
A chi si chiede qual è l'immagine dell'Italia all'estero.
Acqua pubblica
Roma, 17-11-2009
Il governo ha chiesto il ventiseiesimo voto di fiducia, 18 dei quali alla Camera, sul decreto obblighi comunitari che contiene, all'articolo 15, la privatizzazione dei servizi pubblici locali, acqua compresa.
Lo ha annunciato nell'Aula di Montecitorio il ministro per i Rapporti con il Parlamento Elio Vito, "data la ravvicinata della di scadenza del decreto" con "obblighi comunitari che non possiamo eludere". Vito ha aggiunto che la fiducia sara' votata su un "maxiemendamento" con un testo "identico" a quello approvato dalla commissione che "e' identico a quello arrivato dal Senato".
L'aula della Camera ha respinto le pregiudiziali di costituzionalita' - presentate da Pd e Udc - al 'decreto Ronchi', che fissa disposizioni urgenti per l'attuazione di obblighi comunitari e per l'esecuzione di sentenze della Corte di giustizia delle Comunita' europee.
Insorgono Pd e IdV
"Si sarebbe arrivati subito ad un voto unanime su questo provvedimento se il governo avesse stralciato dal decreto l'articolo sui servizi pubblici locali che non ha il coraggio di discutere ne' di spiegare alla gente": lo ha detto nell'Aula della Camera Marina Sereni del Pd dopo che il governo ha posto la questione di fiducia sul decreto Ronchi.
"Questa fiducia - spiega Sereni - non e' certo motivata dall'ostruzionismo dell'opposizione da dalla mancanza di fiducia del governo rispetto ai propri deputati".
Durissimo anche Massimo Donadi (Idv): "Voi umiliate il Parlamento e offendete la democrazia; siete una maggioranza appecoronata felice di non lavorare per un giorno".
Michele Vietti (Udc) ha invece ribadito che l'aspetto tempo, denunciato dal ministro Vito come alla base della fiducia a Montecitorio sul decreto, e' causato dal fatto che il testo sia stato per troppo all'esame del Senato. Una circostanza condivisa, questa, appieno da Simone Baldelli del Pdl, secondo cui "servono regole certe sui tempi certi per l'esame dei provvedimenti".
By Paul De Grauwe
Published: February 22 2009 20:23 | Last updated: February 22 2009 20:23
The economic paradigm developed during the boom years was based on the idea of flexibility. The economically successful countries were those that allowed flexibility in goods and labour markets. Rapid growth lay ahead of them if they permitted companies to hire and fire without restrictions; if wage contracts made it possible for companies to adjust wages up and down quickly to changing economic conditions.
New growth models were developed by academic economists stressing the need for flexibility. International organisations chastised those countries with rigid labour and goods markets and urged them to introduce “structural reforms”. The European Commission was mesmerised by the idea of flexibility and cooked up the Lisbon Agenda with the ambition of transforming the European Union into a flexible economy.
The great role model was the US, which was seen to have a superior economic model thanks to its flexibility.
Today it is becoming increasingly clear that flexibility may not be a quality at all, but a serious handicap. Let us analyse why that is.
Since the outbreak of the financial crisis the world economy has been increasingly gripped by debt deflation. The dynamics of debt deflation are well-known and was described by Irving Fisher 80 years ago. Households and companies (including banks) faced with excessive debt have to sell assets. Asset prices decline, leading to more intense solvency problems elsewhere in the system. Companies are forced to fire workers and/or to reduce their wages. As a result, more households find it impossible to service their debt. Thus, in a debt deflation, the attempts of some to service their debts makes it more difficult for others to service their debts.
The source of the problem is the fact that the level of debt is a fixed nominal variable. The consumer who has to pay back a mortgage of $400,000 faces this rigid payback threat whatever the value of his assets or the value of his wage. Thus the problem of debt deflation is that there is one rigid variable (the value of the debt) while so much of the rest (asset values, wages, employment) is flexible. The more flexible these variables are, the more hellish are the dynamics of debt deflation and the more difficult it is to pull the economy out of it.
