venerdì 11 aprile 2008

Ancora sulle indiscrezioni della Del Ponte

foto di GIULIA RAZZAUTI / illustra LUBOMIR, SERBO DI BJELO POLJE, MENTRE INDICA LA TOMBA DELLA MADRE DISTRUTTA DAGLI ALBANESI NEL 2004.Il 17 febbraio scorso Pristina si autoproclamava indipendente dalla Serbia, in questi gironi d’aprile è stata varata una nuova costituzione per il Kosovo. Ai residenti di etnia serba sarà reso molto difficile il voto per le politiche anticipate della madre patria previste per l’11 maggio. Nel mentre Carla Del Ponte pubblica un libro schock sul coinvolgimento dei leaders Uck su di un giro di espianto illegale di organi ai prigionieri serbi. Di Tommaso di Francesco per Il Manifesto

«Pronto, Carla Del Ponte? Posso intervistarla». L’ho incontrata molte volte, ma è irremovibile: «Mi dispiace, stavolta no. Mi hanno proibito di parlare. Deve rivolgersi al Servizio informazioni esteri svizzero».

Difficile dimenticarla mentre legge i capi d’imputazione a Slobodab Milosevic nel febbraio 2002 alla sbarra al Tribunale dell’Aja per i crimini di guerra dell’ex Jugoslavia. Difficile dimenticare quella sua aria intransigente e furba nell’affermare la sua giustizia internazionale. A lei si rivolgevano i vincitori di ogni guerra più o meno «umanitaria». L’effetto Del Ponte era salvifico per il potere. A quasi un anno dalla sua dipartita da procuratore all’Aja, precipitano avvenimenti che la contraddicono e mostrano una sorta di «nemesi di Carla Del Ponte». E, fatto singolare, in contemporanea con l’uscita della sua autobiografia, «La caccia, io e i criminali di guerra» (ed. Feltrinelli, pp. 413, 20 euro) scritta con il giornalista del New York Times, Chuck Sudetic, esperto di Balcani. «Sono più una cacciatrice di serpenti che una studiosa di diritto» vanta, dopo un’infanzia passata a caccia di rettili con i fratelli. E lo specchio autobiografico restituisce fragilità e fallimenti. Mentre è lei a diventare ricercata e cacciata, finita sul banco degli accusati, messa in un angolo e invitata ad andarsene subito.

Andiamo con ordine. In questi giorni il ministero degli esteri svizzero ha vietato all’ex procuratore dell’Aja, diventata ambasciatrice in Argentina, di presentare il suo libro né a Milano, dov’era prevista una serata, né in ogni altro posto in Italia e in Svizzera. La motivazione? L’opera contiene «affermazioni che non possono essere fatte da un rappresentante del governo svizzero», ha scritto il ministero degli esteri di Berna in una lettera alla Del Ponte. La promozione del libro non è compatibile con la funzione di ambasciatrice, ha detto il portavoce del Dipartimento federale degli esteri Jean-Philippe Jeannerat.

Nodo del contendere, la rivelazione dell’autobiografia che chiama in causa proprio un rettile, il temutissimo «Serpente» Hashim Thaqi, premier della proclamata - proprio da lui - indipendenza unilaterale del Kosovo, subito riconosciuta dalla Svizzera dove Thaqi aveva un suo quartier generale come Uck e fondi ingenti d’«incerta» provenienza. Una bomba, una pesante accusa. Documentata con l’inchiesta, i risultati e le indagini che provano il coinvolgimento del leader dell’Uck prima nella sparizione di più di 300 serbi sequestrati nell’estate 1999 in Kosovo dalle milizie Uck e poi, dopo essere stati condotti nel centro-nord dell’Albania, sottoposti ad espianto degli organi. Un traffico d’organi in grande stile. È stata dunque la pressione infuriata del premier del Kosovo a bloccare la promozione del libro della Del Ponte

Si narra anche della ricerca senza risultati dei due super-ricercati serbi di Bosnia, Ratko Mladic e Radovan Karadzic e della collaborazione di Belgrado per trovarli, tanto che il governo serbo si è lamentato dei segreti d’intelligence rivelati che mettono in cattiva luce l’attuale leadership al potere. Ma il vero «muro di gomma» contro cui si schianta, è quello delle responsabilità dell’Uck, diventata, per scelta americana, nel febbraio 1999 all’improvviso la fanteria della Nato - o è la Nato che ne diventa l’aviazione? In una storia terrificante ma vera: la Del Ponte racconta che una missione investigativa del Tribunale dell’Aja scoprì nell’Albania, del centro-nord presso Burrel, tra Kukes e Tropoja un capannone che, secondo i testimoni e dai resti del materiale sanitario trovato, si confermava essere stato la «clinica» dove erano avvenuti gli espianti di organi dai serbi «sani»(quelli malati e anziani vennero subito uccisi) che, prima dell’operazione, vennero ben rifoccillati, per essere alla fine anche loro crudelmente eliminati. Resta l’interrogativo del perché Carla Del Ponte non abbia proceduto ad una inchiesta specifica con altrettante incriminazioni. Di sicuro nel gennaio 2003 partono altre incriminazioni per l’uccisione di più di 60 serbi, contro i luogotenenti del leader dell’Uck Ramush Haradinay, per il quale la Del Ponte spiccherà 37 capi d’imputazione - per crimini di guerra e contro l’umanità - chiedendo per lui 25 anni di galera, nonostante nel frattempo sia stato nominato primo ministro da Ibrahim Rugova. Il risultato? Una settimana fa Ramush Haradinay è stato assolto. Grazie all’eliminazione fisica di tutti i testimoni a carico. Gettando nello sconcerto chi quelle violenze ha subìto, e nel terrore i serbi e le altre minoranze rimaste in Kosovo. In festa invece tutti i criminali dei Balcani. Per il messaggio, infame, d’impunità.

Fallimenti e silenzi. La Del Ponte infatti balbetta quando ammette il doppio standard concesso ai leader della Nato responsabili di stragi con i bombardamenti «umanitari». Perfino il giurista Antonio Cassese l’ha rimproverata perché non ha incriminato «almeno un pilota», per esempio quello della famosa strage del treno di Grdelica dell’aprile 1999. «Non avevamo né le competenze né le prove», risponde. Dimentica che Amnesty International consegnò al Tribunale dell’Aja la sua inchiesta sugli «omicidi mirati a realizzare terrore» che illustravano decine e decine di target civili, in Kosovo e in Serbia, colpiti a bella posta dai raid della Nato. Così come vale la pena denunciare che, tra tutti i nomi della «dramatis personae» in calce, manchi quello di Naser Oric. Incriminato, portato all’Aja, l’ex comandante musulmano di Srbrenica - dove si consumò la strage di migliaia di musulmani ad opera delle milizie serbe di Ratko Mladic - è stato poi assolto e liberato dalla Del Ponte. Eppure tutti sanno che il massacro di Srbrenica dell’11 luglio 1995 deriva atrocemente dalle stragi commesse prima dalle milizie musulmane agli ordini di Naser Oric nell’area di Bratunac, lì dove ora i serbi di Bosnia hanno eretto il loro sacrario. È la giustizia a senso unico, con il «male» attribuito geneticamente ad una sola parte.

Ora le mancanze di Carla Del Ponte sono diventate un affare di stato. Non solo con la censura del governo Svizzero e con l’odio di quello di Pristina. Anche la Russia, con una iniziativa del ministro degli esteri Serghei Lavrov, ha chiesto all’Aja informazioni sui crimini contro i serbi kosovari descritti nelle sue memorie e sulle «azioni» per indagarli.

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