fissa disposizioni urgenti per l'attuazione di obblighi comunitari e per l'esecuzione di sentenze della Corte di giustizia delle Comunita' europee.

Insorgono Pd e IdV
"Si sarebbe arrivati subito ad un voto unanime su questo provvedimento se il governo avesse stralciato dal decreto l'articolo sui servizi pubblici locali che non ha il coraggio di discutere ne' di spiegare alla gente": lo ha detto nell'Aula della Camera Marina Sereni del Pd dopo che il governo ha posto la questione di fiducia sul decreto Ronchi.

"Questa fiducia - spiega Sereni - non e' certo motivata dall'ostruzionismo dell'opposizione da dalla mancanza di fiducia del governo rispetto ai propri deputati".

Durissimo anche Massimo Donadi (Idv): "Voi umiliate il Parlamento e offendete la democrazia; siete una maggioranza appecoronata felice di non lavorare per un giorno".

Michele Vietti (Udc) ha invece ribadito che l'aspetto tempo, denunciato dal ministro Vito come alla base della fiducia a Montecitorio sul decreto, e' causato dal fatto che il testo sia stato per troppo all'esame del Senato. Una circostanza condivisa, questa, appieno da Simone Baldelli del Pdl, secondo cui "servono regole certe sui tempi certi per l'esame dei provvedimenti".

venerdì 6 novembre 2009

martedì 3 novembre 2009

Buon senso vittima del diritto

Una bella dichiarazione eversiva da parte di Bersani.


CROCEFISSO: BERSANI, ANTICA TRADIZIONE NON OFFENDE NESSUNO =
(AGI) - Bruxelles, 3 nov. - Da Bruxelles, il leader del Pd,
Pierlugi Bersani, difende la tradizione del crocefisso a
scuola: "penso che in questo delicato campo il buon senso
finisce per essere vittima del diritto", dice a giornalisti che
lo attendevano all'ingresso del palazzo Berlaymont, sede della
Commissione Europea per chiedergli un commento sulla sentenza
del Consiglio d'Europa a Strasburgo. "Penso - ha quindi
proseguito - che un'antica tradizione come quella del
crocefisso non possa essere offensiva per nessuno". (AGI)
Mpa/Zeb
031503 NOV 09

martedì 27 ottobre 2009

venerdì 23 ottobre 2009

EUROPEE, LEGGE ELETTORALE, AMMESSO RICORSO A CONSULTA


Ue/L. Elettorale, ammesso ricorso
a Consulta di
Diliberto e Vendola

Il Tar del Lazio ha ammesso i ricorsi alla Corte Costituzionale di Sinistra e Libertà (all'epoca Partito Socialista, Verdi e Sinistra democratica) e di Rifondazione Comunista e Partito dei Comunisti Italiani contro l'assegnazione di un seggio ad un europarlamentare della Lega Nord e di un altro dell'Italia dei Valori, a favore di Oliviero Diliberto e Nichy Vendola.

Il Tar ha, inoltre, ammesso il ricorso di Giuseppe Gargani del PdL contro l'assegnazione di seggi sulla base della sottrazione degli stessi ad altre circoscrizioni per nominare un diverso parlamentare dello stesso partito proprio in quelle altre circoscrizioni.

''L'accoglimento - spiega all'agenzia di stampa Asca l'avvocato Felice Besostri, estensore del ricorso di Sinistra e libertà e Senatore della commissione Affari Costituzionali nella XIII Legislatura - comporta la perdita di un europarlamentare dell'Italia centrale per la Lega Nord e di un altro dell'Italia dei Valori nella circoscrizione V, Italia insulare''. Ciò significa che, se anche la Corte costituzionale accoglierà i ricorsi, Diliberto sarà nominato europarlamentare per la circoscrizione III, Italia centrale e Vendola andrà a Strasburgo come rappresentante della circoscrizione V, Italia insulare.

''Il Tar del Lazio - dice ancora Besostri - ha ritenuto di ammettere il ricorso sulla base di un'interpretazione dell'articolo 21 della legge 18/79, come modificata dalla legge 10/09''. La tesi dei ricorrenti si basa sull'assunto che, ''malgrado la clausola di sbarramento, c'era nella legge un diritto di tribuna per cui i seggi da attribuire coi resti vanno anche alle liste che non hanno raggiunto il 4%, purché la loro cifra elettorale nazionale (i voti presi, ndr) sia superiore ai resti delle liste che avevano superato questa soglia''. E questo è proprio il caso di Sinistra e Libertà e Rifondazione Comunista che hanno più voti, in termini di resti, di Lega nord e Italia dei Valori.

Se poi la Corte accogliesse pure il ricorso di Gargani - spiega infine l'ex senatore - che investe anche la clausola nel suo complesso, per cui è ammesso alla ripartizione chi ha superato lo sbarramento del 4%, il PdL perderebbe 3 seggi, il PD 3, la Lega Nord 2, l'Italia dei Valori 1. Di contro, SL ne acquisterebbe 2, RC e PDCI 2, Partito liberale 2, Movimento per l'Autonomia 2.