It follows that the most flexible economies will suffer most from this. In countries where companies can easily fire workers, or where they can cut their wages on a whim, these same workers will be hit harder by the debt deflation dynamics. They will have to sell their houses and their other assets more quickly, thereby threatening others (including banks) with bankruptcy.
When economies are hit by debt deflation they need circuit breakers. You guessed it: rigidities in wages, prices and employment contracts are such circuit breakers. They slow down the debt deflation dynamics, allowing for a more orderly retreat. Workers do not immediately lose their jobs; their wages are not cut instantaneously, giving some respite in the orderly winding down of debt levels.
Of course, these circuit breakers do not eliminate the debt deflation dynamics; they slow them down. There is one ultimate circuit breaker, however, that has the capacity to stop the dynamics. This is the social security system. “Rigid economies” have been chastised for having too generous social security systems. They pay their unemployed too much for too long. It now turns out that this ultimate source of rigidity is a great advantage. The workers that are made redundant in the rigid countries will have higher unemployment benefits that will sustain consumption and reduce the fall in prices. The debt deflation dynamics hit a floor.
One may argue that since the unemployed in the rigid countries get paid better, the budget deficits in these countries will increase more than in the flexible countries. This is far from certain though. For sure, the governments of flexible countries will spend less on unemployment benefits, but to the extent that the debt deflation leads to a stronger decline in economic activity in these countries, government revenues will decline more. As a result, budget deficits may actually increase more in the flexible countries.
The idea that flexibility is good and rigidity is bad continues to influence the minds of policymakers and analysts. Rating agencies, for example, continue to give a more favourable rating to US and UK sovereign debt based on the notion that the greater flexibility of these countries gives them a better capacity to adjust to the crisis than rigid countries such as Spain, Italy and Ireland.
The opposite is true. Today, rigidities in wages, employment and social security allow countries to deal better with the great rigidity that the fixed levels of debt impose on households and companies. We should cherish these rigidities.
The writer is professor of economics at the university of Leuven and the Centre for European Policy Studies
(trad in ITA)
La flessibilità ceda il passo alle virtù della rigidità | | |
Scritto da Paul De Grauwe*, "Financial Times" ( trad. Francesco Fumarola per MdV) | |
venerdì 13 marzo 2009 | |
Clicca qui per la versione in inglese apparsa sul "Financial Times" Il paradigma economico sviluppato durante gli anni del boom era basato sull’idea di flessibilità. Il successo economico fu di quei paesi che avevano introdotto la flessibilità nel commercio e nel mercato del lavoro. Una rapida crescita veniva garantita loro se si permetteva alle aziende di affittare e licenziare senza restrizioni; se gli accordi su salario facevano in modo che fosse possibile per le aziende, al mutare delle condizioni economiche, adeguare i salari al rialzo o al ribasso velocemente. I nuovi modelli di crescita furono sviluppati da insigni economisti che estremizzavano il bisogno di flessibilità. Le organizzazioni internazionali criticavano aspramente quei paesi che avevano commercio e mercato del lavoro rigidi e li esortavano ad introdurre con urgenza “riforme strutturali”. La Commissione Europea fu ipnotizzata dall’idea della flessibilità e si inventò l’Agenda di Lisbona con l’ambizione di trasformare l’Unione Europea in un’economia flessibile. L'esempio da seguire fu quello degli Stati Uniti, che sembravano avere un modello economico superiore grazie alla loro flessibilità. Oggi sta diventando sempre più chiaro che la flessibilità non può essere affatto una qualità, ma un handicap serio. E vediamo perché. Da quando è scoppiata la crisi finanziaria l’economia mondiale è stata sempre più stretta nella morsa della deflazione da debito . La dinamica della deflazione