mercoledì 23 settembre 2009

Aurora - Periodico degli emigrati per l'Unità Comunista

Aurora - Periodico degli emigrati per l'Unità Comunista

visitate questo sito
www.aurorainrete.org

giovedì 23 aprile 2009

Coscienza e totalitarismo. Vergogna al PE

"Chi controlla il passato controlla il futuro"
Riscrittura della storia e criminalizzazione del dissenso nell'Unione Europea
a cura Collettivo Autorganizzato Universitario
Lo scorso 2 aprile il parlamento europeo ha approvato una risoluzione che sancisce l'equiparazione di nazismo, fascismo e comunismo. Questa risoluzione si basa sul revisionismo storico più sfacciato, spiana la strada ad un uso sempre più indiscriminato del "reato di opinione", estromettendo dal dibattito storico-politico ed imbavagliando chiunque esprima parere contrario alla Verità di Stato che è stata costruita. A pochi giorni dall'anniversario della Liberazione ci sembra fondamentale ricordare chi fu vittima e chi invece carnefice e quali realmente furono le forze capaci di liberare l'Italia e l'Europa dal nazifascismo.
di seguito una nostra riflessione in merito alla risoluzione...
Fra qualche mese saremo chiamati a dare ancora una volta il nostro voto alle elezioni europee: andremo a fare il nostro dovere di bravi cittadini, scegliendo questo o quel partito - in perfetta libertà - un sorriso di soddisfazione quando avremo messo la scheda nell'urna... Tutto bene, dunque. Ma ci siamo mai chiesti, fuori dalla retorica dominante, cos'è l'Unione Europea, quale sia il progetto di questa gigantesca realtà politico-economica, su cosa intenda fondare la sua unità? Domande apparentemente banali, certamente legittime, che forse ci potrebbero far capire qualcosa in più sulla nostra situazione concreta, su ciò che viviamo ogni giorno.
Un'occasione per fare queste profonde riflessioni ci è offerta da una Risoluzione approvata il 2 aprile 2009 dal Parlamento Europeo. Accolta favorevolmente da 553 deputati (con soli 44 no e 33 astensioni), degna dunque di tutta la nostra considerazione, la Risoluzione verte sul nobile tema: “Coscienza europea e totalitarismo”. A guardare il messaggio manifesto, pare ci si voglia spiegare secondo quali bei principi si intende costruire lo spazio della “civiltà europea”. Ma in verità, grattando solo un po', escono fuori gli interessi ben poco edificanti di chi vuole riscrivere la storia, limitare la ricerca scientifica e proibire certe opinioni politiche.
Ma vediamo meglio il testo della Risoluzione, partendo da quella sfilza di “visto...” che in ogni documento ufficiale traccia la mappa dei riferimenti ideali, il solco in cui il nuovo provvedimento si inserisce. Eccoli qui: la Risoluzione 1481 del Consiglio d'Europa (26/01/06) “relativa alla necessità di una condanna internazionale dei crimini dei regimi totalitari comunisti”, la Proclamazione della “Giornata europea della memoria per le vittime dello stalinismo e del nazismo” (23/09/08), la Dichiarazione di Praga (3/06/08) sulla “Coscienza europea e il comunismo”... Pare insomma che intorno a questo tema negli ultimi tempi si stanno dando parecchio da fare a Bruxelles. Eppure con la crisi economica che avanza il problema non è proprio scottante... Oppure si?
C'è infatti un'altra cosa che colpisce in quest'elenco di provvedimenti e Dichiarazioni di diritti fondamentali dell'uomo (puntualmente disattese): il riferimento alla decisione quadro del Consiglio d'Europa (28/11/2008), relativo alla “lotta contro talune forme ed espressioni di razzismo e xenofobia mediante il diritto penale”. Si tratta di una decisione che autorizza a punire penalmente chi, attraverso pubblicazioni e discorsi, incita all'odio contro lo straniero. Un encomiabile provvedimento, non c'è che dire. Ma che c'entra in questo contesto? Semplice: questo provvedimento, ed altri affini, servono come base giuridica per imbastire nei singoli paesi europei i processi contro chi fornisce un'altra versione della storia europea. Attenzione: non si tratta solo di colpire le schifose menzogne dei negazionisti! Attraverso un uso davvero spregiudicato del “reato d'opinione” si mira a restringere lo spazio delle cose che possono essere dette. Così criticare la politica dello Stato di Israele ci fa immediatamente diventare antisemiti, dunque razzisti, dunque condannabili. E riferirsi al comunismo ci fa immediatamente appartenere ad una supposta schiera demoniaca che predica l'odio e instaura dittature e gulag. Che nella “libera” UE, insomma, la censura diventi esplicita, passi in sentenza, dopo essere puntualmente in atto in ogni media ed in ogni istituzione accademica?
Una lettura delle considerazioni preliminari della Risoluzione ci conferma in quest'interpretazione: “Considerando che nessun organo o partito politico detiene il monopolio sull'interpretazione della storia... che le interpretazioni politiche ufficiali dei fatti storici non dovrebbero essere imposte attraverso decisioni a maggioranza... che un parlamento non può legiferare sul passato...”. Più che ipocrite, queste frasi rappresentano una curiosa, colpevole ammissione: negano ad alta voce esattamente ciò che sono impegnate a fare. Lo scopo della Risoluzione è infatti proprio quella di mettere dei paletti ben precisi alla storia europea, e condividerli in tutti i paesi attraverso una votazione. Bisogna infatti “porre le basi di una riconciliazione basata sulla verità e la memoria”.
Ecco un dato davvero inquietante: questo richiamo alla “verità”, quest'idea che possa essere imposta dall'alto. Viene da chiedersi: non è proprio quest'uso della Verità quello che storicamente i liberali hanno contestato ai regimi “totalitari”? In ogni caso ecco la nuova versione della storia europea: “l'integrazione... è stata una riposta alle sofferenze inflitte da due guerre mondiali e dalla tirannia nazista... e all'espansione dei regimi comunisti totalitari e non democratici dell'Europa centrale e orientale, nonché un mezzo per superare profonde divisioni... attraverso la cooperazione e l'integrazione, ponendo fine alle guerre e garantendo la democrazia”.
Davvero consolante, questa visione delle cose. Ma c'è da dubitarne: innanzitutto l'integrazione, più che aspirazione umanistica, è stata ed è tuttora un fenomeno eminentemente economico e, attraverso la NATO e la costruzione dell’esercito Europeo, anche militare. Dalla fine della Seconda Guerra Mondiale quest'integrazione è servita a tutelare, in un'alleanza strategica, gli interessi delle borghesie dei singoli paesi occidentali – che si trattasse di commerciare carbone ed acciaio, o di sconfiggere le lotte sociali e le rivoluzioni al di qua della cortina di ferro (si pensi alla Grecia, in cui le forze anglo-americane intervennero negli anni '40 per sconfiggere una rivoluzione vincente).
In secondo luogo, l'integrazione non ha assolutamente posto fine alle guerre in Europa: basti pensare alla Serbia ed al Kosovo, dove l'UE è andata allegramente a bombardare (ah già, ma loro non sono “europei”...). Se poi parliamo delle guerre nel mondo, quelle non hanno mai smesso di aumentare dalla caduta dell'URSS, e l'UE, costituitasi come vera potenza in un mondo “multipolare”, vi ha ben contribuito mandando i suoi soldati in Somalia, Afganistan, Iraq...
La storia della “democrazia garantita”, poi, rasenta il ridicolo: mentre qualche decennio fa la democratica Germania Ovest metteva il partito comunista fuori legge ed i servizi segreti italiani preparavano stragi e colpi di Stato, oggi l'UE blinda le sue frontiere, causando la morte di migliaia di migranti, e militarizza lo spazio interno, schierando i soldati nelle sue metropoli, reprimendo chiunque manifesti idee differenti dal neoliberismo imperante. Senza parlare di interi popoli, come quello basco, ancora oppressi, o del controllo pressoché monopolistico dell'informazione, ci sarebbe da chiedersi che voglia dire “democrazia” per questi signori, se non il procedimento formale dell'elezione, sul cui senso peraltro ci sarebbe parecchio da dire (dalla scarsa partecipazione alle varie leggi “truffa”, con soglie di sbarramento e premi di maggioranza...).
Così l'integrazione viene presentata come “modello di pace e riconciliazione”, “libera scelta dei popoli europei a impegnarsi per un futuro comune”. E poco importa che i suddetti popoli abbiano votato più volte NO alla Costituzione ed al Trattato europeo... Con l'UE non si scherza! E infatti, seguendo la dottrina bushiana della “prevenzione” e dell'“esportazione della democrazia”, il Parlamento dichiara che l'UE “ha una responsabilità particolare nel promuovere e salvaguardare la democrazia... sia all'interno che all'esterno del suo territorio”!
Ma veniamo al punto essenziale della Risoluzione: il rapporto dell'Europa con il “totalitarismo comunista”. Qui si esercita la propaganda più becera: sparisce dalla memoria europea il colonialismo e l'imperialismo, la feroce spartizione del mondo in nome del profitto che ha portato milioni di persone alla morte, alla fame, al sottosviluppo; sparisce l'immane carneficina prodotta proprio da quelle logiche di accumulazione e conflitto intercapitalista, ovvero la Prima Guerra Mondiale; spariscono le responsabilità delle potenze vincitrici che vollero affossare e punire la Germania di Weimar, generando così il nazismo; sparisce l'attacco delle forze polacche, francesi e inglesi contro la giovane Unione Sovietica per affossare la Rivoluzione... Si arriva così a chiedere di consacrare il 23 agosto, data del patto Molotov-Ribentropp, alla memoria delle vittime del totalitarismo. Come se la Seconda Guerra Mondiale e le sue vittime non fossero state prodotte da ben altri accordi, quelli “pubblici” di Monaco, dove Francia e Inghilterra appoggiarono le deliranti pretese di Hitler e quelli “privati”, per cui il Terzo Reich doveva essere salvaguardato in quanto baluardo contro il contagio comunista. Con buona pace della Repubblica spagnola, uscita vincente dalle elezioni, ma condannata dal non intervento di Francia e Inghilterra dopo il colpo di Stato nazifascista...
Tutto insomma accade come se da un lato ci fossero i buoni, l'“Europa pacifica e prospera, fondata sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell'uguaglianza, dello stato di diritto”, e dall'altro i cattivi, non democratici, comunisti, che inspiegabilmente però hanno goduto di un supporto popolare notevole, hanno sconfitto il nazifascismo, stabilizzato zone da secoli teatro di faide e rivolte, hanno permesso la modernizzazione e lo sviluppo, hanno lottato ovunque per la pace e l'estensione dei diritti in tutti i campi della vita collettiva.
Così, non soltanto gli scambi fra i regimi democratici e quelli “totalitari”, comprovati negli anni '30 così come oggi, sono ignorati; non solo gli omicidi politici e le torture delle polizie “democratiche” occidentali non sono menzionate, non soltanto “gli eroi dell'epoca totalitaria” che ci si propone di commemorare sono spesso stati leader di formazioni filonaziste riciclate (si pensi ai paesi baltici, alla Croazia, alla Romania)... La cosa che nella Risoluzione colpisce è che tutta la complessità che si domanda all'analisi delle nostre società capitaliste, è negata a quelle del socialismo reale, contraddittori ma significativi esperimenti di democrazia effettiva, rappresentati come il regno dell'arbitrio di un pugno di esaltati, schiacciati sulle loro mancanze. Ma non è proprio una visione del mondo manichea quella che storicamente i liberali hanno contestato ai regimi “totalitari”?
Ancor di più, si assiste ad un'operazione di torsione del linguaggio che mira a stravolgere il senso stesso delle parole. Siccome il termine “comunista” non è ancora abbastanza squalificato, bisogna associarlo a qualcosa di terribile. Ecco come lavora l'ideologia: non solo al livello dei contenuti evidenti, ma sulle stesse forme espressive.
Allora si prende un termine oggettivamente squalificato come “totalitario” (saltando a piè pari sul fatto che questa definizione, secondo gli storici, è a malapena calzante per il nazismo e lo stalinismo), lo si associa con altri termini vicini, ma per nulla coincidenti e soprattutto vaghi, come “antidemocratico” e “autoritario”, e li si rende interscambiabili. Tutto ciò che non rientra nei canoni della democrazia borghese, è ipso facto diventato totalitario. I regimi dell'Est erano differenti dalla nostra democrazia, dunque erano totalitari - anche se si chiamavano “democrazie popolari” (strana ironia la loro, eh?). Ma questi regimi erano comunisti, dunque tutti i comunisti sono totalitari. E il totalitarismo è l'unica cosa che la democrazia non può tollerare. Dunque la democrazia non può tollerare il comunismo. E si deve impegnare affinché questo crimine non ritorni più.
Attraverso un uso ingiustificato e ripetitivo delle parole e delle loro associazioni, il “comunismo totalitario” è così inculcato, diventa materia non opinabile. Così, fra poco, ci dice ancora il documento, “un'Europa unificata celebrerà il 20° anniversario del crollo delle dittature comuniste”: si dà per scontato il festeggiamento, senza dire cosa ha comportato questo crollo, in termini di vite umane, di aumento della povertà, diminuzione dei diritti, emigrazione di milioni di uomini e donne, sacrificati allo sfruttamento ed alla prostituzione...
Bisogna comprendere che queste risoluzioni segnano un salto di qualità del revisionismo storico. Con l'equiparazione tra comunismo e nazismo (negata da qualsiasi storico serio, e da tutti i maggiori intellettuali europei del novecento, da Thomas Mann a Primo Levi), non si vogliono solo svilire gli ideali di chi ha combattuto per la giustizia e la libertà, né emarginare culturalmente e socialmente persone che hanno opinioni “scomode”. Si tratta di preparare le condizioni per la loro punizione, e di dissuaderli preventivamente a dichiarare le proprie idee. Queste operazioni ideologiche hanno insomma degli effetti concreti. Ispirando la pubblicazione di studi che si rovesceranno nelle università e nei manuali scolastici, utilizzando la Giornata della Memoria come spunto per violente campagne mediatiche, riscrivendo la storia d'Europa come conviene a chi vuole autolegittimarsi, si tenterà di togliere il terreno a chi lavora per una trasformazione dell'esistente.
Dietro la bandiera della lotta al “totalitarismo comunista” si cela quindi la lotta a qualsiasi forma di lotta sociale, di conflitto radicale, in nome di un presunto “equilibro” e di una “moderazione” funzionali alle esigenze del capitale. La criminalizzazione del comunismo coinvolge a largo spettro chiunque non nasconda il suo dissenso, lotti per la sua sopravvivenza, opponendosi ai licenziamenti, occupando una casa, una fabbrica, una facoltà, impedendo che si apra l'ennesima base militare o la discarica sotto casa. Mettendo fuori legge quella parola si mette fuori legge quello che quella parola vuol dire. E si inventano dei nemici, per dimenticarci quelli che abbiamo in casa. Utile, soprattutto in tempo di crisi.
In 1984 di George Orwell “l'eroe dell'epoca totalitaria” passava le sue giornate a rivedere i dizionari, a lavorare alacremente per far sparire certe parole, per creare una neolingua, ben epurata, che impedisse di pensare la dissidenza. Cancellava articoli di giornale, riscriveva la storia, perché “chi controlla il passato controlla il futuro”. Forse un regime capitalista non ha troppo bisogno di parate o di adunate: è tutto molto dispendioso. All'UE bastano le leggi di mercato, i media, la polizia, qualche intellettuale compiacente. Soprattutto, gli basta fabbricare ad arte l'ignoranza e la paura.