da debito è ben conosciuta e fu descritta da Irving Fischer ottant’anni fa. Famiglie ed aziende (comprese le banche) per affrontare l’eccessivo debito hanno dovuto vendere i loro beni. I prezzi delle merci si sono ribassati, conducendo a problemi di solvibilità più intensa da qualche altra parte nel sistema. Le aziende hanno iniziato a prendere di mira i lavoratori e/o a ridurre i salari. Come risultato, un numero maggiore di famiglie s’è trovato nell’impossibilità di estinguere i debiti. Così, nella deflazione da debito, i tentativi di qualcuno di pagare i debiti ha reso più complicato ad altri di coprire i propri. L’origine del problema sta nel fatto che il livello di debito è una variabile nominale fissa. Il consumatore che deve rimettere un prestito di 400 mila dollari affronta questa restituzione obbligata qualunque sia il valore dei suoi beni o il valore del suo salario. Così il problema della deflazione da debito è che c’è una variabile rigida (il valore del debito) mentre gran parte del resto (valore dei beni, salari, impiego) è flessibile. Più le variabili sono flessibili, più infernale è la dinamica della deflazione da debito e più difficile è salvare l’economia. Ne consegue che le economie più flessibili soffriranno di più. Nelle nazioni dove le aziende possono facilmente licenziare i lavoratori, o dove esse possono tagliare i salari a capriccio, questi stessi lavoratori saranno colpiti più duramente dalla dinamica della deflazione da debito. Si dovranno vendere le case e gli altri beni più velocemente, minacciando di fallimento gli altri (banche comprese). Quando le economie sono colpite dalla deflazione da debito essi hanno la necessità di un salvavita. Vediamo di indovinare: proprio rigidità nei salari, nei prezzi e nei contratti di impiego rispondono a questo bisogno. Frenano la dinamica della deflazione da debito permettendo una difesa più sistematica. I lavoratori non perdono immediatamente il lavoro; i salari non vengono tagliati all’istante, consentendo un po’ di tregua attraverso una riduzione regolare dei livelli di debito. Naturalmente, questi salvavita non eliminano la dinamica della deflazione da debito: la rallentano. C’è un salvavita definitivo , che possiede la capacità di fermarla. Si chiama sistema di sicurezza sociale. “Le economie rigide” sono state duramente criticate per avere avuto sistemi di sicurezza sociale troppo generosi. Sovvenzionano la disoccupazione troppo a lungo. Ma si dimentica che questa dirimente risorsa di rigidità è un grande vantaggio. I lavoratori in sovrappiù nelle nazioni rigide avranno più alti benefits di disoccupazione [ammortizzatori, ndr] che sosterranno il consumo e ridurranno la caduta dei prezzi. La dinamica della deflazione da debito si azzera. Qualcuno può obiettare che poiché il disoccupato nelle nazioni rigide è meglio pagato, il deficit pubblico di queste nazioni crescerà più che nelle nazioni flessibili. Non è per niente certo. Di sicuro, i governi delle nazioni flessibili spenderanno meno per i benefits ai disoccupati, ma nella misura in cui la deflazione da debito produce un rallentamento più accentuato nell’attività economica di questi paesi, le entrate pubbliche diminuiranno in misura maggiore. Come risultato, il deficit può crescere di più nei paesi flessibili. L’idea che la flessibilità è un bene e la rigidità è un male continua ad influenzare le menti di uomini politici e analisti. Le agenzie di rating, per esempio, continuano a dare rating più favorevoli al debito statale di Stati Uniti e Gran Bretagna, per via della nozione che la maggiore flessibilità di questi paesi dà loro una maggiore capacità di adattarsi alla crisi rispetto a paesi rigidi come Spagna, Italia ed Irlanda. E’ vero il contrario. Oggi, le rigidità nei salari, nell’impiego e nella sicurezza sociale permette ai paesi di gestire meglio l’estrema severità che i livelli fissi di debito impongono a famiglie e aziende. Non dovremmo essere critici di queste rigidità. *L’autore è professore di Economia all’Università di Leuven e al Centro per gli Studi Politici Europei (tradotto dall'Inglese da Francesco Fumarola per MdV) |
Il gruppo minerario britannico Anglo American e' pronto a tagliare 19mila posti di lavoro entro la fine dell'anno dopo aver riportato un calo degli utili del 29% nel 2008 a 5,2 miliardi di dollari.