lunedì 30 marzo 2009

Il Tg1 fa lobotomia

Andato in onda domenica 29 marzo 2009
http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-2ef207b7-3e22-46bc-900f-f4ef4ed1627d.html

sabato 28 marzo 2009


Ecco il simbolo della lista comunista e anticapitalista che verrà presentato alle elezioni europee.

venerdì 13 marzo 2009

Pubblicato sul Financial Times (comment)

Flexibility gives way to rigidity’s virtues

By Paul De Grauwe

Published: February 22 2009 20:23 | Last updated: February 22 2009 20:23

The economic paradigm developed during the boom years was based on the idea of flexibility. The economically successful countries were those that allowed flexibility in goods and labour markets. Rapid growth lay ahead of them if they permitted companies to hire and fire without restrictions; if wage contracts made it possible for companies to adjust wages up and down quickly to changing economic conditions.

New growth models were developed by academic economists stressing the need for flexibility. International organisations chastised those countries with rigid labour and goods markets and urged them to introduce “structural reforms”. The European Commission was mesmerised by the idea of flexibility and cooked up the Lisbon Agenda with the ambition of transforming the European Union into a flexible economy.

The great role model was the US, which was seen to have a superior economic model thanks to its flexibility.

Today it is becoming increasingly clear that flexibility may not be a quality at all, but a serious handicap. Let us analyse why that is.

Since the outbreak of the financial crisis the world economy has been increasingly gripped by debt deflation. The dynamics of debt deflation are well-known and was described by Irving Fisher 80 years ago. Households and companies (including banks) faced with excessive debt have to sell assets. Asset prices decline, leading to more intense solvency problems elsewhere in the system. Companies are forced to fire workers and/or to reduce their wages. As a result, more households find it impossible to service their debt. Thus, in a debt deflation, the attempts of some to service their debts makes it more difficult for others to service their debts.

The source of the problem is the fact that the level of debt is a fixed nominal variable. The consumer who has to pay back a mortgage of $400,000 faces this rigid payback threat whatever the value of his assets or the value of his wage. Thus the problem of debt deflation is that there is one rigid variable (the value of the debt) while so much of the rest (asset values, wages, employment) is flexible. The more flexible these variables are, the more hellish are the dynamics of debt deflation and the more difficult it is to pull the economy out of it.

It follows that the most flexible economies will suffer most from this. In countries where companies can easily fire workers, or where they can cut their wages on a whim, these same workers will be hit harder by the debt deflation dynamics. They will have to sell their houses and their other assets more quickly, thereby threatening others (including banks) with bankruptcy.

When economies are hit by debt deflation they need circuit breakers. You guessed it: rigidities in wages, prices and employment contracts are such circuit breakers. They slow down the debt deflation dynamics, allowing for a more orderly retreat. Workers do not immediately lose their jobs; their wages are not cut instantaneously, giving some respite in the orderly winding down of debt levels.

Of course, these circuit breakers do not eliminate the debt deflation dynamics; they slow them down. There is one ultimate circuit breaker, however, that has the capacity to stop the dynamics. This is the social security system. “Rigid economies” have been chastised for having too generous social security systems. They pay their unemployed too much for too long. It now turns out that this ultimate source of rigidity is a great advantage. The workers that are made redundant in the rigid countries will have higher unemployment benefits that will sustain consumption and reduce the fall in prices. The debt deflation dynamics hit a floor.

One may argue that since the unemployed in the rigid countries get paid better, the budget deficits in these countries will increase more than in the flexible countries. This is far from certain though. For sure, the governments of flexible countries will spend less on unemployment benefits, but to the extent that the debt deflation leads to a stronger decline in economic activity in these countries, government revenues will decline more. As a result, budget deficits may actually increase more in the flexible countries.

The idea that flexibility is good and rigidity is bad continues to influence the minds of policymakers and analysts. Rating agencies, for example, continue to give a more favourable rating to US and UK sovereign debt based on the notion that the greater flexibility of these countries gives them a better capacity to adjust to the crisis than rigid countries such as Spain, Italy and Ireland.

The opposite is true. Today, rigidities in wages, employment and social security allow countries to deal better with the great rigidity that the fixed levels of debt impose on households and companies. We should cherish these rigidities.

The writer is professor of economics at the university of Leuven and the Centre for European Policy Studies

(trad in ITA)

La flessibilità ceda il passo alle virtù della rigidità Stampa E-mail
Scritto da Paul De Grauwe*, "Financial Times" ( trad. Francesco Fumarola per MdV)
venerdì 13 marzo 2009
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Clicca qui per la versione in inglese apparsa sul "Financial Times"
Il paradigma economico sviluppato durante gli anni del boom era basato sull’idea di flessibilità. Il successo economico fu di quei paesi che avevano introdotto la flessibilità nel commercio e nel mercato del lavoro. Una rapida crescita veniva garantita loro se si permetteva alle aziende di affittare e licenziare senza restrizioni; se gli accordi su salario facevano in modo che fosse possibile per le aziende, al mutare delle condizioni economiche, adeguare i salari al rialzo o al ribasso velocemente.

I nuovi modelli di crescita furono sviluppati da insigni economisti che estremizzavano il bisogno di flessibilità. Le organizzazioni internazionali criticavano aspramente quei paesi che avevano commercio e mercato del lavoro rigidi e li esortavano ad introdurre con urgenza “riforme strutturali”.

La Commissione Europea fu ipnotizzata dall’idea della flessibilità e si inventò l’Agenda di Lisbona con l’ambizione di trasformare l’Unione Europea in un’economia flessibile. L'esempio da seguire fu quello degli Stati Uniti, che sembravano avere un modello economico superiore grazie alla loro flessibilità. Oggi sta diventando sempre più chiaro che la flessibilità non può essere affatto una qualità, ma un handicap serio. E vediamo perché. Da quando è scoppiata la crisi finanziaria l’economia mondiale è stata sempre più stretta nella morsa della deflazione da debito .

La dinamica della deflazione da debito è ben conosciuta e fu descritta da Irving Fischer ottant’anni fa. Famiglie ed aziende (comprese le banche) per affrontare l’eccessivo debito hanno dovuto vendere i loro beni. I prezzi delle merci si sono ribassati, conducendo a problemi di solvibilità più intensa da qualche altra parte nel sistema. Le aziende hanno iniziato a prendere di mira i lavoratori e/o a ridurre i salari. Come risultato, un numero maggiore di famiglie s’è trovato nell’impossibilità di estinguere i debiti.

Così, nella deflazione da debito, i tentativi di qualcuno di pagare i debiti ha reso più complicato ad altri di coprire i propri. L’origine del problema sta nel fatto che il livello di debito è una variabile nominale fissa. Il consumatore che deve rimettere un prestito di 400 mila dollari affronta questa restituzione obbligata qualunque sia il valore dei suoi beni o il valore del suo salario. Così il problema della deflazione da debito è che c’è una variabile rigida (il valore del debito) mentre gran parte del resto (valore dei beni, salari, impiego) è flessibile.

Più le variabili sono flessibili, più infernale è la dinamica della deflazione da debito e più difficile è salvare l’economia. Ne consegue che le economie più flessibili soffriranno di più. Nelle nazioni dove le aziende possono facilmente licenziare i lavoratori, o dove esse possono tagliare i salari a capriccio, questi stessi lavoratori saranno colpiti più duramente dalla dinamica della deflazione da debito. Si dovranno vendere le case e gli altri beni più velocemente, minacciando di fallimento gli altri (banche comprese).

Quando le economie sono colpite dalla deflazione da debito essi hanno la necessità di un salvavita. Vediamo di indovinare: proprio rigidità nei salari, nei prezzi e nei contratti di impiego rispondono a questo bisogno. Frenano la dinamica della deflazione da debito permettendo una difesa più sistematica. I lavoratori non perdono immediatamente il lavoro; i salari non vengono tagliati all’istante, consentendo un po’ di tregua attraverso una riduzione regolare dei livelli di debito. Naturalmente, questi salvavita non eliminano la dinamica della deflazione da debito: la rallentano. C’è un salvavita definitivo , che possiede la capacità di fermarla. Si chiama sistema di sicurezza sociale. “Le economie rigide” sono state duramente criticate per avere avuto sistemi di sicurezza sociale troppo generosi. Sovvenzionano la disoccupazione troppo a lungo. Ma si dimentica che questa dirimente risorsa di rigidità è un grande vantaggio. I lavoratori in sovrappiù nelle nazioni rigide avranno più alti benefits di disoccupazione [ammortizzatori, ndr] che sosterranno il consumo e ridurranno la caduta dei prezzi. La dinamica della deflazione da debito si azzera.

Qualcuno può obiettare che poiché il disoccupato nelle nazioni rigide è meglio pagato, il deficit pubblico di queste nazioni crescerà più che nelle nazioni flessibili. Non è per niente certo. Di sicuro, i governi delle nazioni flessibili spenderanno meno per i benefits ai disoccupati, ma nella misura in cui la deflazione da debito produce un rallentamento più accentuato nell’attività economica di questi paesi, le entrate pubbliche diminuiranno in misura maggiore.

Come risultato, il deficit può crescere di più nei paesi flessibili. L’idea che la flessibilità è un bene e la rigidità è un male continua ad influenzare le menti di uomini politici e analisti. Le agenzie di rating, per esempio, continuano a dare rating più favorevoli al debito statale di Stati Uniti e Gran Bretagna, per via della nozione che la maggiore flessibilità di questi paesi dà loro una maggiore capacità di adattarsi alla crisi rispetto a paesi rigidi come Spagna, Italia ed Irlanda.

E’ vero il contrario. Oggi, le rigidità nei salari, nell’impiego e nella sicurezza sociale permette ai paesi di gestire meglio l’estrema severità che i livelli fissi di debito impongono a famiglie e aziende. Non dovremmo essere critici di queste rigidità.

*L’autore è professore di Economia all’Università di Leuven e al Centro per gli Studi Politici Europei
(tradotto dall'Inglese da Francesco Fumarola per MdV)

mercoledì 25 febbraio 2009

Sciopero "virtuale" e, per la felicità di angeletti, referendum preventivo!!

SCIOPERI: BOZZA DDL, ABROGARE E SOSTITUIRE LEGGE ATTUALE NEI TRASPORTI (2) =

(Adnkronos) - Questi i principi che il ddl intende recepire per la regolamentazione dello sciopero nel settore dei trasporti:

- a) Introduzione dell'istituto del referendum consultivo preventivo obbligatorio, a meno che non si tratti di proclamazioni da parte di organizzazioni sindacali complessivamente dotate di un grado di rappresentativita' superiore al 50 per cento dei lavoratori, e della dichiarazione preventiva di adesione allo sciopero stesso da parte del singolo lavoratore almeno con riferimento a servizi o attivita' di particolare rilevanza;

- b) Previsione dell'istituto dello sciopero virtuale, che puo' essere reso obbligatorio per determinate categorie professionali le quali, per le peculiarita' della prestazione lavorativa e delle
specifiche mansioni, determinino o possano determinare, in caso di astensione dal lavoro, la concreta impossibilita' di erogare il servizio principale ed essenziale;

- c) Predisposizione di adeguate procedure per un congruo anticipo della revoca dello sciopero al fine di eliminare i danni causati dall'effetto annuncio e di una piu' efficiente disciplina delle procedure di raffreddamento e conciliazione attenta alle specificita' dei singoli settori;

- d) Semplificazione delle regole relative alla rarefazione soggettiva ed oggettiva anche in funzione del grado di rappresentativita' dei soggetti proclamanti, nonche' di una revisione
delle regole sulla concomitanza di scioperi che incidano sullo stesso bacino di utenza

venerdì 20 febbraio 2009

Anglo American -19000

Il gruppo minerario britannico Anglo American pronto a tagliare 19mila posti
Il premier britannico Brown
Il premier britannico Brown

Il gruppo minerario britannico Anglo American e' pronto a tagliare 19mila posti di lavoro entro la fine dell'anno dopo aver riportato un calo degli utili del 29% nel 2008 a 5,2 miliardi di dollari.

I tagli rientrano in una piu' ampia politica di economie con la quale il gruppo spera di ottenere un risparmio pari a 2 miliardi di dollari l'anno da adesso al 2011. Anglo American conferma inoltre di voler dimezzare il suo programma di investimenti 2009, portandolo a circa 4,5 miliardi di dollari, per fronteggiare crollo dei prezzi dei metalli.

mercoledì 18 febbraio 2009

Europee, lo sbarramento al 4% è legge

ROMA - Con un voto bipartisan l'aula del Senato ha approvato in via definitiva il ddl che introduce la soglia di sbarramento del 4% sulla legge elettorale europea. I voti favorevoli sono stati 230, 15 i contrari e 11 gli astenuti. Hanno votato sì Pdl, Pd, Lega e Idv. Contrari i radicali eletti nel Pd, l'Mpa di Raffaele Lombardo, i Repubblicani europei. In dissenso dal gruppo si sono espressi i senatori Pd Vincenzo Vita, Ignazio Marino, Franca Chiaromonte, Gianfranco Carofiglio.

Essendo passata senza modifiche rispetto al testo approvato alla Camera, la nuova normativa diventa legge senza necessità di un ulteriore passaggio parlamentare. Potranno quindi essere eletti al Parlamento europeo soltanto i rappresentanti delel liste che avranno raggiunto la soglia del 4% dei voti validi a livello nazionale.

martedì 17 febbraio 2009

Scuola, religione fin dalle materne A Milano un patto diocesi-Comune

Palazzo Marino assume a tempo indeterminato 46 educatrici ad hoc segnalate dalla curia. Senza alcun concorso. Per convincere gli studenti stranieri delle superiori, poi, la curia ha inviato una lettera in cui si consiglia di seguire le lezioni di fede cattolica per integrarsi meglio
di Zita Dazzi

Ora di religione in tutte le scuole, a Milano, dalle materne fino alle superiori. E per convincere gli alunni stranieri, una lettera della curia tradotta in sei lingue che consiglia ai ragazzi di seguire la lezione di fede cattolica per integrarsi meglio. Il Comune ha siglato un accordo con la diocesi per garantire l'insegnamento di religione in tutte le 175 scuole dell'infanzia, a tutti i 23mila iscritti. Finora questa opzione era distribuita a macchia di leopardo: in alcune scuole sì, in altre no. Le maestre erano 20 e dovevano coprire tanti istituti in quartieri diversi. Adesso le cose cambiano.

Sono state assunte a tempo indeterminato 46 educatrici ad hoc: maestre segnalate e garantite dalla curia. Nessun concorso pubblico, come invece avviene per le altre educatrici, ma stipendio comunale, come il resto del corpo docente nelle materne. La cosa piace alla diocesi, che su questo aspetto pastorale e sulla conquista dei giovani punta molte delle sue energie. Piace parzialmente, invece, ai sindacati, soprattutto per la procedura seguita dal Comune.

Tatiana Cazzaniga (Cgil-funzione pubblica) commenta: «Attendiamo da anni che il Comune assuma le educatrici per coprire i buchi di organico. Ci hanno sempre detto che non ci sono i soldi, che le assunzioni sono bloccate dalla Finanziaria. E adesso vediamo arrivare dal cielo 46 maestre che, senza concorso e senza graduatorie, entrano a tempo indeterminato, pagate dal contribuente».

Detto ciò, la diocesi punta molto sull'ora di religione. E, agli immigrati iscritti alle superiori, scrive una lettera da distribuire a scuola: «Forse sei un po' a disagio in Italia, non conosci le persone, la lingua, alcuni modi di vivere. La nostra storia è profondamente segnata da quasi 2000 anni di religione cristiana cattolica..». Al giovane lettore viene spiegato che a scuola c'è una disciplina «che può aiutarti a conoscere il pensiero e la storia della Chiesa. Se ritieni giusto partecipare, sarai ben accolto. Non sei obbligato, tanto meno a diventare cristiano», ma sappi, si legge nella lettera, che «questo corso vuol arricchire le tue conoscenze e portarti a comprendere meglio la tua religione e quella del paese che ti accoglie. Potrai affrontare tanti problemi, tra cui il razzismo e la tolleranza».

giovedì 12 febbraio 2009

non candideranno i già eletti? vediamo...