I tagli rientrano in una piu' ampia politica di economie con la quale il gruppo spera di ottenere un risparmio pari a 2 miliardi di dollari l'anno da adesso al 2011. Anglo American conferma inoltre di voler dimezzare il suo programma di investimenti 2009, portandolo a circa 4,5 miliardi di dollari, per fronteggiare crollo dei prezzi dei metalli.
Ignazio Marino
LA CRISI - Alla conferenza di bilancio Psa, che impiega 207.850 persone al mondo, di cui 113.710 in Francia, non ha dato inoltre alcuna indicazione sul dividendo, limitandosi ad affermare che «includerà il forte calo dei risultati del gruppo e il clima economico». Nel 2008 Psa ha accusato un cash flow negativo per 3,76 miliardi e stima che anche nel 2009 resterà negativo. Alla borsa di Parigi i titoli Psa scivolano di poco più del 5% a 13,66 euro.
La Pioneer ha annunciato il taglio di 10mila posti di lavoro in tutto il mondo, tra cui 6mila dipendenti a tempo indeterminato, in previsione delle forti perdite per 130 miliardi di yen (1.117 milioni di euro) che emergeranno a marzo dal bilancio dell'anno finanziario. Il colosso giapponese dell'elettronica cesserà la produzione di schermi al plasma e chiuderà impianti negli Stati Uniti e in Gran Bretagna. I tagli della Pioneer seguono quelli di altri colossi nipponici colpiti dalla crisi economica internqzionale, come la Sony (16.000), Nec (20.000) o Nissan (20.000).
In Europa dall'inizio dell'ultimo trimestre del 2008 a tutto il mese di gennaio 2009 si sono persi 130.000 posti di lavoro nel settore industriale - soprattutto l'auto e il suo indotto - e in quello delle costruzioni. Due settori che nel corso dell'ultimo anno hanno fatto registrare un crollo della produzione pari a 150 miliardi di euro.
Sono le cifre contenute in un documento riservato della Commissione europea - che l'ANSA è in grado di anticipare - che molto probabilmente sarà all'esame dei ministri finanziari europei che lunedì e martedì si ritroveranno a Bruxelles per le riunioni dell'Eurogruppo e dell'Ecofin, chiamati a valutare quanto fatto per contrastare la crisi e quando fare in futuro.
Per il settore auto situazione drammatica
La situazione nel settore dell'auto e in quello dell'indotto è "drammatica", anche per la persistente stretta creditizia che "colpisce particolarmente" non solo le case automobilistiche, ma anche il settore delle costruzioni. La Commissione europea sottolinea come "la contrazione della produzione nel settore dell'industria automobilistica ha un immediato effetto negativo anche sull'occupazione nelle aziende aziende dei fornitori".
Dal governo francese 6mld di euro a Renault e Peugeot-Citroen
Il presidente francese Nicolas Sarkozy dovrebbe annunciare oggi che il governo presterà circa 6 miliardi di euro alle due principali case automobilistiche del Paese, particolarmente colpite dalla crisi economica. Il credito verrebbe accordato sulla base di agevolate rateizzazioni a Renault e Peugeot-Citroen. Ognuna delle due società riceverebbe 3 miliardi di euro. In compenso, le due societa' manterranno i loro siti produttivi in Francia e salvaguarderanno i posti di lavoro.
Il numero uno Carlos Ghosn lo ha ammesso senza reticenze: l'impatto della crisi è superiore a quanto prevedeva Nissan. Per questo Nissan ridurrà l'organico di 20mila unità entro marzo del 2010. Un taglio che rappresenta l'8,5% del personale Nissan che conta 215 mila dipendenti.
Nissan chiude il terzo trimestre con una perdita operativa di 99 miliardi di yen a fronte di ricavi in calo del 34% a 1.820 miliardi con 731 mila veicoli venduti (-18,6%). Oltre al taglio dell'organico, le misure di contenimento dei costi prevedono anche un colpo di forbice alle retribuzioni dei dirigenti. Dal prossimo mese di marzo il top management vedrà lo stipendio ridursi del 10% fino a quando la situazione non tornerà alla normalità. L'alleggerimento degli organici avverrà principalmente con il taglio delle assunzioni, l'eliminazione dei contratti a termine e gli incentivi alle uscite e ai pensionamenti.