EUROPEE: LISTA UNICA VERDI-SD-MPS,NO A 'FALCE E MARTELLO'PRC
MIGLIORE, DA FERRERO PREGIUDIZIALE IDEOLOGICA, E' ARRETRAMENTO
(ANSA) - ROMA, 12 FEB - Verdi, Sinistra Democratica e Movimento per la Sinistra dicono no all'invito del Prc a correre tutti sotto il simbolo della ''sua'' falce e martello e annunciano una loro lista comune per le europee. Le candidature saranno indicate dal basso, nel territorio; saranno inoltre esclusi i parlamentari della scorsa legislatura e chi ha avuto
incarichi nel governo Prodi.
In una conferenza stampa a Montecitorio, i dirigenti delle tre componenti dell'ex Arcobaleno hanno spiegato i motivi dela loro decisione. ''La proposta del Prc - dice Gennaro Migliore
del Movimento per la Sinistra - e' un grave arretramento politico perche' intende riprodurre uno scherma di unita' dei comunisti con una pregiudiziale ideologica. Noi siamo impegnati
invece in una altro progetto, quello della ricostruzione di una sinistra piu' ampia ed efficace. Io sono comunista, ma penso che si debba dar vita ad uno schieramento plurale nel quale i comunisti siano una componente. La pretesa di Ferrero di rappresentare tutte le componenti della sinistra sotto il suo simbolo non fa i conti con la realta'''.
''La sinistra italiana - ha detto Paolo Cento dei Verdi - e' molto piu' ampia di chi la rappresenta con la falce e il martello. Ci vuole un grande spirito di apertura e di analisi delle grandi contraddizioni della nostra societa' globalizzata''. L'ex sottosegretario ha confermato che non si candidera' per sottolineare un dato di discontinuita' con la classe dirigente che ha perso le lezioni politiche:''le candidature verranno decise dal basso costruendo un vero federalismo politico''. Per Sd Gloria Buffo ha sottolineato che con la lista unitaria per le europee si intende ''dar vita ad una proposta politica utile, non chiusa in un recinto, ma popolare''. ''Nel Parlamento di Strasburgo - ha aggiunto - i rappresentanti della sinistra sono i piu' presenti e i piu' capaci. Per loro e un lavoro vero, non una postazione per parcheggiare qualcuno''.
L'Associazione per la sinistra, che rappresenta unitariamente le componenti della lista unitaria, partecipera' domani con un unico striscione unitario alla manifestazione per lo sciopero del pubblico impiego e dei metalmeccanici. Questo servira' anche a sottolineare - e' stato spiegato nella conferenza stampa - il dissenso con il Pd che ha ''disertato questo importante momento
di lotta in un passaggio difficile per i lavoratori''.
Alla lista unitaria della sinistra dovrebbe partecipare anche Unire la Sinistra di Katia Bellillo, ex ministro del Pdci, che non era pero' presente all'incontro con i giornalisti.(ANSA).

Caso Marino

Fonte: Repubblica

l retroscena. Il chirurgo lascia l'incarico di capogruppo in commissione
Lo sostituisce l'ex teodem Dorina Bianchi che condivide il testo del Pdl

Democratici, scoppia il caso Marino
"Ora rischia la linea sul fine-vita"

Chiaromonte: è una scelta intempestiva. I radicali: sparti-zione di ruoli
Lo scienziato: "Il lavoro fatto finora sarà portato avanti, garante è la Finocchiaro"
di CARMELO LOPAPA


Democratici, scoppia il caso Marino
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Ignazio Marino

ROMA - Il Pd sostituisce in corsa il suo "caposquadra" nella commissione Sanità del Senato che sta accelerando verso l'approvazione della legge sul testamento biologico. Il luminare dei trapianti Ignazio Marino va a presiedere la commissione di inchiesta sul Servizio sanitario e deve lasciare il testimone (di capogruppo in quell'organismo) a Dorina Bianchi. Entrambi cattolici, quest'ultima ex Udc, fino a qualche tempo fa militante teodem e ora vicina a Beppe Fioroni. La decisione matura in seno al partito, viene messa ai voti e passa. Questione di "riequilibrio interno", ma giunge all'indomani della battaglia portata avanti sul caso Eluana da Marino e soprattutto a ridosso del voto sul fine vita. E tra i laici del Partito democratico scoppia una mezza rivolta.

Semplice avvicendamento tecnico, spiegano dal Pd. Marino a ottobre aveva presentato le dimissioni da capogruppo in commissione perché era stato eletto presidente di un altro organismo, quello di inchiesta sul Sistema sanitario. Atto dovuto pro forma, che infatti era rimasto nel cassetto della Finocchiaro negli ultimi tre mesi. Il professore porta avanti il suo ddl sul testamento, poi la battaglia per lo stop all'alimentazione di Eluana. Finché ieri non viene deciso il cambio della guardia. Il timore espresso dai più critici è che possa subire adesso contraccolpi la linea che il Pd ha portato avanti sul testamento biologico. Tanto più che la senatrice Bianchi non fa mistero di condividere (salvo alcuni dettagli) il ddl Calabrò della maggioranza e che tanti, dall'opposizione, giudicano restrittivo. E a lei, alla senatrice, spetterà il compito di presentare la relazione di minoranza in commissione.

"È un testo migliorabile, soprattutto per alcuni profili quali il ricorso al notaio, ma in linea di massima condivido l'impostazione" spiegava ancora ieri la Bianchi prima di entrare in aula. Lunedì scorso, insieme al collega di gruppo Claudio Gustavino, aveva votato in commissione il ddl del governo Berlusconi che prevedeva la ripresa dell'alimentazione per Eluana.

La riunione dei senatori Pd che ha formalizzato la decisione si è tenuta in mattinata. Presenti i soli componenti della commissione e Albertina Soliani a rappresentare la capogruppo Finocchiaro. Dibattito, voto, alla fine prevale la linea dettata dai vertici. Decidono di non infrangere l'unanimità e dire sì all'avvicendamento anche le due più critiche, Franca Chiaromonte e la radicale Donatella Poretti, ma non senza far sentire le loro ragioni.

Fiorenza Bassoli invece ha preferito non partecipare affatto alla riunione. "Sarebbe stato opportuno avere come capogruppo una figura dialogante - racconta - Invece la Bianchi, a mio parere, non rientra in quella configurazione. Per questo ho espresso i miei dubbi e non ho partecipato. Non intendo drammatizzare, ma spero che tutto questo non renda più difficile il nostro lavoro in commissione, dove abbiamo sempre avuto una posizione laica e aperta".

Franca Chiaromonte, senatrice di lungo corso, lo ha detto davanti ai suoi e lo ripete: decisione "inopportuna, intempestiva, Marino aveva ancora un ruolo da svolgere in quella commissione, la sua competenza è utilissima, come ha dimostrato finora, e lo sarebbe stata ancor più adesso". Ma la più agguerrita è la Poretti: "Mediaticamente e politicamente la notizia è che il Pd sfiducia Marino. Se non fosse stato così, la decisione sarebbe stata rinviata. Si è atteso tanto, tre mesi, si potevano attendere altre due settimane, giusto l'approvazione del testamento biologico". E invece? "Invece hanno il problema di riequilibrare gli incarichi interni tra ex Ds e Margherita, sono prevalse le ragioni della spartizione: mi dicono lei sia molto vicina a Fioroni, fatti suoi. Noi denunciamo tutta l'inopportunità politica della sostituzione in questo momento. Ho dei dubbi sulla linea che il Pd farà propria, adesso".

Invece la Soliani ha garantito che proprio la linea non cambierà, qualunque sia il capogruppo, che non bisogna "farne un dramma". D'altronde il Pd è atteso alla prova del voto a breve, nel giro di un paio di settimane in commissione. Ignazio Marino si tiene lontano dalle polemiche. "Non ci sono commenti da fare. È un avvicendamento tecnico necessario perché sono presidente di una commissione di inchiesta - taglia corto - Sono convinto che il lavoro portato avanti finora sul testamento biologico proseguirà. E ne ho personale assicurazione anche dal presidente Finocchiaro".

In commissione è ripreso ieri l'esame del testo della maggioranza, tappe forzate per inviarlo in aula entro fine mese. Ma ieri l'ex magistrato del Pdl, Roberto Centaro, non ha lesinato rilievi di natura giuridica sul ddl. Da martedì il confronto entrerà nel vivo.

Paolo Barnard, Palestina, capire il torto.

Da vedere (i seguenti video sono a fianco).

Peugeot Citroen taglierà oltre 11mila

Peugeot Citroen taglierà oltre 11mila
posti di lavoro a livello mondiale

Le uscite saranno su base volontaria. Nel 2008 Psa ha accusato un cash flow negativo per 3,76 miliardi

(Afp)

PARIGI - Quest'anno oltre 11mila collaboratori lasceranno Psa Peugeot Citroen. Così il direttore finanziario, Isabel Marey-Samper. «Stimiamo che oltre 11mila persone in Europa lasceranno volontariamente» il gruppo, ha detto Marey-Samper.

LA CRISI - Alla conferenza di bilancio Psa, che impiega 207.850 persone al mondo, di cui 113.710 in Francia, non ha dato inoltre alcuna indicazione sul dividendo, limitandosi ad affermare che «includerà il forte calo dei risultati del gruppo e il clima economico». Nel 2008 Psa ha accusato un cash flow negativo per 3,76 miliardi e stima che anche nel 2009 resterà negativo. Alla borsa di Parigi i titoli Psa scivolano di poco più del 5% a 13,66 euro.

Pioneer - 10000

Fonte : Rai NEWS 24
La Pioneer taglia 10.000 posti di lavoro

Tagli nell'industria leader delle tv al plasma

La Pioneer ha annunciato il taglio di 10mila posti di lavoro in tutto il mondo, tra cui 6mila dipendenti a tempo indeterminato, in previsione delle forti perdite per 130 miliardi di yen (1.117 milioni di euro) che emergeranno a marzo dal bilancio dell'anno finanziario. Il colosso giapponese dell'elettronica cesserà la produzione di schermi al plasma e chiuderà impianti negli Stati Uniti e in Gran Bretagna. I tagli della Pioneer seguono quelli di altri colossi nipponici colpiti dalla crisi economica internqzionale, come la Sony (16.000), Nec (20.000) o Nissan (20.000).