Berlusconi: "Serve un chiarimento sulla Costituzione"
Una riforma della Carta costituzionale "è necessaria perché è una legge fatta molti anni fa sotto l'influsso di una fine di una dittatura e con la presenza al tavolo di forze ideologizzate che hanno guardato alla Costituzione russa come un modello". Lo ha detto il premier Silvio Berlusconi da Cagliari. "Con i poteri che ha il presidente del Consiglio e in più con l'ipotesi di una prassi che addirittura fa intervenire il Presidente della Repubblica prima che si proceda alle decisioni del governo è veramente una cosa che fa ridere". E' quanto ha affermato Silvio Berlusconi, ribadendo la necessità di un chiarimento sulla Costituzione per decidere quali sono realmente i poteri sia del Colle e sia della presidenza del Consiglio.
Dopo aver sostenuto la necessità di "un chiarimento della lettura delal Costituzione" il presidente del Consiglio ha aggiunto: "Sul come adesso ci riflettiamo e vedremo se dobbiamo arrivare a quelle riforme della Carta costituzionale che sono necessarie perché è una legge fatta ,molti anni fa sotto l'influsso della fine di una dittatura e con la presenza al tavolo di forze ideologizzate". Forze che "hanno guardato alla costituzione russa come a un modello cui prendere molte indicazioni".
"Certi poteri spettano al al governo e non al capo dello Stato"
Niente riforma presidenziale, "non c'entra niente casomai - riflette Silvio Berlusconi - è l'inverso. Non la voglio io, è dall'altra parte che si vogliono attribuire dei poteri che secondo l'interpretazione mia e del governo non sono del Capo dello Stato, ma spettano al governo". Silvio Berlusconi prende spunto dalla vicenda del decreto legge sul caso Englaro per sottolineare ancora una volta che "la decretazione d'urgenza spetta all'esecutivo, sennò - aggiunge il premier - uno va a casa...".
Nuovo consiglio dei ministri questa sera alle 20. L'ordine del giorno ufficiale della convocazione prevede "l'esame di un ddl in materia di alimentazione e idratazione" proposto dalla presidenza del Consiglio e dal ministero della Salute.
Le motivazioni del Capo dello Stato
"Io non posso nell'esercizio delle mie funzioni, farmi guidare da altro che un esame obiettivo della rispondenza o meno di un provvedimento legislativo di urgenza alle condizioni specifiche prescritte dalla Costituzione e ai principi da essa sanciti" scrive il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano nella lettera inviata al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e resa nota dal Quirinale.
La Presidenza della Repubblica ha infatti diffuso una nota nella quale si legge: "Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha preso atto con rammarico della deliberazione da parte del Consiglio dei ministri del decreto-legge relativo al caso Englaro. Avendo verificato che il testo approvato non supera le obiezioni di incostituzionalità da lui tempestivamente rappresentate e motivate, il presidente ritiene di non poter procedere alla emanazione del decreto".
Il legale della famiglia Englaro: un atto costituzionalmente ineccepibile
"E' un atto costituzionalmente ineccepibile". Cosi' il prof. Vittorio Angiolini, legale della famiglia Englaro, ha commentato il rifiuto del presidente della
Repubblica di firmare il decreto legge approvato dal consiglio dei ministri relativo al caso di Eluana.
"I rilievi del presidente della Repubblica - ha proseguito il legale - corrispondono ad un illegittimita' estremamente grave dell'atto a lui sottoposto".
Per Angiolini "ancora una volta Napolitano si e' fatto garante della costituzione".
La delusione del Vaticano
"Sono costernato che in tutte queste diatribe politiche si ammazzi una persona" e
"sono profondamente deluso" dalla decisione del presidente della Repubblica, Giorgio Napolutano, di non firmare il decreto che avrebbe imposto lo stop all'alimentazione e idratazione a Eluana Englaro. E' quanto ha affermato il card. Renato Raffaele Martino, presidente del pontificio consiglio Giustizia e Pace.