mercoledì 11 febbraio 2009

Riparte il conflitto sociale: pubblici e metalmeccanici uniti

Tratto da Liberazione

Il 13 febbraio sarà formalmente lo sciopero generale di due categorie, pubblico impiego e metalmeccanici, ma anche la prima reazione pubblica all'accordo separato sul nuovo modello contrattuale del 22 gennaio. Quindi, è una giornata in cui si concentrano temi sindacali, a partire dal salario, passando per il nuovo regime di deroghe e finendo con la bilateralità, ma anche temi politici visto che, come è stato detto, è in atto un forte attacco alla democrazia. Liberazione intende accompagnare questo percorso con un approfondimento puntuale di tutti gli elementi sul tappeto.
Dino Greco
C'è una prima questione. Una manifestazione con sciopero generale indetta da Fiom e Fp, le due più forti categorie della Cgil, è un fatto inedito. Come lo è la circostanza che mentre si prova a contrapporre il lavoro pubblico al lavoro privato si dia un segnale in chiara controtendenza. Come e perchè è maturata questa scelta?
Gianni Rinaldini
Ci troviamo di fronte a una situazione eccezionale, caratterizzata da accordi separati che non hanno precedenti e dentro una operazione costruita con l'obiettivo esplicito di contrapporre lavoratori pubblici e privati. La nostra iniziativa nasce da una riunione congiunta del mese di luglio 2008 dei due direttivi a Torino che ragionavano sul fatto che era partita la campagna contro i cosiddetti fannulloni e, contemporaneamente, una trattativa con la Confindustria sul modello contrattuale. Era chiaro che questo preannunciava un intervento a tutto campo. Da qui la necessità di costruire una discussione ed una iniziativa comune, che non era scontata. E questo ha pesato anche nella discussione in Cgil, tanto è vero che lo sciopero del 13 non è che l'inizio di una ulteriore fase di mobilitazione che coinvolgerà l'insieme della Cgil fino alla manifestazione nazionale prevista per il 4 aprile. E' di assoluto valore che questo sia avvenuto sulla base di scelte di merito che hanno superato discussioni che c'erano state in passato tra le due categorie.
Carlo Podda
L'idea semplice è poter contrapporre al "divide et impera" l'altrettanto vecchia regola secondo cui insieme ci si intende meglio. Parlandoci un po' più da vicino, senza dimenticare, come diceva Rinaldini, che prima c'erano stati punti di vista diversi su alcune questioni, che probabilmente in parte permangono. Abbiamo tuttavia scoperto che erano molte di più le ragioni che potevano spingerci a metterci insieme e soprattutto ad individuare un terreno di azione comune. In particolare ci è sembrato che a differenza di quanto hanno fatto in questi anni i partiti della sinistra politica valesse la pena ricercare cosa fosse utile fare piuttosto che con chi farlo. E se questo qualcosa si potesse fare assieme. Ora, detto questo, penso che la precarietà è un dramma che attraversa sia il mondo del lavoro privato che il mondo del lavoro pubblico. La totale mancanza di sicurezza nella continuità del rapporto di lavoro e di qualsiasi ammortizzatore sociale, soprattutto nel caso di persone che non sono nemmeno più giovanissime, è una questione drammatica. Ricordo che le amministrazioni pubbliche sono considerate il maggior datore di lavoro precario. Si è scambiata la flessibilità per precarietà e si sono scambiati i lavori con forme di lavoro temporaneo per mansioni che non sono assolutamente temporanei, dalle maestre d'asilo agli infermieri, per passare ai poliziotti. Abbiamo segnalato noi al Viminale che c'erano duemila agenti della pubblica sicurezza che si trovavano in scadenza di contratto e che rischiavano di ritrovarsi in mezzo a una strada. Solo nel settore dell'auto più di cinquemila precari sono andati a casa. Nel pubblico impiego in gran parte si tratta di lavoratori della sanità e degli enti locali, persone che hanno un rapporto diretto con i cittadini, di gestione di erogazione dei servizi. A giugno sessantanovemila andranno a casa. Potrebbero diventare centoventimila nel 2010 per arrivare a più di duecentomila nel 2011.
Greco
E' evidente che l'attacco è frontale. Ma allora perchè venerdì scendono in campo solo Fiom e Fp? State svolgendo, oggettivamente, un ruolo di traino nei confronti della confederazione? E' così?.
Podda
Più che un ruolo di traino, preferisco pensarla così: ci ritroviamo nella condizione di avere il bisogno, e forse anche la forza, di provare a mettere in campo una iniziativa come questa. Lo sciopero in un periodo come questo è una cosa complicatissima. Si tratta di andare a chiedere alle persone di perdere dalle settanta alle cento euro a seconda della qualifica. Va poi detto che questa necessità, dopo il 22 gennaio, ce l'hanno tutte le categorie. Il 31 ottobre c'era già stato un accordo separato nel pubblico impiego. E lì giàerano già presenti tutti gli elementi che poi si sarebbero ripresentati: dall'alleggerimento delle forme di tutela e garanzia del contratto nazionale allo strozzamento della contrattazione integrativa. C'è la riduzione della democrazia, perché si pretende di concludere accordi con sindacati minoritari. Abbiamo visto tutto un po' prima degli altri, così come abbiamo vista prima la crisi del Welfare perché quando i lavoratori delle cooperative sociali si sono visti ridurre nell'arco di pochi mesi da trentasei a dodici ore settimanali, così come un lavoratore dell'auto ha percepito prima degli altri la crisi perché ha cominciato a subire il ricorso alla cassa integrazione. Poi, certo, c'è una discussione, la Cgil è una organizzazione complessa e multicentrica, molto plurale al suo interno e bisogna che maturino le condizioni per tutti e nello stesso momento.
Rinaldini
Aggiungo il fatto che come meccanici abbiamo indetto una manifestazione nazionale e uno sciopero per il giorno 12 dicembre e la Fp aveva previsto lo sciopero per lo stesso giorno. E tutto poi era confluito positivamente nello sciopero generale proclamato dalla Cgil per la stessa giornata. E' vero che le due categorie avevano messo in campo una serie di iniziative di carattere generale, cosa non prevista da altri sindacati di categoria. Va da sè che, a fronte dell'accordo separato sul modello contrattuale, Fiom ed Fp abbiano ragionato su una iniziativa comune. Capisco che questo si è prestato alle più svariate letture, ma sarebbe stato assurdo se a quel punto i metalmeccanici e la funzione pubblica facessero due scioperi generali con manifestazioni nazionali nell'arco di una settimana.
Greco
Torniamo al 22 gennaio, alla madre di tutti gli accordi separati, quello sulle regole. Non è più il confronto di merito su questo o quel contratto. Qui siamo davanti a una accordo che disciplina l'intero sistema della contrattazione e ne esclude il maggior sindacato italiano. E una dichiarazione di ostilità contro la Cgil, un vero e proprio patto ad escludere, voluto da governo, confindustria, con Cisl e Uil corrive. Nel merito, il primo punto che balza agli occhi è la messa in mora del contratto nazionale attraverso la riduzione programmata del salario e le deroghe territoriali al contratto nazionale. Una attacco dall'alto e dal basso. Che valutazioni fate?
Rinaldini
Intanto, noi siamo di fronte a un accordo separato sulla struttura contrattuale, che è cosa diversa dalla stipula, pur grave, di un accordo separato su un singolo contratto. Tanto è vero che una cosa simile non era mai avvenuta, nemmeno negli anni '50, in un momento di massima divisione sindacale. Quell'accordo precostituisce adesso e per il futuro un assetto che comporta la definizione di limiti assai pesanti per i contratti nazionali. Nel merito, c'è la riduzione, secca, del potere di acquisto dei salari. Aggiungo, già a partire dalla riduzione del valore del punto oltre che rispetto all'inflazione. Per capirci, si passerebbe dai diciotto euro attuali ai quindici euro. Oltre al fatto che c'è l'apertura ad un processo di scardinamento del contratto nazionale con le deroghe e la messa in discussione del diritto di sciopero, soltanto per ora limitata ai dipendenti pubblici. Non caso tra quindici giorni il Consiglio dei ministri discuterà le regole sul diritto di sciopero. Qui torna la questione cruciale della democrazia, che è in questa fase assolutamente decisiva. Bisogna prendere coscienza che siamo di fronte all'espropriazione totale dei lavoratori e delle lavoratrici del diritto di decidere su piattaforme ed accordi dei futuri contratti. Siamo di fronte ad un passaggio che rende esplicita una idea di utilizzo della crisi per ridefinire l'assetto delle relazioni sociali, reinscrivendole dentro una pesante torsione autoritaria. Chi sta dentro il quadro bene, chi non sta dentro è considerato un nemico da distruggere. Credo che questo sia un aspetto dei processi a livello sociale che sta in rapporto con una idea complessiva di assetto istituzionale del Paese che vede pesantemente compromessa la democrazia.
Podda
Aggiungo che c'è una riduzione della base di calcolo del 30%. Di solito facciamo riferimento ad una base di 25mila euro lordi, comprensiva del salario accessorio. Nell'accordo c'è scritto che d'ora in poi si farà riferimento ai cosiddetti elementi stipendiali. Ciò significa che questo 30% non potrà più essere calcolato. Una diminuzione programmata del potere di acquisto delle retribuzioni.
Greco
Già miserabili...
Podda
Si, già miserabili. L'ha ricordato Carniti qualche giorno fa. Noi avevamo presentato una piattaforma unitaria che doveva cominciare ad invertire questa tendenza. Il risultato è che ci hanno cucito addosso un modello contrattuale che è nettamente peggiorativo rispetto a quello del 23 luglio. Quanto alla democrazia, è utile ricordare che, pur con tutti i limiti e le difficoltà, Cgil, Cisl e Uil, anche con giudizi diversi, erano sempre ricorse alla prova di un giudizio generalizzato da parte dei lavoratori. Questo diritto viene oggi negato con motivazioni risibili. La stessa struttura contrattuale tende ad allontanare i lavoratori dal proprio contratto. Pensate al ruolo delle categorie, dove l'incremento delle retribuzioni viene fatto in base a un indice stabilito da un'autorità terza, e il riallineamento avviene con un accordo interconfederale. Il ruolo del sindacato di categoria mi sembra mortificato.
Greco
Stai dicendo che si è voluto disegnare un sistema di relazioni industriali imperniato su una fortissima centralizzazione che lede in profondità l'autonomia delle categorie...
Podda
Assolutamente. Ricordo che l'accordo del 23 luglio consentiva aumenti largamente al di sopra dell'inflazione programmata, come è avvenuto nel caso dell'ultimo contratto dei metalmeccanici. Non era un vincolo, ma una scelta di automoderazione a condizione che ci fosse un accordo di politica generale su prezzi e tariffe e politica generale di tutti i redditi. Poi ne è stata data una lettura che ha provocato un effetto di contenimento dei salari che ha provocato quegli effetti distorsivi che ricordavo prima. Oggi siamo in presenza di una cosa molto diversa. Il governo affronta la crisi con questo sistema ridisegnando una nuova distribuzione del reddito e un nuovo modello sociale più autoritario prospettando di far uscire il Paese dalla crisi ancora più diseguale e ancora più autoritario. Non a caso Sacconi ha detto che con questo accordo ci liberiamo di uno degli ultimi orpelli del '68. E questo perché l'ideologia che guida l'azione di questo Governo è esattamente questa, demolire il riscatto del lavoro e delle classi sociali.
Greco
L'accordo separato è stato venduto spiegando che il depotenziamento del contratto nazionale sarebbe compensato dallo sviluppo della contrattazione integrativa che si vuole vincolata ad incrementi di produttività. Oltretutto non si capisce in virtù di quale prodigio essa dovrebbe estendersi. L'unica cosa che si introduce è questa sorta di mancia di cui beneficerebbero i lavoratori delle aziende ove non si esercita la contrattazione integrativa.
Rinaldini
Il fatto che adesso ci sarebbe una contrattazione integrativa legata alla produttività è tutta una bugia perché già c'é. Quale è la novità, se non il fatto che ci troviamo di fronte a uno schema sulla parte retributiva che prevede un contratto nazionale che non copre il potere di acquisto e aumenti aziendali completamente variabili. Si fa presto a capire cosa vuol dire questa dinamica sul piano redistributivo generale e sulla condizione di lavoratori. L'altro aspetto che lì è esplicitato è che nel livello aziendale c'è solo ciò che viene rinviato dal livello nazionale. Quindi c'è anche una riduzione del ruolo della contrattazione articolata, altro che valorizzazione. Ed è un ruolo che la riconduce alle condizioni di bilancio e di redditività delle imprese. Scompare l'autonomia del sindacato e una contrattazione aziendale che sia in grado di intervenire complessivamente sull'organizzazione del lavoro in fabbrica. Tra l'altro, anche per quanto riguarda le piccole imprese, non c'è alcun elemento di novità se non una flebile copertura in tutte le situazioni dove non c'è la copertura aziendale. E' quello che nei metalmeccanici è chiamato elemento perequativo.
Podda
Tutte cose vere, ma noi abbiamo un tema in più. Il testo della riforma Brunetta prevede che il contratto potrà derogare da leggi, statuti e regolamenti. Così addio al contratto nazionale.
Greco
...Con buona pace del giuslavorismo moderno che vede proprio nell'indisponibilità della norma lo strumento per proteggere la parte più debole dalla sua stessa debolezza. C'è un terzo punto di quell'accordo: la proliferazione di strutture bilaterali che trasformano il welfare universale in welfare contrattuale. Mi pare si inauguri una pratica corporativa, consociativa e aconflittuale che cambia in radice la natura del sindacato. E' così?
Podda
Credo che la prima conseguenza riguardi la cittadinanza. Così ci apprestiamo a liquidare lo Stato sociale. Ci sarà anche chi l'ente bilaterale non ce l'avrà affatto e chi ce l'avrà di serie B. Tutto in perfetta continuità con il Libro verde di Sacconi.
Rinaldini
Gli enti bilaterali sono parte di un progetto complessivo che usa la crisi per ridefinire l'assetto delle relazioni sociali. Uso il termine che ha usato Sacconi nel presentare l'accordo: passare da rapporti conflittuali a rapporti di complicità tra lavoratori e imprenditori. Il conflitto in questo schema è un fatto eversivo e non la linfa stessa della democrazia. Esso viene eliminato non in forza di buoni accordi tra le parti, ma con dispositivi di legge. Dal diritto di sciopero agli enti bilaterali c'è un percorso di frantumazione dei diritti universali. In questo sta a mio avviso il rapporto con le vicende istituzionali e politiche. Il nostro non è un Paese granitico nella sua storia democratica e nell'equilibrio dei diversi poteri. Non a caso tutte le scelte odierne vengono sempre presentate esplicitamente come una svolta o una rottura rispetto alle fasi delle conquiste democratiche nel nostro Paese. La democrazia, insisto, diventa una questione centrale. Impedendo ai lavoratori di intervenire sulle loro condizioni si palesa un' aggressione alla costituzione materiale del paese.
Greco
In effetti, con l'attacco al diritto di sciopero, siamo al compimento di un progetto reazionario. E si comincia dai lavoratori pubblici.
Podda
Lo sciopero è un diritto individuale esercitato collettivamente. Mi pare che tutto sia molto chiaro rispetto al profilo autoritario che il governo va assumendo su democrazia e contrattazione, senza parlare delle contrapposizioni tra nativi e migranti e tra uomini e donne. Come disse Epifani quando si insediò il governo Berlusconi, siamo in una fase diciannovista. C'è una mutazione autoritaria del nostro Paese.
Greco
Due domande conclusive. La prima riguarda, la proposta di un contratto "unico" unico, avanzata da Tito Boeri che di fatto toglie di mezzo l'articolo 18.
Rinaldini
C'è la proposta di Boeri ma anche quella di Ichino, che mi pare peggiorativa rispetto alla prima. A me pare che le vicende della crisi ci indichino che tutta la legislazione sul lavoro e sul mercato del lavoro vada rivista. E questo perché ormai è chiaro che la questione non è più quella dei picchi produttivi. Il lavoro precario viene usato come polmone e i lavoratori soggetti a ricatto quotidiano. Noi dobbiamo ricondurre tutto al rapporto a tempo indeterminato. La proposta di Boeri, tra l'altro, è aggiuntiva, cioè si somma e non sostituisce le forme di precariato oggi esistenti.
Greco
Per un momento, guardiamo oltre oceano. Obama fa una operazione "roosveltiana" che prevede il rafforzamento del sindacato come funzionale alla ripresa dello sviluppo. In Italia si marcia nella direzione opposta.
Sebastiani
Ancora una cosa. Credo che la fase precedente, quella del '93 sia in continuità con quella attuale. Non è che il sindacato abbia perso del tempo prezioso per rafforzare il vincolo democratico con i lavoratori?
Podda
Obama introduce l'idea del tetto nelle retribuzioni dei manager privati. Bisogna riguadagnare la possibilità di rovesciare la piramide sulla quale siamo stati seduti fino adesso. Per fare questo abbiamo bisogno di grande consenso delle persone in carne ed ossa e di rinsaldare i vincoli democratici. Abbiamo perso del tempo? Se stiamo in queste condizioni non è bene dare sempre tutta la responsabilità agli altri. Ci sarà tempo e modo di discuterne. Statutariamente non siamo molto lontani dal congresso della Cgil. Dovessi provare a spiegare a un lavoratore quale possa essere il modello condiviso in tutta la Cgil avrei qualche difficoltà. Il 13 vorremmo cominciare a dire alcune cose: continuità del rapporto di lavoro, ammortizzatori sociali più ampi e più estesi, e defiscalizzazione del salario nazionale. E poi bisogna che la piantina cresca e duri almeno quanto questa legislatura perché è chiaro che il Governo vuole far fuori la Cgil. Considero sbagliata la ricetta proposta da Boeri, considererei però un errore chiudere la ricerca su quel tema.
Rinaldini
Per quanto riguarda Obama, occorrerà vedere se sarà in grado di cambiare le leggi vigenti sul sindacato. Un passaggio delicato e di grande importanza per capire il segno sociale di quel processo. Sull'altra questione, quella del '93 e la discontinuità. Oggi c'è un elemento da cui non si può prescindere: siamo in una fase in cui si mette in discussione la Costituzione. Dal punto di vista delle vicende sindacali va considerato che prima del '93 c'è stato il '92 e ancor prima il lodo Scotti, quando è iniziativa la concertazione. Il problema del sindacato e dell'intera sinistra politica è non aver mai affrontato una discussione vera sul processo che veniva avanti, sui caratteri della globalizzazione e sulla ridefinizione degli assetti sociali e del ruolo del sindacato.

lunedì 9 febbraio 2009

Crisi nella Ue, in quattro mesi persi 130mila posti di lavoro

Fonte: Rainews24

In Europa dall'inizio dell'ultimo trimestre del 2008 a tutto il mese di gennaio 2009 si sono persi 130.000 posti di lavoro nel settore industriale - soprattutto l'auto e il suo indotto - e in quello delle costruzioni. Due settori che nel corso dell'ultimo anno hanno fatto registrare un crollo della produzione pari a 150 miliardi di euro.

Sono le cifre contenute in un documento riservato della Commissione europea - che l'ANSA è in grado di anticipare - che molto probabilmente sarà all'esame dei ministri finanziari europei che lunedì e martedì si ritroveranno a Bruxelles per le riunioni dell'Eurogruppo e dell'Ecofin, chiamati a valutare quanto fatto per contrastare la crisi e quando fare in futuro.

Per il settore auto situazione drammatica
La situazione nel settore dell'auto e in quello dell'indotto è "drammatica", anche per la persistente stretta creditizia che "colpisce particolarmente" non solo le case automobilistiche, ma anche il settore delle costruzioni. La Commissione europea sottolinea come "la contrazione della produzione nel settore dell'industria automobilistica ha un immediato effetto negativo anche sull'occupazione nelle aziende aziende dei fornitori".

Dal governo francese 6mld di euro a Renault e Peugeot-Citroen

Il presidente francese Nicolas Sarkozy dovrebbe annunciare oggi che il governo presterà circa 6 miliardi di euro alle due principali case automobilistiche del Paese, particolarmente colpite dalla crisi economica. Il credito verrebbe accordato sulla base di agevolate rateizzazioni a Renault e Peugeot-Citroen. Ognuna delle due società riceverebbe 3 miliardi di euro. In compenso, le due societa' manterranno i loro siti produttivi in Francia e salvaguarderanno i posti di lavoro.

Nissan -20mila

Fonte: Rainews 24
Nissan in rosso, tagliati 20mila posti di lavoro. E gli stipendi dei manager

Nissan, anche i giapponesi soffrono la crisi

Il numero uno Carlos Ghosn lo ha ammesso senza reticenze: l'impatto della crisi è superiore a quanto prevedeva Nissan. Per questo Nissan ridurrà l'organico di 20mila unità entro marzo del 2010. Un taglio che rappresenta l'8,5% del personale Nissan che conta 215 mila dipendenti.

Nissan chiude il terzo trimestre con una perdita operativa di 99 miliardi di yen a fronte di ricavi in calo del 34% a 1.820 miliardi con 731 mila veicoli venduti (-18,6%). Oltre al taglio dell'organico, le misure di contenimento dei costi prevedono anche un colpo di forbice alle retribuzioni dei dirigenti. Dal prossimo mese di marzo il top management vedrà lo stipendio ridursi del 10% fino a quando la situazione non tornerà alla normalità. L'alleggerimento degli organici avverrà principalmente con il taglio delle assunzioni, l'eliminazione dei contratti a termine e gli incentivi alle uscite e ai pensionamenti.

sabato 7 febbraio 2009

Togliamogli la cittadinanza

Berlusconi: "Serve un chiarimento sulla Costituzione"
Una riforma della Carta costituzionale "è necessaria perché è una legge fatta molti anni fa sotto l'influsso di una fine di una dittatura e con la presenza al tavolo di forze ideologizzate che hanno guardato alla Costituzione russa come un modello". Lo ha detto il premier Silvio Berlusconi da Cagliari. "Con i poteri che ha il presidente del Consiglio e in più con l'ipotesi di una prassi che addirittura fa intervenire il Presidente della Repubblica prima che si proceda alle decisioni del governo è veramente una cosa che fa ridere". E' quanto ha affermato Silvio Berlusconi, ribadendo la necessità di un chiarimento sulla Costituzione per decidere quali sono realmente i poteri sia del Colle e sia della presidenza del Consiglio.

Dopo aver sostenuto la necessità di "un chiarimento della lettura delal Costituzione" il presidente del Consiglio ha aggiunto: "Sul come adesso ci riflettiamo e vedremo se dobbiamo arrivare a quelle riforme della Carta costituzionale che sono necessarie perché è una legge fatta ,molti anni fa sotto l'influsso della fine di una dittatura e con la presenza al tavolo di forze ideologizzate". Forze che "hanno guardato alla costituzione russa come a un modello cui prendere molte indicazioni".

"Certi poteri spettano al al governo e non al capo dello Stato"
Niente riforma presidenziale, "non c'entra niente casomai - riflette Silvio Berlusconi - è l'inverso. Non la voglio io, è dall'altra parte che si vogliono attribuire dei poteri che secondo l'interpretazione mia e del governo non sono del Capo dello Stato, ma spettano al governo". Silvio Berlusconi prende spunto dalla vicenda del decreto legge sul caso Englaro per sottolineare ancora una volta che "la decretazione d'urgenza spetta all'esecutivo, sennò - aggiunge il premier - uno va a casa...".

venerdì 6 febbraio 2009

Una pagina storica nera per la democrazia italiana

Fonte RAINEWS24

Varato il decreto su Eluana, Napolitano non lo firma. Alle 20 nuovo Cdm

Giorgio Napolitano

Nuovo consiglio dei ministri questa sera alle 20. L'ordine del giorno ufficiale della convocazione prevede "l'esame di un ddl in materia di alimentazione e idratazione" proposto dalla presidenza del Consiglio e dal ministero della Salute.

Le motivazioni del Capo dello Stato
"Io non posso nell'esercizio delle mie funzioni, farmi guidare da altro che un esame obiettivo della rispondenza o meno di un provvedimento legislativo di urgenza alle condizioni specifiche prescritte dalla Costituzione e ai principi da essa sanciti" scrive il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano nella lettera inviata al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e resa nota dal Quirinale.

La Presidenza della Repubblica ha infatti diffuso una nota nella quale si legge: "Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha preso atto con rammarico della deliberazione da parte del Consiglio dei ministri del decreto-legge relativo al caso Englaro. Avendo verificato che il testo approvato non supera le obiezioni di incostituzionalità da lui tempestivamente rappresentate e motivate, il presidente ritiene di non poter procedere alla emanazione del decreto".

Il legale della famiglia Englaro: un atto costituzionalmente ineccepibile
"E' un atto costituzionalmente ineccepibile". Cosi' il prof. Vittorio Angiolini, legale della famiglia Englaro, ha commentato il rifiuto del presidente della
Repubblica di firmare il decreto legge approvato dal consiglio dei ministri relativo al caso di Eluana.
"I rilievi del presidente della Repubblica - ha proseguito il legale - corrispondono ad un illegittimita' estremamente grave dell'atto a lui sottoposto".
Per Angiolini "ancora una volta Napolitano si e' fatto garante della costituzione".

La delusione del Vaticano
"Sono costernato che in tutte queste diatribe politiche si ammazzi una persona" e
"sono profondamente deluso" dalla decisione del presidente della Repubblica, Giorgio Napolutano, di non firmare il decreto che avrebbe imposto lo stop all'alimentazione e idratazione a Eluana Englaro. E' quanto ha affermato il card. Renato Raffaele Martino, presidente del pontificio consiglio Giustizia e Pace.